«Il clima? Un tema anche 150 anni fa»

Nell’Artico furono poste le basi della climatologia. Ne abbiamo parlato con il ricercatore Miljenko Smokvina

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«Il clima? Un tema anche 150 anni fa»
Miljeno Smokvina. Foto: ŽELJKO JERNEIĆ

“L’uomo ne sta mettendo del suo, ma non sono soltanto merito o colpa suoi”. Sono state queste le parole di Miljenko Smokvina mentre stavamo per congedarci al termine di una lunga chiacchierata seguita alla sua conferenza intitolata “Cambiamenti climatici”, proposta alcuni giorni fa a Fiume. Il tema è di grande attualità, tra i più discussi, al centro di ricerche scientifiche che mettono in allarme l’umanità nel contesto del surriscaldamento del pianeta. Di quest’argomento, comunque, non si discute soltanto negli ultimi decenni. Smokvina ci ha fatto ricordare che durante l’Impero austro-ungarico vi fu, tra il 1872 e il 1874, una spedizione scientifica a cui ne seguì un’altra, dieci anni più tardi e che si svolse tra il 1882 e 1883. Le spedizioni ebbero luogo nella Terra di Francesco Giuseppe, un arcipelago situato a nord della Russia nel Mare di Barents, composto da 191 isole, al confine con il Mar Glaciale Artico e il Mare di Kara. La loro superficie complessiva supera di poco i 19 chilometri quadrati. L’arcipelago oggi fa parte della Federazione russa ed è abitato da un centinaio di esseri umani. Una delle sue caratteristiche, 150 anni fa e oggi, è che le isole sono quasi interamente ricoperte dai ghiacci.

Nato a Fiume dove vive tutt’ora, Miljenko Smokvina, classe 1943, lo abbiamo conosciuto principalmente nell’ambito della fotografia, scoprendo soltanto in seguito che prima, durante e dopo la sua carriera in questo campo si è occupato, e lo fa tutt’ora, di tante altre cose. Ginnasio, Facoltà d’Economia con laurea in marketing, quindi impiegato all’Istituto d’economia a Fiume, successivamente presso la compagnia armatoriale “Jugolinija” diventata poi “Croatia Line”, per scegliere infine la libera professione di fotografo. Precedentemente è stato anche docente alla Facoltà d’Economia, con delle parentesi in qualità di docente di fotografia alla Faocoltà di Filosofia e all’Accademia di arti applicate. Ha dietro di sé libri e altre pubblicazioni, numerose iniziative e un bagaglio notevole d’esperienza e impegno da attivista a favore della tutela del patrimonio culturale in generale, ma facendo riferimento soprattutto a quello industriale. È stato uno dei fondatori, tra l’altro, dell’associazione fiumana “Pro Torpedo”. È un appassionato ricercatore, ma anche divulgatore.
“Di queste spedizioni mi occupo da 25 anni con decine di testi e mostre – ci ha spiegato –. Mi ci sono appassionato perché la storia riguarda la nostra realtà locale, la gente di Fiume, del Quarnero, delle isole e dell’Istria. Comunque, il mio primo contatto con questo tema ha riguardato un segmento della storia della fotografia, quando mi sono capitate tra le mani delle foto in cui venivano menzionati dei marittimi nostrani che presero parte alle spedizioni. Iniziai a scavare ed ebbi la possibilità di raggiungere il punto più settentrionale della Norvegia dove si tenne un convegno internazionale. La storia delle spedizioni è molto legata alla nostra gente. C’è il capitano Pietro Lussina di Cherso, che per primo vide la Terra di Francesco Giuseppe. Anche se fu capitano di lungo corso, accettò di partecipare alla spedizione come nostromo”: è solo uno dei dettagli che Smokvina ha raccolto nella sua ricerca che narra di qualcosa che all’epoca era di straordinario interesse. La nave “SMS Tegetthoff”, appena costruita in un cantiere tedesco, partì con un equipaggio di 24 membri dei quali la metà, come abbiamo detto, era gente nostrana. Nel corso dei tre anni, quanto durò la prima spedizione, furono raccolti in maniera sistematica i dati meteo, misurato il campo magnetico e osservata la luce polare. Il capitano della nave e capo spedizione fu Karl Weyprecht.

Il contributo dell’uomo
“Durante la loro permanenza, effettuarono numerose misurazioni i cui risultati furono raccolti in diverse pubblicazioni. Da queste basi nacque l’iniziativa, dopo anni d’impegno, di organizzare la prima grande spedizione internazionale, il cui obiettivo era effettuare dei rilevamenti meteorologici e geofisici. Venne chiamato Primo anno polare internazionale – ha rilevato ancora Smokvina –, che portò all’installazione di 12 stazioni sull’Artico e 2 in Antartide, per raccogliere in modo sincronizzato i dati, in primo luogo quelli meteo. Vi partecipò anche la nave Pola della Marina austro-ungarica. Weyprecht per 7-8 anni andò in giro per l’Europa spiegando che per avere dei dati rilevanti era necessario effettuare le misurazioni in più punti contemporaneamente. Purtroppo, non vide realizzato il suo piano. Da 11 Paesi e un centinaio di uomini, siamo arrivati a 63 nazioni con oltre 50.000 persone impegnate nell’Anno polare 2007-2009, l’ultimo in ordine di tempo. Il resoconto è contenuto in un volume di 700 pagine. Fu la più grande spedizione internazionale. Grazie a quelle prime iniziative, oggi c’è la possibilità di mettere i dati a confronto con quelli più recenti. È bello sapere che la nostra gente ha dato un contributo importante in questo senso”. Conclusioni? “I cambiamenti climatici sono una realtà, ma, forse, avverrebbero anche senza la mano dell’uomo che, naturalmente, sta dando il suo indiscutibile contributo”.

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