Documentazione bilingue: a rischio l’identità della CNI

Monta la protesta per le imposizioni degli ispettori che rischiano di rendere molto più difficoltoso il lavoro quotidiano degli insegnanti. L’argomento è stato affrontato dal consigliere Roberta Lakošeljac di Umago all’ultima riunione dell’Assemblea dell’UI

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Documentazione bilingue: a rischio l’identità della CNI
La sede centrale della Giuseppina Martinuzzi. Foto: GIULIANO LIBANORE

“Negli ultimi anni e con sempre più insistenza nell’ultimo periodo, gli ispettori competenti per il settore scolastico persistono nell’obbligare le istituzioni scolastiche dell’etnia a scrivere la documentazione pedagogica sia in croato che in italiano. Non si parla dei registri o degli atti delle istituzioni che già sono bilingui, ma del registro giornaliero dove vengono pianificate le attività quotidiane, i piani settimanali e mensili, nonché le osservazioni sullo sviluppo e sugli obiettivi raggiunti”,: è con queste parole che Roberta Lakošeljac, di Umago, ha portato all’attenzione dell’Assemblea dell’Unione Italiana la problematica che sta affliggendo il mondo della scuola CNI. Il consigliere umaghese è intervento nella sezione riservata alle mozioni e alle interpellanze, nel corso dell’Assemblea svoltasi lunedì 20 a Verteneglio, quella tristemente famosa per la discussione sull’articolo 9. Roberta Lakošeljac ha deciso però di concentrarsi su tutt’altro.

“Anche se come ben sapete esistono i Trattati che tutelano i nostri diritti, si fa invece leva sull’articolo 11 della Legge sull’educazione e l’istruzione nelle lingue e nelle scritture delle minoranze nazionali. La misura imposta è di redigere la documentazione ai sensi dell’articolo indicato, scriverla nella versione bilingue, cioè in lingua croata e in lingua italiana. In seguito a questa ordinanza penso sia lecito dire che vengono lesi i nostri diritti e che si vengano a creare i presupposti di una minaccia alla salvaguardia e alla tutela della lingua italiana nonché alla nostra peculiarità di gruppo nazionale autoctono in Croazia e al futuro delle nostre istituzioni. So che si sono svolti diversi incontri con la partecipazione di tutti i direttori e i presidi delle istituzioni scolastiche della CNI, assieme ai massimi rappresentanti dell’Unione Italiana e della Regione Istriana. Si è scritta una lettera, corredata da tutti gli elementi importanti da prendere in considerazione, preparata dalla titolare del Settore Istituzioni prescolari, scolastiche e universitarie della Giunta esecutiva dell’Unione Italiana. Si è reagito troppo tardi e senza prendere una decisione univoca anche perché da sempre la documentazione è stata scritta solo ed esclusivamente in italiano! Perché adesso questi cambiamenti visto che questa stessa legge è in vigore già da anni? Visto che siamo arrivati a questo punto mi chiedo: l’atteggiamento di permissivismo che abbiamo adottato è quello giusto che ci permetterà di ritornare alla prassi precedente? Come si pensa procedere?”, ha chiesto Roberta Lakošeljac, che ha concluso il suo discorso accompagnata da un fragoroso applauso.

Roberta Lakošeljac. Foto Goran Žikovič

Le reazioni

Il primo a risponderle è stato il presidente dell’Assemblea UI, Paolo Demarin, che le ha dato subito man forte, dicendo come questo sia uno dei grandi temi che dobbiamo affrontare, anche in sede di Assemblea. È stato poi il turno del presidente della Giunta esecutiva dell’UI, Marin Corva. Anche lui si è detto d’accordo sulla necessità di discutere del tema in sede di Assemblea, rilevando però che prima di farlo sia necessaria ancora almeno una riunione, oltre alle tante già fatte, quella con l’Attivo consultivo delle scuole. “La prima segnalazione ci è arrivata ad aprile in seguito a un’ispezione alla scuola elementare di Rovigno. Da allora abbiamo fatto varie riunioni di coordinamento, sia come Giunta che convocando un primo Attivo consultivo delle scuole. Abbiamo fatto dei passi avanti, coordinandoci anche con il Ministero competente, tanto che nel corso dell’ultima ispezione è stato segnalato che la lingua italiana non è un problema. Ora siamo a buon punto per dare un’indicazione precisa alle scuole su come reagire in possibili futuri casi di questo genere e stiamo lavorando in collaborazione con il Ministero per trovare una soluzione. Ci stiamo muovendo in sordina perché è un lavoro che va fatto così. Voglio ricordarvi che le nostre scuole operano in base al modulo A, che però non è un modulo che riguarda solamente la minoranza nazionale italiana, ma anche quella serba, ceca, ungherese… quindi per fare qualcosa ci vuole un coordinamento a livelli ancora più alti. Dobbiamo arrivare un giorno ad avere delle certezze da poter dare ai nostri dirigenti scolastici”, ha risposto Marin Corva durante la seduta.

L’analisi del problema

Vogliamo riportare anche la risposta della responsabile del settore Istituzioni prescolari, scolastiche ed universitarie della Giunta esecutiva, Patrizia Pitacco. “Mi dispiace che si abbia questa percezione che le scuole siano state lasciate sole. Bisogna però fare dei passi minimi. Siamo a un punto nel quale bisogna resistere. Dobbiamo renderci conto che tutte le cose che il Ministero fa per la nostra minoranza e che per noi rappresentano un tornare indietro, come il compilare i documenti in modo bilingue, per alcune minoranze sono una conquista. Non sto assolutamente dicendo di seguire le altre minoranze, ma bisogna capire il contesto nel quale ci troviamo a operare. Purtroppo l’articolo 11 è molto chiaro. L’unico dubbio è su cosa si intenda per documentazione pedagogica, perché registri, pagelle e diplomi sono già bilingui, da sempre, come da sempre sono solo in italiano i documenti interni a uso quotidiano”, ha affermato la titolare del settore.

Patrizia Pitacco. Foto Goran Žiković

Patrizia Pitacco anche in veste di consulente pedagogica è ben consapevole dell’entità e della complessità del problema, tanto che ancora a fine luglio aveva compilato un documento da sottoporre l’attenzione dell’On. Furio Radin, il cui contenuto è stato condiviso anche con tutti i presidi. In esso emergono una serie di ricadute a breve termine della misura imposta: mancato rispetto di un diritto acquisito e dei diritti costituzionali; riduzione del diritto all’esercizio della propria lingua materna (lingua italiana); aumento della mole di lavoro per i docenti che non viene riconosciuto; insufficiente padronanza linguistica, didattica e specificatamente disciplinare in entrambe le lingue (lingua italiana e lingua croata)”. Il testo prende poi in esame le ricadute e le conseguenze a medio e lungo termine: “Visto il sempre maggiore inserimento nelle scuole della minoranza nazionale italiana, di insegnanti non di madrelingua italiana e data la maggiore mole di lavoro, gli insegnanti e il personale scolastico al completo si assuefaranno a gestire la documentazione solamente in lingua croata; veloce e irreversibile depauperamento della lingua italiana e successiva estinzione di una delle componenti essenziali dell’esistenza delle scuole nella lingua e nella scrittura della minoranza nazionale italiana; graduale, ma inevitabile estinzione del concetto di identità nazionale italiana”.

Mezza soluzione

All’Assemblea è intervenuto pure il presidente dell’Unione Italiana, Maurizio Tremul. “A una recente riunione online avevo inviato una mia indicazione quale presidente dell’Unione in cui invitavo tutte le scuole a redigere questa documentazione in lingua italiana, soltanto in lingua italiana, pur dicendo la legge che va fatto anche in croato. Lo Stato viola egli stesso la legge, perché non ha ispettori che conoscono l’italiano”, ha detto Tremul. Abbiamo preso visione del documento da lui indicato, nel quale si rileva: “Il Ministero della Scienza e dell’Istruzione non ha mai dato attuazione all’articolo 13 della citata Legge sull’educazione e l’istruzione nella lingua e nella scrittura delle minoranze nazionali”, Legge che recita: “Il Ministero dell’Istruzione e dello Sport ha l’obbligo, ai fini di eseguire tutte le attività che rientrano nella sua competenza per gli istituti scolastici per l’insegnamento delle lingue parlate e scritte delle minoranze, di assicurare il numero necessario di consiglieri e di sorveglianti scolastici scegliendoli tra coloro che appartengono alle singole minoranze nazionali, ovvero tra coloro che hanno una padronanza completa della lingua parlata e scritta dalla minoranza”.

Tornando al documento condiviso da Patrizia Pitacco, possiamo leggere anche la proposta di soluzione. “L’uso imposto del bilinguismo è una disposizione della Legge specifica che è una legge di grado inferiore rispetto alla Legge costituzionale, che non impone espressamente l’obbligo del bilinguismo nella redazione della documentazione pedagogica. Quindi si prega di influire di modo che: gli organi competenti presso l’Ispettorato accettino e considerino valido che la documentazione pedagogica di natura interna (registri e giornali di classe) sia scritta solamente in lingua italiana; gli organi competenti presso l’Ispettorato considerino non atte a procedere le misure finora emanate nei confronti delle istituzioni prescolari e scolastiche della minoranza nazionale italiana e in relazione alla stesura bilingue della documentazione pedagogica; applichino formalmente ed effettivamente la disposizione dell’articolo 13 della Legge specifica”. In virtù di tutto questo, della complessità del tema e del fatto che la questione ad oggi non è stata ancora risolta, si è deciso di organizzare un’Assemblea tematica dell’Unione Italiana nella seconda metà di gennaio.

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