Rijeka. Il problema è l’attacco

Dopo le prime tre uscite stagionali Obregon e Ivanović sono ancora a secco. Al Rijeka di Jakirović serve un centravanti da una quindicina di gol. «Difficile compensare in poco tempo le partenze di Frigan e Ampem», dice il tecnico biancocrociato

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Rijeka. Il problema è l’attacco
Il Rijeka ha faticato a contenere le sfuriate offensive degli spalatini. Foto: Ivo Cagalj/PIXSELL

Alla vigilia Sergej Jakirović era stato profetico: “Livaja è il loro giocatore più forte, ma il più continuo è Pukštas”. Parole premonitrici quelle del tecnico del Rijeka visto che proprio il giovane centrocampista statunitense di origini lituane ha deciso il derby contro i biancocrociati grazie a un guizzo in apertura di ripresa che ha fatto esplodere i 32.500 del Poljud, lanciando l’Hajduk in vetta alla classifica a punteggio pieno in coabitazione con l’Osijek. Uno scenario tutt’altro che scontato dal momento che le prime due giornate portavano in dote i big match con Dinamo e Rijeka. Due vittorie che hanno anche un comune denominatore, ovvero quel Pukštas rivelatosi match winner in entrambe le sfide. Insomma, oltre a Livaja c’è di più e qualora la squadra di Ivan Leko dovesse riuscire a dimostrare di non essere dipendente esclusivamente dal proprio capitano, ecco che a Spalato si potrebbe pensare davvero di insidiare la Dinamo nella corsa al titolo. Anche se chiaramente è ancora troppo presto per giudizi e bilanci, e comunque gli zagabresi restano favoriti nella corsa, a maggior ragione se dovessero trattenere il poker d’assi Livaković, J. Šutalo, Ivanušec e Petković.

Cambio di modulo
Dopo un avvio soft contro Rudeš e Dukagjini, si sapeva che l’Hajduk sarebbe stato il primo vero test stagionale per il Rijeka, utile anche per fornire una prima risposta sulle reali potenzialità della squadra. Il verdetto sancito dal campo lascia pochi dubbi: in questo momento i fiumani non sono al livello degli spalatini. Magari il risultato finale non lo suggerisce, ma sul terreno di gioco si è vista una sola squadra. A parte il palo colpito da Fruk subito in avvio, gli ospiti non hanno fatto vedere nulla e se non fosse stato per i miracoli di Labrović avrebbero potuto lasciare la Dalmazia con un passivo ben più pesante. Lo stesso Jakirović temeva eccome questa partita. Lui che notoriamente non rinuncia mai al “suo” 4-2-3-1, stavolta ha cambiato assetto tattico varando un inedito 3-4-2-1, che poi in fase difensiva si trasformava in un 5-3-2. Sostanzialmente l’idea era quella di cercare maggiore copertura e compattezza sia in difesa che a centrocampo. Una sorta di effetto sorpresa che almeno nel primo tempo ha funzionato (“Ci abbiamo messo un po’ ad adattarci al loro cambio di modulo”, aveva ammesso Leko a fine gara), ma il gol incassato dopo cinque minuti nella ripresa ha cambiato la partita. L’Hajduk è cresciuto mentre il Rijeka è sparito dal campo. Jakirović è corso ai ripari tornando al 4-2-3-1 standard con gli ingressi di Veiga e Djouahra, ma la musica non è cambiata. La sua squadra non è riuscita a trovare le contromisure per contenere un avversario diventato sempre più arrembante con il passare dei minuti, spinto anche dalla bolgia del Poljud. Esattamente come avvenuto qualche giorno prima con il Dukagjini, gli ingressi dei giocatori dalla panchina (Selahi, Lepinjica, Veiga, Djouahra, Ivanović) non ha innescato la scossa auspicata. Un aspetto su cui riflettere, ma questa sconfitta ha fatto anche emergere quello che già un po’ si temeva, ovvero il problema dell’attacco. Attualmente in rosa ci sono solamente due centravanti di ruolo, Obregon e Ivanović, i quali in queste prime tre uscite stagionali non hanno ancora timbrato il cartellino. Manca un profilo come Frigan, ossia un giocatore in grado di garantire una quindicina di gol in stagione. Obregon non assicura quella quota, o almeno non in una squadra ambiziosa come il Rijeka. Di contro Ivanović possiede un potenziale decisamente interessante (aspetto più volte rimarcato dallo stesso Jakirović), ma è altrettanto vero che è un azzardo affidare tutto il peso dell’attacco a un ragazzo di soli 19 anni, peraltro arrivato da poco e ancora in fase di inserimento. Là davanti la coperta è corta e una punta di peso serve come l’acqua nel deserto. Il problema però sono i limiti imposti dal budget, ma questo è già un altro discorso.

Labrović è stato l’unico a salvarsi.
Foto: Ivo Cagalj/PIXSELL

Mancata reazione
“A parte il palo di Fruk, nel primo tempo non siamo stati in grado di creare un’azione pericolosa – mastica amaro il tecnico dei biancocrociati –. A inizio ripresa abbiamo subito ingenuamente il gol su una palla inattiva. Ed è una cosa che fa rabbia avendo studiato quel tipo di situazioni sui calci piazzati, eppure ci siamo fatti sorprendere lo stesso. Abbiamo poi cercato di cambiare qualcosa, ma la reazione non è mai arrivata. Il cambio di modulo? L’idea era la difesa a tre in modo da avere un centrocampo a rombo con Grgić e Čabraja sugli esterni, per poi difenderci con otto giocatori in fase ripiegamento dato che l’Hajduk attacca con tanti uomini. Il problema tuttavia non è stato il modulo bensì la nostra passività nel momento in cui avevamo il possesso. Semplicemente non sapevamo cosa fare con il pallone e questo è un aspetto che dovremo analizzare a fondo. Il doppio cambio Banda-Hodža? Faticavano a trovare il ritmo, erano stanchi e non ne avevano più. Con Selahi e Lepinjica abbiamo provato a dare maggiore freschezza a centrocampo e rendere più fluida la manovra, ma il loro ingresso non è comunque servito a farci cambiare passo. Djouahra? Non capisco come faccia sempre a sbagliare l’ultimo passaggio, soprattutto in situazioni in cui non è messo sotto pressione. Attacco spuntato? Abbiamo perso tanto con le partenze di Frigan e Ampem. Basti pensare che nello scorso girone primaverile avevano messo il loro zampino su 22 dei 27 gol segnati. Un rendimento pazzesco e difficile da compensare in poco tempo. È chiaro che abbiamo bisogno di un giocatore che la butti dentro con una certa continuità. Ci stiamo lavorando e vediamo che cosa succederà da qui alla fine del mercato. Ora dobbiamo voltare pagina e pensare unicamente a battere il Dukagjini e a passare il turno”.
Non è tuttavia il momento di iniziare con i processi né di crocifiggere giocatori e allenatore dopo una sconfitta, arrivata peraltro contro un avversario oggettivamente superiore. I ritmi indiavolati di questo primo scorcio di stagione non concedono tregue e giovedì si torna nuovamente in campo per il ritorno con il Dukagjini, seguito domenica dal derby con i cugini dell’Istra 1961. Un doppio confronto casalingo da sfruttare al meglio per cancellare lo scivolone del Poljud e ripartire con rinnovato smalto.

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