Un’immagine viva del passato del capoluogo quarnerino (foto)

Nel Lapidario del Museo di Marineria e di Storia del Litorale croato di Fiume si è tenuta un'interessante e istruttiva visita, guidata dall'archeologo Ranko Starac

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Un’immagine viva del passato del capoluogo quarnerino (foto)
Dinanzi al Lapidario sono collocati i “testimoni di Adamich”

Le epigrafi, di solito scolpite nel marmo o nella pietra, sono una testimonianza del passato della città e illustrano le vicende, private e pubbliche, che si sono susseguite sul suo territorio e che, in una piccola parte, hanno contribuito a modellarla nel corso dei secoli. Una piccola, ma interessante, collezione di lapidi, rilievi, sculture e frammenti scultorei decorativi è conservata nel Lapidario del Museo di Marineria e di Storia del Litorale croato (PPMHP) di Fiume, che si estende sul lato occidentale del palazzo, tra il Cubetto (Museo civico) e il Palazzo del governo, che è appunto sede del PPMHP.

La collezione conta monumenti che risalgono al periodo dal I al XIX secolo, mentre gli inizi della sua fondazione sono legati al Museo civico e all’industriale inglese, stabilitosi a Fiume, Robert Whitehead, il quale donò all’ente museale due urne di pietra rinvenute a Braida. Successivamente, la collezione venne arricchita da altri monumenti quali epigrafi, elementi architettonici e decorativi, rilievi e sculture che parlano di duemila anni di storia della città. In un modo o nell’altro, i monumenti conservati nel Lapidario sono legati a personaggi che con la loro attività, il loro capitale e il loro amore per la città hanno lasciato a Fiume un’impronta indelebile.

Lo sviluppo della città
L’interessante storia legata a ciascuno di questi oggetti è stata raccontata nell’ambito di un’avvincente visita del Lapidario e del parco del Museo guidata dall’archeologo Ranko Starac. L’esperto ha iniziato il suo racconto con un quadro generale del territorio in cui venne fondata Tarsatica e dove successivamente si sviluppò la città che conosciamo oggi.

“La città vecchia di Fiume, come sappiamo, si trova nel luogo in cui nella tarda antichità si ergeva Tarsatica e in passato quest’area era protetta da una cinta muraria – ha spiegato Starac –. Questa era una cittadina costiera di dimensioni modeste e, per così dire, piacevoli. L’abitato si estendeva lungo una spiaggia a ovest della foce della Fiumara, per cui la linea dell’odierno Corso, leggermente incurvata, segue effettivamente quella dell’antica spiaggia sulla quale venne edificata la cittadina e sulla quale nella tarda antichità venne costruito un grande sistema di fortificazioni. La sua opera di edificazione iniziò intorno al 260 d.C. e venne completata verso la fine del III o all’inizio del IV secolo. Nel territorio in cui sorgeva questo insediamento militare romano, successivamente abbandonato, alcuni secoli più tardi sorse una nuova città, chiamata Fiume di San Vito (Flumen Sancti Viti)”.

Poche tracce dell’antichità
Sono poche le tracce dell’antichità, ovvero quelle risalenti al I secolo d.C., giunte fino a noi. Una di queste, come spiegato da Starac, è un blocco di pietra, a prima vista insignificante, con un’iscrizione nella quale viene menzionato un certo Notario Vetidiano e che, stando all’iscrizione, faceva parte dell’organo governativo del municipio di Tarsatica e fu sommo sacerdote del culto imperiale. L’epigrafe risale al I secolo d.C. ed è interessante il fatto che il nome Vetidiano (Vetidianus) testimonia la provenienza di questa famiglia dal territorio di Aquileia, ovvero dall’Italia settentrionale. La realizzazione di questo monumento fu finanziata dall’amministrazione cittadina dell’epoca per omaggiare questo importante personaggio, mentre la lapide venne in seguito sistemata sulla facciata dell’attuale chiesa dell’Assunzione della Beata Vergine Maria (ex Duomo), successivamente prelevata e collocata nel primo lapidario. Questa lapide è l’unica testimonianza del passato pervenutaci che accenna alla struttura giuridica e alla municipalità di Tarsatica. “Va anche detto che il primo lapidario di Fiume si trovava nel parco della villa dell’arciduca Giuseppe, oggi sede dell’Archivio di Stato, e venne realizzato dal controverso politico e intellettuale fiumano Riccardo Gigante, irredentista e fascista – ha proseguito Starac –. Se tralasciamo l’aspetto ideologico della sua attività, Gigante fu una figura molto importante nello sviluppo della consapevolezza del valore dei monumenti rinvenuti nel territorio di Fiume e della loro tutela: la sua attività si estese dal restauro del campanile dell’ex Duomo (chiamata anche Torre pendente) alla fondazione del Museo civico, allo studio del folklore, delle tradizioni e della lingua della popolazione di questa città e via dicendo”, ha precisato l’archeologo.

Due necropoli a Tarsatica
La collezione del Lapidario contiene anche alcune urne funerarie in pietra risalenti al periodo dal I al III secolo d.C., quando nell’ambito dei riti funebri i defunti venivano cremati e le loro ceneri riposte nelle urne assieme a una lucerna (per illuminare il percorso al defunto), a una moneta (con la quale l’anima del defunto paga il tragitto da una all’altra sponda del fiume Stige), a ciotole, bottiglie e bicchieri (per il sostentamento durante il viaggio) e agli oggetti cari al defunto. Nel territorio di Tarsatica c’erano due necropoli, entrambe site all’uscita/entrata in città, lungo la via principale Tergeste-Tarsatica che attraverso Rupa e Pasjak scende verso il centro città. Una delle due necropoli si trovava nell’odierna piazza Adria.

“Nel 1937-38, quando la piazza era ancora intestata alla regina Elena, vennero effettuate delle ricerche archeologiche durante gli scavi delle fondamenta dell’odierno grattacielo fiumano – ha puntualizzato l’archeologo –. Nella necropoli, che si estendeva fino all’odierna chiesa e al convento dei Cappuccini, vennero rinvenute numerose tombe disposte lungo la suddetta via, che proseguiva lungo via Ciotta e fino all’odierna Facoltà di Marineria, contenenti varie urne funerarie. Purtroppo, all’epoca nessuno era interessato a svolgere delle ricerche più approfondite in quella zona, anche a causa del rapido sviluppo urbanistico della città”.

Oggetti preziosi trasportati in Italia
Il contenuto di queste tombe non si trova più né a Fiume, né in Croazia, in quanto nel 1940 la città faceva parte del Regno d’Italia, per cui tutti gli oggetti più preziosi custoditi nel Museo civico vennero trasportati a Codroipo, in Villa Manin, e successivamente a Roma. Come spiegato da Starac, ci furono due tentativi di ottenere la restituzione di questi oggetti all’epoca del Trattato di Osimo, ma queste iniziative non sortirono alcun risultato.

L’archeologo si è in seguito soffermato su un frammento di rilievo in marmo di Carrara che raffigura un giovane, senza testa, e che faceva parte di un sarcofago monumentale proveniente da Aquileia. Il rilievo, risalente alla fine del II o all’inizio del III secolo d.C., è stato separato dal resto della lastra, che chiudeva un lato del sarcofago, e utilizzato per qualcos’altro.

Tra gli oggetti risalenti all’antichità c’è pure una lapide funeraria che commemora un bambino di cinque anni e un’altra dedicata a un membro della famiglia Vetidia, entrambi rinvenuti nei pressi di Aquileia, che nel XIX secolo fecero parte della collezione del sindaco Giovanni Ciotta.

La collezione di Laval Nugent
Un’altra importante e ancora più preziosa collezione di oggetti antichi nel territorio di Fiume e di Sušak fu quella del condottiero Laval Nugent a Tersatto, il quale era interessato in primo luogo alle collezioni di pittura, scultura e grafica, ma soprattutto alla scultura. “Infatti, nel Museo archeologico di Zagabria sono custodite numerose sculture tratte dalla collezione di Nugent, che egli acquistò a Minturno, in Italia, all’inizio del XIX secolo. Le trasportò a Venezia e poi a Tersatto, dove egli pianificava il restauro del Castello e la sua trasformazione in un sontuoso mausoleo – ha spiegato Starac –. Affascinato dall’eredità dei Zrinski e dei Frankopan, Nugent decise di acquistare i vecchi castelli della famiglia e così anche quello di Tersatto, all’epoca completamente devastato, rilevandolo dal municipio di Buccari. Nell’impresa lo aiutò l’imprenditore e patrizio fiumano Andrea Lodovico Adamich”.

Nessuna traccia della Fiume medievale
Nel Lapidario mancano del tutto oggetti risalenti all’VIII, IX, X, XI, XII, XIII e XIV secolo, salvo un frammento dell’epoca romanica portato a Fiume e appartenuto alla famiglia Adamich, ma poi riutilizzato nella tomba familiare. Seguono oggetti risalenti all’età moderna con iscrizioni in latino, lapidi in cui vengono ricordati degli importanti progetti edili, ma anche interessanti stemmi, di cui diversi contengono combinazioni di simboli che non è stato possibile attribuire a una precisa famiglia.

Uno degli oggetti più interessanti è un leone marciano scolpito in “moleca” (un tipo di raffigurazione in cui il leone è accovacciato e posizionato frontalmente con le ali spiegate a ventaglio assumendo un aspetto simile al granchio con le chele aperte, nda), in un tondo, proveniente da Venezia. Questo rilievo – ha spiegato Starac – risale alla fine del Rinascimento o all’inizio del Barocco e venne portato a Fiume durante il breve governo di D’Annunzio come regalo alla città. Venne quindi collocato sull’ala settentrionale dell’allora Municipio, nell’odierna piazza della Risoluzione fiumana. Dopo la Seconda guerra mondiale, il tondo finì nel Museo di Marineria e di Storia del Litorale croato, ma non esiste nessuna fotografia della sua rimozione. “All’epoca, infatti, il lascito di Venezia veniva equiparato al fascismo – il che ovviamente non ha nessun senso, ma tale era il contesto storico –, per cui questo rilievo venne tolto dalla facciata. Di regola, in tutte le altre località e contesti, i leoni marciani venivano spaccati: lo faceva il governo austroungarico, quello del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, e lo stesso accadeva anche nei territori jugoslavi dopo la Seconda guerra mondiale in cui il livello d’istruzione era basso. Pochissimi sono rimasti intatti come questo. Il rilievo è stato portato al Museo, ma la storica dell’arte Radmila Matejčić, che scrisse il primo libro sul Lapidario, curiosamente, non menziona questo oggetto”, ha precisato.

La collezione si chiude con la scultura di Marco Chiereghin del 1826, che raffigura l’aquila a due teste, simbolo di Fiume. La scultura era collocata in Braida, sulla facciata dell’edificio che in passato ospitava l’Ospedale di Santo Spirito.

Il sarcofago e i «testimoni di Adamich»
Al Lapidario appartengono anche lapidi sistemate lungo il perimetro del parco del Palazzo del governo, il sarcofago rinvenuto una decina di anni fa durante gli scavi dinanzi all’ex Duomo, quando vennero alla luce anche i mosaici che decoravano la basilica paleocristiana del V secolo sui resti della quale sorse in seguito l’attuale chiesa, e i famosi “testimoni di Adamich”, ovvero tredici teste in pietra sistemate dinanzi al Lapidario. Nel XVIII secolo, infatti, erano collocate in Fiumara, davanti all’abitazione del commerciante e possidente fiumano Simeone Adamich. Egli si era talmente arricchito che tra gli abitanti della città circolava la leggenda che avesse uno gnomo, chiamato Malik, che lo aiutava nelle sue imprese economiche. Adamich aveva una proprietà nella baia di Martinšćica e durante i lavori di edificazione vennero alla luce probabilmente dei resti archeologici che i cittadini invece si convinsero fosse un tesoro che egli non dichiarò alle autorità. Quattordici testimoni dichiararono il falso, ma suo figlio Andrea Lodovico si recò a Vienna dall’imperatore e riuscì a convincerlo dell’innocenza di suo padre. Per vendicarsi, Simeone fece scolpire le teste dei 14 testimoni (una è andata persa, nda) e le sistemò dinanzi alla sua casa in Fiumara per svergognarli.

Ciò che abbiamo raccontato qui è soltanto un frammento dell’interessantissima relazione di Ranko Starac, proposta nell’ambito del progetto “Brdo kulture” (Un monte di cultura), che merita di divenire un appuntamento imperdibile per tutti coloro che sono interessati alla storia di Fiume, in quanto offre un’immagine più viva della vita quotidiana nel passato della città.

Uno dei diversi stemmi conservati nel Lapidario

Il tondo con il leone
marciano che si
trovava sulla facciata
dell’ex Municipio
Lo stemma con l’aquila a due teste

I tredici “testimoni di Adamich

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