Theo De Canziani. Il calore e la magia del patrimonio raccontato

Nei meandri di Villa Ružić in compagnia dello storico dell’arte

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Theo De Canziani. Il calore e la magia del patrimonio raccontato
La splendida Villa Ružić a Pećine. Foto: GORAN ŽIKOVIĆ

Una meravigliosa giornata di sole ha impreziosito la già perfetta tradizionale festa natalizia, tutta dorata, organizzata nella fiabesca Villa Ružić a Pećine dallo storico dell’arte Theo De Canziani, attento curatore della Biblioteca e della collezione commemorativa Mažuranić-Brlić-Ružić, per brindare in compagnia di tanti amici all’anno che si sta per concludere, alla bellezza, all’amicizia, alla cultura e alla storia di Fiume. Come al solito, con il suo stile elegante e l’inconfondibile savoir-faire, al centro dell’incantevole giardino circondato dal verde e ingemmato dall’oltre centenario ciuffo di rosmarino raccolto dalla tomba del Petrarca e portato da Viktor e Nada Ružić (figlia maggiore di Ivana Brlić-Mažuranić) dal viaggio di nozze, il quale evoca l’idea dello “spettinato, ma pregiato”, l’appassionato Cicerone di tanti tour cittadini, ha fatto impeccabilmente gli onori di casa. È stata un’occasione, come tante altre, in cui le porte del palazzo sono state generosamente spalancate e la villa, calda e accogliente come sempre, ha abbracciato i suoi ospiti, avvolgendoli negli speziati aromi del vin brulé e dei pasticcini casarecci. Non da meno l’accoglienza riservataci pochi giorni dopo, in occasione del nostro colloquio, in cui oltre agli sfarzi Theo ci ha rivelato anche gli sforzi, non facili, nell’incessante e amorevole impegno di preservare e diffondere l’inestimabile patrimonio.

Recentemente, in occasione della tavola rotonda intitolata “Metropolis: prospettive di una nuova città”, tenutasi negli spazi dell’Exportdrvo e organizzata dalla Società degli architetti di Fiume, il docente presso la Facoltà di Architettura di Zagabria, Maroje Mrduljaš, coordinatore della stessa, ha affermato che il capoluogo quarnerino è la città croata che, dal punto di vista architettonico, maggiormente rimugina sul proprio passato in riferimento al presente e anche al futuro. È d’accordo con quest’affermazione?
“Ritengo che alcune persone del settore, come ad esempio Nana Palinić, che stimo e reputo un’importante esperta, abbiano fatto molto per Fiume, non soltanto a parole, ma soprattutto con i fatti, per salvaguardare e risollevare la riflessione relativa a realtà quali il complesso Metropolis, i magazzini portuali, che in effetti sono ungheresi. Tra l’altro, si è prodigata a pensare Fiume anche guardando al patrimonio ottocentesco, che certi chiamano ‘industriale’, definizione con cui non sono d’accordo. Certamente all’epoca la stessa ne vantava uno, che è rimasto tale fino al momento in cui tutte le fabbriche e le industrie fiumane vennero smantellate e il fenomeno della deindustrializzazione fu forte. Bisogna capire che le industrie sono innanzitutto le macchine e i macchinari utilizzati nel porto, nello squero, nel Silurificio, nell’ex Cartiera, nella Raffineria di oli minerali e in altri luoghi i quali, purtroppo, a seguito di decisioni avventate, vennero buttate, vendute e/o svendute, facendo scomparire il succitato patrimonio. Lo stesso non è costituito da case, da edifici, che rappresentano l’eredità architettonico-industriale, bensì dagli impianti, dalla forza lavoro e dagli spazi di cui non disponiamo più. In quest’ultimi una volta si svolgeva la vita industriale fiumana perché, fino a quel momento, gli operai, oltre a lavorarvi conoscevano tutto ciò che era necessario in relazione al funzionamento dei macchinari, alle modalità di lavoro, come pure le storie e gli aneddoti quotidiani, ovvero erano luoghi dove l’energia veniva generata, trasmessa e usata, così come i locali utilizzati per l’attività sociale connessa all’industria come residenze. Purtroppo, tutto ciò non è stato conservato, registrato e tutelato, come neppure non ci si è avvalsi delle memorie delle suddette persone, ormai in quiescenza le quali, raccontandocele, a mo’ di guide, potevano apportare tantissimo. Solo allora si sarebbe potuto parlare di patrimonio industriale fiumano. Nel nostro caso ci sono rimasti soltanto edifici abbandonati, vuoti e dismessi, per i quali non si fa nulla e che risistemandoli e ripensandoli, potrebbero essere rianimati e diventare protagonisti di trasformazioni virtuose”.

Quindi, a suo parere, la sunnominata riflessione è un mero concettualizzare in luogo di una necessaria patrimonializzazione?
“Le rispondo dicendole che a Fiume vi è una realtà molto interessante, tradotta nell’ex Fabbrica di pellami, uno degli edifici più emblematici di via dell’Acquedotto, costruita nel 1872 da Juraj Ružić, che inizialmente fu uno stabilimento industriale per poi essere consapevolmente convertito, nel 1874, in un palazzo residenziale nel quale vivevano gli operai della stessa. Si tratta senza dubbio del primo esempio di fabbricato industriale a essere stato modificato in condominio a Fiume, ma anche nel Paese e forse perfino fuori dai suoi confini, il che è molto importante. Abbiamo, quindi, a disposizione, una storia viva risalente al 1874 e, in riferimento alla stessa, come a una miriade di altre, possiamo affermare che siamo la città maggiormente all’avanguardia. Vantando il capoluogo quarnerino un importante patrimonio architettonico, anche il solo parlarne è fondamentale, al fine di consapevolizzare le persone. Ed è ciò che cerco di fare”.

Veniamo a Villa Ružić, il cui patrimonio è da lei eccelsamente custodito e che mette generosamente a disposizione alla cittadinanza spalancandone le porte e raccontandola instancabilmente. Lo fa con grande passione e dedizione, investendovi gran parte del suo tempo e delle sue energie. Che cosa la motiva e c’è qualcuno che l’aiuta a mantenerla?
“Parlando in termini di istituzioni o altro, a parte i miei amici che talvolta mi danno una mano nel decorare la villa o a preparare qualcosa, non mi aiuta nessuno. Io faccio l’insegnante e mi occupo di alcune altre attività al fine di poter disporre di possibilità economiche atte al mantenimento della Fondazione ‘Viktor Ružić’, ovvero della collezione memoriale della villa. La stessa è interessante in quanto, abbracciando la storia di una miriade di personaggi di varie famiglie, denota benissimo il succitato racconto fiumano costituito, a seconda dei tempi, da chi era pro e chi era contro un determinato momento politico o altro. La cosa curiosa è che, spesso, appartenevano alle stesse o che, in u determinato momento storico, godevano di una carica importantissima e, magari dopo poco, in questo senso non erano più nessuno. Come già detto in precedenza, è fondamentale il raccontare la storia del patrimonio, salvaguardare la dimensione immateriale. In caso contrario i palazzi, anche quelli di maggior pregio, sono solo edifici, come meri corpi senz’anima. In effetti, ciò che mi motiva, come pure nell’organizzare i tour per i rioni della città, è il desiderio di ravvivare la storia di Fiume e la fiumanità. Fiumani, in effetti, sono tutti coloro che sono giunti in città e che volevano sentirsi tali, anche dopo una generazione. Proprio per questo il suo multiculturalismo e plurilinguismo sono divenuti noti. In tale contesto, parlando di campanilismo fiumano, non si parla solo di spirito identitario, bensì anche dell’uso del dialetto, dello stile di vita. Lo stesso, a differenza degli altri, è sempre stato un po’ complesso in quanto, se lo desideravano, sia un italiano, che un croato, un austriaco, uno sloveno, un ebreo o altri, potevano diventare fiumani, il che oggidì è intuibile dai cognomi che si possono trovare a Roma o altrove, dai quali è evidente che essi non sono solo italiani. Nonostante, poi, la prima lingua ufficiale fosse stata per un periodo l’ungherese, si continua a usare la cadenza veneta, che era la lingua di piazza, colloquiale, come pure i modi di dire, di pensare e di vivere ‘alla adriatica’, ‘alla quarnerina’, ‘all’italiana’”.

Si sente talvolta deluso della scarsa reazione ai suoi appelli, manifestati sempre con rispetto e delicatezza, di salvaguardia della ricchezza storico/culturale/architettonica relativa a Villa Ružić? Chiedendoglielo, considerato il significativo interesse e l’affluenza ai tour rionali, organizzati dal Comitato di quartiere Podmurvice e, nello specifico, dalla sua segretaria, Đuliana Desanti, come pure a quelli nelle ville e nei giardini di Pećine, non mi riferisco alla cittadinanza, che l’apprezza e la segue con grande stima e affetto…
“Non sono deluso della gente che viene e mi segue. In tale contesto, mi piacerebbe costituire un gruppo, un’associazione dei fiumani orgogliosi del loro passato, del presente e anche del futuro. Purtroppo, non sono affatto contento del presente e, al momento, per come si reagisce e per ciò che si sta facendo ora, non intravedo un futuro molto bello. Riguardo, invece, al passato, mi premuro di raccontarlo per fare capire che se alcune cose sono state fatte una volta, è possibile rifarle più volte. Prendendo come esempio il patrimonio della villa, dato il coinvolgimento di tanti Paesi, di tante famiglie, di quello che hanno lasciato in eredità, di ciò di cui si occupavano, della ricchezza materiale, ma anche quella tradotta in racconti, penso non sia interessante soltanto per la Croazia, bensì per tutta l’area adriatica. È fondamentale essere vivi e avere voglia di farla conoscere in modo interessante a coloro che vengono, che desiderano saperne di più sulla casa e/o approfondire quello che già sanno. A ogni incontro qualcuno mi racconta una sua piccola e unica storia, che è molto importante in quanto a differenza di quella grande, ufficiale, di cui possiamo leggere nei libri, non è scritta da nessuna parte. Così, narrazione dopo narrazione, il tutto s’intreccia, e i puzzle s’incastrano in un unicum, arricchendoci. Ecco perché, malgrado tutto, non sono triste. Sempre parlando di storie, nonostante le mie tante autorevoli letture in materia, devo dire che quelle inerenti alle famiglie collegate a Villa Ružić, agli interessanti personaggi che le componevano e che le hanno vissute 150 anni fa, mi hanno dato modo di vivere la città e la vita fiumana secondo il loro punto di vista. In tale senso posso dire di averla ‘vista’ cambiare, allo stesso modo in cui un domani, almeno da come sembra, per noi del ‘secolo scorso’ Fiume sarà irriconoscibile”.

In qualità di curatore della proprietà e dell’importante responsabilità che il ruolo comporta, si sente preoccupato pensando al futuro?
“In effetti sono preoccupato per tutto il nostro patrimonio, non solo per quello relativo a Villa Ružić. Di quest’ultimo, come ha accennato, sono il solo amministratore e, in effetti, è un grande peso: i soldi della Fondazione non bastano per mantenere la casa, per cui spesso e volentieri ci investo del mio. Sono per così dire un ‘one man band’, faccio tutto, dallo spolverare, pulire, intonacare il muro in seguito alla pioggia al ricevere le persone e presentare, il che, a un certo punto, diventa difficile, se non impossibile. Affinché, però, si continui a mantenere in vita anche nel momento in cui non ci sarò più, o non potrò farlo, si è deciso di istituire la Fondazione ‘Viktor Ružić’, la quale proibisce di vendere la collezione e l’immobile, importante perché un ambiente ricco di oggetti collegati tra loro. In caso contrario potrebbe succedere ciò che è avvenuto in merito a raccolte di grande rilievo, ovvero i libri finirebbero in biblioteca, le carte nell’archivio, gli oggetti, i mobili e i quadri in qualche museo o galleria. Lì finirebbe la magia. Se non si raccontano, gli scritti sono noiosi. Un esempio è il ricettario dei primi anni del ‘900 esposto sul tavolo del salone, che apparteneva alla mia prozia, che ogni tanto annuso per sentire quel tradizionale e invitante odore di cucina, dei dolci viennesi, del kugelhopf e mi ricordo di mia nonna, delle mie zie, di tutte quelle persone che non ci sono più e hanno diritto a una memoria. Trasmetterli, poi, diventa naturale e lo scambio è inevitabile. Insomma, faccio quello che posso e mi dispiace che quelli che sono a capo di certe istituzioni, responsabili del suddetto patrimonio, della salvaguardia del nostro passato, non abbiano interesse a farlo. Nel caso della villa, è aperta al pubblico, per il bene della società e, in tal senso, la stessa e, nello specifico, quella politica, dovrebbe reagire. Per quanto mi riguarda, non devo nulla a nessuno. Se volessi farlo, potrei tranquillamente chiudere la porta e infischiarmene”.

Il maestoso salone in tutto il suo splendore.
Foto: GORAN ŽIKOVIĆ

Di che cosa concretamente necessita Villa Ružić?
“Innanzitutto avrebbe bisogno di un restauro in quanto, nonostante non sia tanto vecchia, è esposta alle intemperie, al mare e ha bisogno di qualche ritocchino. In secondo luogo sarebbe importante ci lavorasse del personale qualificato, quali un giardiniere, un addetto alla pulizia dei vetri, a quella dell’immobile e altri. Infine, sarebbe opportuno che i visitatori avessero dentro di sé il senso del donare, del contribuire, non che noi si vada a chiedere loro di farlo. Non è naturale il prendere senza dare nulla in cambio. Offrendo qualcosa si sostiene il progetto, si diventa una pietrina di questo importante palazzo. Attualmente, in seno all’Associazione, il minimo apporto per le visite guidate ammonta a 3 euro, ma ciò non significa che non si possano donare 3mila! Finora non è ancora successo, ma non si sa mai”.

Anche quest’anno, come da tradizione, ha organizzato un bellissimo Natale per i tantissimi amanti di Villa Ružić. Soddisfatto?
“Molto. Il Natale era molto sentito in famiglia e io cerco di mantenerne vivo lo spirito. È uno spazio teso a percepirlo fortemente: basta offrire un pochino di grappa, i kipferl o altre delizie della tradizione regionale e decorarlo a dovere. Da rilevare, oltre all’albero tutto d’oro e agli svariati addobbi, le meravigliose sculture del presepe d’autore, realizzato in ceramica dalla rinomata Margareta Krstić, esposto anche a Betlemme, in Vaticano, a Verona e in tanti altri luoghi, riguardo al quale ha pubblicato il catalogo ‘Il mio presepe’ (Moje jaslice)”.

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