Un sabato d’altri tempi

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Un sabato d’altri tempi

Trieste, sabato 3 novembre: ore 14.30. A mezz’ora dalla partenza del corteo di CasaPound da Largo Riborgo, lo slargo a metà di Corso Italia, un silenzio che spaventa. I gruppi si riuniscono per dar vita a una manifestazione che ha tenuto in scacco la città e i suoi rappresentanti istituzionali. Al “no” chiaro del sindaco Roberto Dipiazza, il Prefetto Anna Paola Porzio, ha risposto concedendo i permessi perché “un diritto costituzionale”. Peccato che ciò sia avvenuto a un giorno dalla grande cerimonia dell’Unità d’Italia e per i cent’ani dalla conclusione della Prima guerra mondiale, in programma il giorno dopo in Piazza Unità d’Italia ma ancor più triste il fatto che tutto ciò si sia svolto nel giorno del patrono della città San Giusto, con reazioni stizzite, ma anche accorate della Chiesa triestina che ha visto trasformarsi la giornata di festa in un confronto da stadio.

Città blindatissima per i due cortei: quello organizzato da CasaPound e quello organizzato, come risposta, dalla rete antifascista, mobilitata dall’Anpi, dalla Cgil e da “Non una di meno”. Diverse migliaia i partecipanti al corteo nazionale di CasaPound, arrivati da tutta Italia: Piemonte, Abruzzo, Veneto, Sicilia con oltre 30 pullman. Impossibile contarli, qualcuno dice 5, altre fonti 3mila persone giunte a ribadire la linea forte da far conoscere all’Italia. Attraverso la musica delle potenti casse acustiche montate su automezzi: Verdi, Vivaldi e Wagner. In testa, tra fumogeni e tricolori, diversi labari, tra cui quello della Federazione nazionale Arditi d’Italia con le medaglie d’oro e della Associazione nazionale Arma milizia. Presenti i due leader: Simone Di Stefano, segretario Nazionale di CasaPound e Gianluca Iannone, fondatore di CasaPound Italia con comizio finale sotto la statua di Domenico Rossetti. Impossibile seguire l’evento da vicino; il corteo ha proceduto dentro una spessa maglia delle forze dell’ordine. Una sfida a sé stessi. Gli esercenti spaventati hanno abbassato le saracinesche il sabato pomeriggio, con la città invasa dai turisti: perdite che nessuno rifonderà.

Il contro-corteo

Come risposta, il corteo antifascista ha fatto registrare ancora più persone, circa cinquemila secondo i dati della Questura. Il contro-corteo è stato organizzato dalla rete Trieste antifascista-antirazzista. È partito da Campo San Giacomo con la richiesta di “riappropriarsi della città e fermare l’invasione di CasaPound”. Molte le persone che alle finestra hanno esposto scritte e bandiere a favore di una o dell’altra parte. Durante il corteo antifascista un gruppo isolato dell’estrema sinistra ha raggiunto alcuni esponenti del Pd apostrofandoli in modo determinato: “Andate via”. È seguito un breve parapiglia e alla fine un partecipante è stato spintonato riportando alcune lievi contusioni, ed è dovuto ricorrere alle cure mediche, ma alla fine la situazione si è normalizzata. Chi temeva lo scontro frontale ha dovuto accontentarsi di questa scaramuccia all’interno dello stesso corteo. Nessun altro incidente, solo molta rabbia e paura: “Mi i scalmanadi me spaventa, che i li mandi a casa”, abbiamo sentito ripetere. “Ma proprio a Trieste i doveva venir”.

Le bandiere di Fiume, Istria e Dalmazia

Qualcuno era scandalizzato che tra striscioni e bandiere apparissero anche quelle di Istria, Fiume e Dalmazia delle associazioni degli esuli. E ancora lo striscione con sfondo rosso e scritta bianca “Difendere l’Italia fino alla vittoria”, e più in là un altro striscione “Italia: risorgi, combatti, vinci!”.
“C’è una manifestazione contro la nostra – ha commentato il segretario nazionale di CasaPound, Simone Di Stefano – che vuole essere gioiosa, ma dall’altra parte ci sono degli idioti che sono fuori dalla storia. Loro vorrebbero cercare lo scontro, ma una commemorazione come questa non deve essere sporcata da momenti di violenza”.
Comunque, la perplessità riguarda il metodo. Scendere in piazza invadendo la città nel giorno del Santo patrono, non è una commemorazione gioiosa. Scendere in piazza contro qualcuno e non per ribadire qualcosa, non è edificante e non lascia un segno. Anche perché sia la politica italiana che quella internazionale, di spunti ne offrono tanti, quotidianamente per far muovere la gente, sensibilizzare le coscienze, dire di “no” o semplicemente prendere posizioni precise. Nel silenzio di destre e sinistre che non sono più tali, ma degli ibridi nati dalla morte della politica, questi rigurgiti di tempi andati, alla fine risultano patetici. Ologrammi zuccherini che si sono sciolti nella notte. Domenica sarebbe stata dedicata a ben altre riflessioni e speranze.
“Nella patria di Rossetti, non se parla che italian”, diceva il personaggio alla cui statua avevano cercato di incatenarsi i ragazzi di CasaPound, morto vent’anni prima dell’Unità d’Italia che forse a queste scene, preferisce ancora il passaggio dei colombi.

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