Disponibilità e accessibilità per un’alimentazione sana

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Disponibilità e accessibilità per un’alimentazione sana

FIUME | La sicurezza alimentare dipende da tutti e riguarda tutti. La questione, infatti, riguarda sostanze e prodotti destinati ad essere ingeriti con continuità dalla generalità degli esseri umani. Come dire, ciascuno di noi può scegliere liberamente la dieta che vuole seguire, ma tutti gli esseri umani devono alimentarsi per sopravvivere. Ecco quindi che l’impatto di questi beni sulle singole persone e sulla collettività diventa un tema di sempre più diffuso interesse sia da parte dell’opinione pubblica – sempre più consapevole dell’importanza di un’alimentazione sana – sia del legislatore. Ed è proprio sugli sviluppi dell’attività normativa in vigore a livello europeo che si è soffermata ieri alla Facoltà di Giurisprudenza di Fiume la Prof.ssa Silvia Bolognini del Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Udine, che – nell’ambito del Corso introduzione al diritto italiano coordinato dai Proff. Sandra Winkler e Vanja Smokvina – ha tenuto la lezione intitolata “ll diritto dell’UE e la sicurezza alimentare”.

Pluralità di significati

Quando parliamo di sicurezza alimentare – ha introdotto Silvia Bolognini – dobbiamo innanzitutto renderci conto che il concetto si distingue per la pluralità di significati che ingloba e che in inglese vengono indicati con i termini di “food security” e di “food safety”. Vanno cioè considerati sia il profilo quantitativo sia quello qualitativo dei prodotti che ingeriamo, ovvero da un lato bisogna fare in modo che su un certo territorio siano disponibili quantità di derrate alimentari sufficienti a garantire cibo sufficiente a coprire le necessità di sopravvivenza delle persone e che queste siano accessibili ai cittadini. Al contempo – ha proseguito la Prof.ssa – gli alimenti devono anche essere sicuri dal punto di vista igienico-sanitario, ovvero devono presentare garanzie in termini di qualità tossicologiche, nutrizionali e informative. Particolarmente importante risulta quest’ultimo aspetto e il perché sia dovuto alla stessa natura dei prodotti alimentari in quanto la mera osservazione del loro aspetto non consente una corretta valutazione delle loro caratteristiche e quindi un giudizio riguardante il possibile impatto sulla salute delle persone. Ecco quindi che risulta necessario stabilire una serie di regole, a partire da quelle base che consistono nel definire il prodotto alimentare per poi sviluppare tutta una serie di principi che vanno applicati onde raggiungere l’obiettivo di fondo.

Definizione e procedure

Per quanto riguarda il diritto dell’UE va sicuramente menzionato il Regolamento 178 del 2002 del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (con sede a Parma) e fissa le procedure nel campo della sicurezza alimentare. Ma dalla nascita della Comunità europea al 2002 il percorso è lungo e per comprendere meglio le regole attuali risulta fondamentale volgere lo sguardo indietro fino agli Anni ’50 per poi avvicinarsi ai giorni nostri seguendo le vicissitudini che hanno imposto i cambiamenti di atteggiamento nel settore che ruota attorno alla realtà agricola. Non va dimenticato infatti che negli anni in cui nasceva la compagine che sta alla base dell’odierna Unione europea era ancora forte il ricordo della fame sofferta dai cittadini durante la Seconda guerra mondiale – ha ricordato Silvia Bolognini –. Nulla di più logico quindi del fatto che all’epoca gli Stati fondatori puntarono su una forte tutela dei settori agricoli nazionali impostando una politica protezionistica che prevedeva un sistema di aiuti diretti per i produttori, ma anche di dazi mobili per le merci importate onde limitare la loro competitività sul mercato e di restituzioni all’export che non mancavano di produrre effetti negativi in vari settori.

Approccio protezionistico

L’obiettivo era quello di proteggere i prodotti nazionali – e soltanto dopo lunghi negoziati e accesi ragionamenti si era arrivati a porre dei paletti stabilendo un elenco tassativo dei beni passibili di una tutela così accentuata –, ma soprattutto di garantire la sicurezza degli approvvigionamenti. Obiettivi raggiunti, tanto che a metà degli Anni ’80 in Europa si era arrivati a una situazione di sovraproduzione tale da giustificare l’attivazione di un meccanismo chiamato PEAD, che consisteva nella distribuzione delle scorte acquistate dagli Stati agli indigenti (sostituito poi dal FEAD che prevedeva aiuti economici). La situazione però non si è mantenuta costante nel tempo: con il passare degli anni è stata sì superata l’emergenza alimentare, ma gli Stati hanno dovuto confrontarsi con quella energetica che ha imposto un cambio di passo. Nascono in quel contesto ad esempio gli aiuti diritti per le colture energetiche e altre misure che hanno incentivato l’abbandono dell’attività agricola facendo riemergere il rischio di doversi confrontare con una carenza di alimenti. Rischio che non è stato superato. Basti pensare che, stando ad alcune valutazioni, dallo scoppio della crisi economica del 2008 a oggi il numero di persone con difficoltà di accesso al cibo risulta essere aumentato del 75 per cento. A chiaro danno della salute.

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