Riccardo Cucchi: «Azzurri, quanto mi mancate…»

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Riccardo Cucchi: «Azzurri, quanto mi mancate…»

Generazione 1954. È una delle voci storiche del programma radiofonico “Tutto il calcio minuto per minuto” (ribadisce sempre: “che maestri Ameri e Ciotti”), trasmissione seguita per anni da tutti gli appassionati di calcio e di Serie A anche al di qua del confine, prima che le tv satellitari e Internet non prendessero piede rendendo il calcio italico accessibile a tutti gli appassionati. Il ricordo torna indietro a quando si aspettava al pomeriggio la sintesi di un tempo della partita del giorno e tutti i servizi di “90º minuto” con i mitici inviati molti dei quali rispolverati da “Quelli che il calcio”, altri purtroppo deceduti. Durante quella trasmissione, che si può definire tranquillamente cult, Cucchi ha affiancato Sandro Ciotti, Enrico Ameri e Alfredo Provenzali colonne dello sport via radio. Ebbi il piacere di conoscere l’ultimo durante le Universiadi di Zagabria. La sala per i giornalisti all’epoca “YU” era troppo chiassosa e con il collega del “Novi List”, connazionale ed ex de “La Voce del Popolo”, Orlando Rivetti ci trasferimmo nella sala stampa esteri facendo comunella con i colleghi italiani, anche per una questione di convenienza reiproca per uno scambio di informazioni forti della lingua che ci accomunava.

Cucchi, laziale dichiarato ma solo dopo il pensionamento, oltre al calcio ha seguito anche canottaggio, scherma e atletica leggera, sport quest’ultimo di cui commentò le gare del 1992 alle Olimpiadi di Barcellona. Il 12 febbraio 2017 con Inter-Empoli di Serie A ha commentato la sua ultima partita quando si è accomiatato dal microfono con un semplice “questa volta è davvero tutto, a te la linea”. Nell’agosto dell’anno scorso Riccardo Cucchi, dopo anni di radio, si sbarazza di cuffie e microfono debuttando alla “Domenica Sportiva”. L’effetto per lo spettatore è strano: dopo esser stato per anni attaccato alla radiolina, vedere il volto della voce che ti ha fatto compagnia per anni, regalato gioia e talvolta dolori, ti lascia un po’ in surplace perché magari ti aspettavi qualcosa di diverso… Ma oggi la condizione è splendida, la chiacchierata con Riccardo fila via liscia come se fosse musica rossiniana una radiocronaca, ad un certo su richiesta di chi scrive, impegnato a prendere appunti, rallenta un po’. C’è un Mondiale partito in Russia con la sfida della nazionale di casa e l’Arabia Saudita. Una storia quella del pallone iridato lunga 88 anni.

Sberla meritata

Riccardo, ma che Mondiale è senza l’Italia?

“Per noi italiani è un brutto Mondiale sotto tutti gli aspetti – risponde secco –, ma va detto anche che quella sberla con la Svezia ce la siamo meritata, evidentemente era una squadra non pronta a fare grandi cose, a grandi obiettivi, traguardi”.

Ti convincono le scelte fatte da Mancini?

“Il nuovo ct ha preso quanto di meglio offrisse il campionato e anche altrove, come Balotelli ad esempio che ha fatto cose egrege in Francia, ma è un calciatore che continua a dividere l’Italia pallonara a metà.
Mancio ha convocato ragazzi che hanno visto il centro di Coverciano per la prima volta. È il meglio della Serie A”.

Però priva di talenti veri, la cui limpidezza in passato emergeva già nell’Under 21, come ai tempi di Azeglio Vicini o Cesare Maldini…

“È vero, a questo proposito devo dire che i ragazzi al giorno d’oggi calcisticamente crescono in maniera diversa: sono preparati atleticamente, tatticamente pure, ma poi magari non sanno fare un cross, dribblare l’avversario. Effettivamente i settori giovanili non generano più talenti alla Del Piero, allaTotti, per citarne qualcuno. Il calcio è cambiato…”.

Colpa dei troppi stranieri nelle squadre di A?

“Non possiamo chiudere gli occhi di fronte all’evoluzione del mondo: le frontiere sono aperte. È innegabile che una certa esterofilia c’è, i calciatori stranieri sono ‘dannosi’ quando vengono usati laddove ci potrebbe stare un calciatore italiano di talento. Ma visto che i vivai non producono tanti calciatori promettenti è chiaro che poi le società ricorrano ai ripari all’estero”.

Il calcio non vende cioccolatini

Come vivi questi Mondiali in Russia accompagnati da tutta una serie di polemiche, dall’assegnazione, alla situazione politica e Putin fino alla costruzione degli impianti?

“Posso dire che è un Mondiale dal quale fin dalle prime battute FIFA e UEFA ne escono con le ossa rotte: ricordiamo gli scandali che hanno coinvolto Blatter e Platini. Casi che hanno dimostrato e che dimostrano assieme alla Champions League come il calcio sia diventato un grande business. È positivo che in Russia dal punto di vista meteo non farà tanto caldo. Considerando tutto l’insieme mi auguro che dalla Coppa del Mondo russa possa arrivare un messaggio di ritorno al passato. ‘Il calcio non vende cioccolatini o macchinine’, il calcio regala passione e emozioni alla gente che è del tutto diverso”.

Che opinione hai del concetto di “nazionale” in una sfida fra nazioni. Lo ritieni superato?

“No, no. Una sfida del genere mi piace specie se ci fosse la mia di Nazione. Perché vedi il calcio fra club, in Italia come altrove, è fonte di divisioni, scontri e violenze varie: la nazionale invece è quel collante per tutti i tifosi, quella che fa emergere il senso di patriottismo che unisce in modo positivo con la speranza che poi non venga esasperato. I club dettano legge a modo loro durante un’intera stagione e impongono diverse condizioni. Una competizione fra nazioni ci vuole, a me piace”.

Occhio alle sudamericane

Sarà il Mondiale di chi?

“Difficile dirlo anche perché le vie del calcio sono infinite. Mi viene in mente un nome: mi attendo molto dal Brasile che secondo me oltre a poter contare su una rosa di grande spessore, vuole assolutamente lavare l’onta per quel brutto 7-1 subito dalla Germania a Belo Horizonte nel luglio 2014, semifinali di quel Mondiale. La rosa del Brasile è dotata di grandissimi talenti in tutti i ruoli. Subito dietro ai carioca vedo gli argentini, un Paese che calcisticamente è il più prolifico di tutti: basta contare il numero di giocatori provenienti dall’Argentina che militano in Italia in Serie A o nei maggiori campionati d’Europa. La loro rosa è da considerare alla pari del Brasile. Sembra fra l’altro che il ct Sampaoli, già a guida del Cile, abbia dato dimostrazione di essere garanzia di grande sapere tattico e tecnico, e poi c’è quel folletto di Messi che ti può decidere le partite quanto meno te l’aspetti. Se una squadra come l’Argenina può permettersi di lasciare a casa Icardi è di mettere in dubbio Dybala fino alla fine, significa che ha una potenza d’urto tremenda. Dal punto di vista motivazionale all’albiceleste, il titolo manca dal 1986 (Messico), voglia per fare bene ce n’è”.

AMORE PER CR7

Tre nomi: Messi, Neymar, Cristiano Ronaldo?

“Personalmente, pur subendo qualche critica, sono un grande ammiratore di Cristiano Ronaldo, quasi un fan. È un grande atleta, un grande professionista, ha grande umiltà e non disdegna di mettersi al servizio della squadra. Per non parlare del grandissimo talento di cui possiede. Quando era al timone del Real chiesi a Carlo Ancelotti se fosse difficile allenare Cristiano Ronaldo. Mi rispose senza esitazione alcuna: ‘Facilissimo’. Infine CR7 è una persona di grande umanità”.

Che idea ti sei fatto della nazionale croata e come la giudichi?

“Considero la Croazia da anni il Brasile d’Europa, per talento e tecnica dei giocatori di cui è dotata. Dando un’occhiata alla rosa si vede che la maggior parte milita in club dei maggiori campionati europei, dall’Italia alla Spagna, dalla Francia all’Inghilterra. Esperienza e maturità di conseguenza sono garantiti oltre che tecnica. Non so perché la Croazia non abbia raccolto quanto meriterebbe sulla carta: questione di carattere?, di temperamento?. Quest’anno ci sono le carte in regola per un grande risultato visto l’alto profilo della rosa. Poi decideranno dettagli ma soprattutto, viva il calcio e buon divertimento. Da Cucchi è tutto, a voi il Mondiale…

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