Eau de d’Annunzio, una festa dei sensi

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Eau de d’Annunzio, una festa dei sensi

Paroliere, filologo, artiere, fabbro, condottiero, politico, teatrante, gioielliere, giocoliere, auronauta, eternauta, arringatore, erotomane, miliziano, dandy, avventuriero, monaco, araldo, veggente, profeta, poeta e altro ancora. Gabriele d’Annunzio (Pescara, 1863 – Gardone Riviera, 1938), è stato un creatore immaginifico. E anche a distanza degli ormai ottant’anni della scomparsa, continua a riservarci sorprese, a farci (ri)scoprire lati forse meno noti ed esplorati del suo considerevole, inimitabile opus. Questa volta passano un po’ in secondo piano il condottiero dell’Impresa di Fiume, il legislatore della Reggenza italiana del Carnaro, lo scrittore, il tombeur de femmes della letteratura italiana. Emerge invece il suo intimo e profondo legame con il potere segreto degli odori.

Come afferma Patrick Süskind nel romanzo Il profumo del 1985 “… gli uomini potevano chiudere gli occhi davanti alla grandezza, davanti all’orrore, davanti alla bellezza e turarsi le orecchie davanti a melodie e parole seducenti. Ma non potranno mai sottrarsi al profumo”. Non ci riuscì nemmeno d’Annunzio, che nella sua villa, il Vittoriale degli Italiani sul lago di Garda, amava impregnare di profumo tende, abiti e tessuti, oltre ai suoi scritti. Di fragranze naturali era circondato anche nei suoi diciassette mesi trascorsi a Fiume: alloro, lavanda, rosa, salvia, rosmarino, ginepro, resina di pino e cipresso e altro ancora, senza dimenticare la suadente aria di mare, irradiata dal vento di bora.

Dev’essere stata un’esperienza sensoriale indimenticabile, tant’è che è stata fonte d’ispirazione per il naming di una linea di sei essenze prodotte dalla Società Anonima Stabilimenti L.E.P.I.T. di Bologna (casa che ebbe successo tra la metà degli anni ’30 e ’40 del secolo scorso), che fece accompagnare dal motto “Cum lenitate asperitas” (Le difficoltà vanno trattate con dolcezza). “Caro Signore, è ottima cosa inventare nuovi profumi in una Italia che ogni giorno fabbrica tanti cattivi odori e vanitosamente li esporta a Parigi e a Londra. È bizzarria non senza grazia chiedere i nuovi nomi a chi nella sua fatica e nella sua lotta è costretto di trascurare tutte le ‘delicatezze’, anche quelle dei droghieri croati. Oggi Fiume è coronata di violette come l’antica Atene. E oggi la violetta di Fiume è la più odorosa violetta del mondo. Sola mihi redolet. Ecco i nomi. Buona fortuna!”. Gabriele d’Annunzio, in una lettera datata Fiume d’Italia 3 marzo 1920, annunciava i nomi per i flaconcini della serie I Profumi del Carnaro, ispirati alla passione per la terra che l’aveva visto protagonista della storia mondiale:

La Fiumanella (titolo assegnato poi anche a una rivista letteraria del 1921), La brezza del Carnaro, La rosa degli Uscocchi, La liburna, Il lauro di Laurana, L’ardore del Carso, L’alalà. “Così in Italia, con materia e mano d’opera italiane, sono stati plasmati tutti gli elementi che costituiscono I Profumi del Carnaro, meravigliosi e olezzanti frutti della nostra industria”, recitava la pubblicità del tempo.

Come ricorda Pietro Gibellini (“ll ‘naso voluttuoso’ di Gabriele d’Annunzio. Dalle lettere al suo profumiere” in Il profumo della letteratura, a cura di Dianiela Ciani Forza e Simone Francescato, Milano, Skira, 2014, pp. 211-230), tutta la parte artistica, disegni di flaconi, etichette, scatole e illustrazioni dell’opuscolo esplicativo dei prodotti furono firmati dall’artista Adolfo De Carolis (lo xilografo del Notturno). I flaconi vennero realizzati a Murano nella vetreria dei fratelli Barovier e i cofanetti a Milano dalle Grafiche Baroni (come pure l’opuscolo, 1920, con disegni di De Carolis).

Percorso suggestivo

E se I Profumi del Carnaro hanno condiviso il destino della smemoria e l’opera di smantellamento dell’eredità dannunziana, oggi introvabili, altre essenze non soltanto sopravvivono, ma conoscono per certi aspetti una rinascita. Tutto grazie alla mostra

D’Annunzio e l’arte del profumo. Odorarius Mirabilis, ospitata dalla Fondazione Il Vittoriale degli Italiani, fino al 27 gennaio 2019. L’esposizione eccezionale – fortemente voluta da Giordano Bruno Guerri (presidente del Vittoriale) e da Marco Vidal, direttore commerciale di MAVIVE e amministratore delegato di The Merchant of Venice (della famiglia Vidal, che da più di un secolo si dedica a Venezia alla produzione di profumi suggeriti da una cultura che sa pescare tra pagine di ricettari preziosi) – presenta oggetti, ricette, documenti, ampolle e le fragranze raccontate dal poeta, in una suggestiva scenografica firmata da Pier Luigi Pizzi. Ideata da Paola Goretti, che ha curato la parte letteraria, Maurizio Dallanese, per la creatività grafica del profumo, Lisa Costantini al coordinamento del progetto, l’esposizione ha avuto la collaborazione di diversi “nasi” che hanno firmato le fragranze ispirate al Vate.

La mostra rappresenta la terza (e ultima) tappa di un’offerta articolata, che ha visto prima la profumazione della Prioria (marzo 2017) mediante quattro postazioni con diffusori a ciclo continuo, seguita dal lancio della linea ispirata al Vate, “Odorarius Mirabilis: i profumi di d’Annunzio” (giugno 2017), comprensiva di quattro fragranze ispirate al Vate e che riproducono i nomi delle opere più famose del poeta e delle personalità che l’hanno affiancato nella sua vita: Aqua Nuntia, Ermione, Divina Musa, Il Piacere, cui si sono aggiunte nel 2018 Notturno e Il Fuoco.

Il percorso si snoda tra flaconi e ampolle – tra cui quelle dell’ Aqua Nuntia, ideata dal Vate –, alambicchi, vasi per gli unguenti, bruciaprofumi, tra teste michelangiolesche, busti quattrocenteschi, stipi e trumeaux, romanzi, carteggi, intimi pensieri… Sono circa centocinquanta gli esemplari esposti, suddivisi in quattro sezioni. Si inizia dall’Area Documentaria con gli acquisti per uso personale, lettere, ricevute, materiali cartacei e l’Area Bibliografica con la collezione dei testi aromatici d’alta epoca.

L’itinerario prosegue con il Sancta Sanctorum che introduce il visitatore ad un percorso iniziatico che si rivela per “cappelle”, come in un tempio: la Cappella Rinascimentale, dominata dal busto muliebre del Laurana; quella dedicata a Maria Maddalena e ai suoi unguenti miracolosi; quelle della Divina Eleonora (la Duse) e di Santa Cecilia; l’Iconostasi consacrata ad Apollo; l’Officina dell’Aqua Nuntia; l’Altare del Giglio; la Farmacia; l’Olfattorio.

Questi luoghi organizzano le passioni aromatiche del Vate in una grande Area Celebrativa, dove le ampolle e l’osmosi liturgica con la parola odorosa sono assolute protagoniste. Gli ambienti sono interamente rivestiti di profumo, per predisporre un contesto immersivo, accogliente come un abbraccio. Tra evocazione delle “divine” e visioni letterarie, effetti votivi e misteri pagani. Un ambiente alchemico ricco e segreto che si addice al virtuosismo con cui il Vate sigla ogni intuizione compositiva.

Atmosfere inebrianti

Negli ambienti del Museo d’Annunzio segreto è stato ricostruito l’intero universo olfattivo del dandy, del guerriero, del profumiere e del poeta d’Annunzio. Del resto, aromi, essenze, effluvi sono parte rilevante della sua scrittura immaginifica. Profluvi di rose inebrianti, gigli soprannaturali, giunchiglie innamorate, gardenie incandescenti, tuberose desiderabili, odori d’ambra, di muschio e di rugiada; di sacrestia, cuoio, anticaglie; remoti come liquori di cent’anni o freschi come perle fiumane: per d’Annunzio il profumo è tutto e tutto è nel profumo. Dallo spettacolo della natura e delle stagioni descritto nell’Alcyone alla memoria olfattiva che nutre la passione amorosa nel Piacere, dal racconto dell’olfatto come guida verso il risveglio dalla malattia nel Notturno ai continui riferimenti in appunti privati e lettere alle amanti, ogni opera di d’Annunzio è intrisa di amore per il profumo. Persino il documento testamentario con cui cede il Vittoriale allo Stato italiano, datato 22 dicembre 1923 e perfezionato il 7 settembre 1930: “Anche da poco ho fondato il Teatro aperto, e ordinato le scuole le botteghe le officine a rimemorare e rinovellare le tradizioni italiane delle arti minori. Batto il ferro, soffio il vetro, incido le pietre dure, stampo i legni con un torchietto che mi trovò Adolfo piceno, colorisco le stoffe, intaglio l’osso e il bosso, interpreto i ricettari di Caterina Sforza, sottilizzo i profumi”.

Odorarius magister: così il Vate è chiamato dal dottor cavalier Mario Ferrari della Farmacia Internazionale di Gardone Riviera, in una lettera del 4 marzo 1925 che ne magnifica la potente disposizione olfattiva, sguazzante di ebbrietà. A d’Annunzio procurava le fragranze più alla moda, provenienti da ogni dove, senza badare a spese. E numerosi furono i profumi creati o ispirati dal poeta e anche i suoi rapporti con importanti profumieri italiani e stranieri dell’epoca. Il suo interesse derivava dallo studio di antichi ricettari rinascimentali che tuttora si trovano nella biblioteca del Vittoriale, come i Notandissimi secreti de l’arte profumatoria, gli Experimenti di Caterina de’ Medici, fino al Ricettario Galante del Principio del secolo XVI, dove troviamo, a margine di un’antica ricetta di profumo, un appunto autografo di d’Annunzio con la formula dell’ Acqua Nuntia. Tra fragranze esclusive, evocative, poetiche, la mostra offre un viaggio sensoriale unico, un’autentica festa dei sensi.

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