Dove va la minoranza?

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Dove va la minoranza?

Dove va la minoranza? Le ultime elezioni dello scorso 8 luglio hanno denunciato l’esistenza di un malessere profondo, di un insidioso distacco dei connazionali dal “sistema CNI” e, forse, di una preoccupante perdita del desiderio di essere e di riconoscersi come comunità. La più bassa affluenza al voto (17,4%) nella storia delle elezioni dell’Unione Italiana ci deve far riflettere. A preoccuparci non è tanto il dato percentuale, ma il basso numero di votanti: poco più di 5mila rispetto ai quasi 9mila del 2014, ai 10mila del 2010, agli 11mila del 2006, ai 13mila del 2002, ai 15mila del 1998 e del 1993 e ai 13mila del 1991 (allora con sole 23 comunità e un’affluenza dell’84%). Su trenta connazionali (aventi diritto al voto) venticinque non si sono recati a votare; solo un sesto dell’elettorato ha scelto di onorare le urne. Cinquemila elettori, è vero, rimane sempre una bella cifra se si fa un raffronto con le altre realtà associative delle minoranze in Croazia, Slovenia e nel mondo, e soprattutto se si considera che il nostro, fra la gran parte delle comunità nazionali, è l’unico sistema elettorale diretto e a suffragio universale. Resta la delusione e l’amarezza per quello che, quanto a partecipazione, è il risultato peggiore nella storia della vita democratica della nostra minoranza, da quando cioè vi sono libere elezioni.

Ricercatori ed esperti

È necessario analizzare senza indugio le cause di questo disagio, ed è indispensabile farlo senza animosità, magari delegando il compito a ricercatori ed esperti in grado di offrirci una radiografia precisa dei nostri mali, una diagnosi e una cura; evitando, se possibile, sterili contrapposizioni, divisioni, asti personali. L’Assemblea dell’UI sarà certamente lo spazio delegato ad affrontare questo problema. L’importante è che lo si faccia nel rispetto dei valori democratici e pluralistici, delle prerogative dell’opposizione, dell’ascolto, del diritto di critica, ma con senso di responsabilità, tenendo conto, sempre, dei valori imprescindibili dell’unità e dell’estrema vulnerabilità del nostro essere minoranza.

Avvelenati i pozzi

Sarà un processo molto difficile, perché questo malessere che ci ha portato a disertare le urne e che evidentemente sta covando da decenni, ci ha divorati; ha avvelenato i pozzi. Oggi la capacità di dialogo e di confronto all’interno del sistema politico della CNI è ridotta ai minimi termini. Maggioranza e opposizione (o presunte tali, vista l’incongruenza e inafferrabilità delle loro dinamiche) non si parlano, sono in uno stato di guerra permanente, si stanno dimostrando incapaci di interagire; stanno lasciando spazio solo a muri di silenzio, a rabbie e rancori personali. Dietro l’angolo vi è l’insidia di pericolose e insanabili divisioni che rischiano di portare a una mortale frantumazione della minoranza; a un punto di non ritorno oltre il quale finiremmo per perdere tutti e a perdere tutto.

Ricambio e rinnovamento

La cronica mancanza di ricambio e di rinnovamento delle nostre strutture, dei vertici del gruppo nazionale, l’incapacità di dare vita a un efficace sistema pluralistico, di articolare in modo disciplinato il confronto politico fra diverse liste e gruppi d’opinione in grado di esprimere proposte e progetti di ampio respiro, l’assenza di una vera dialettica democratica all’interno dell’Assemblea UI e di regole efficaci per attuarla, il latitare di una dimensione economica della minoranza, i ritardi di un ampio progetto di coinvolgimento dei giovani e dunque di “riproduzione” del nostro tessuto sociale e identitario, il deficit di “classe dirigente” e intellettuale del gruppo nazionale, l’assuefazione a un lungo periodo di mancata alternanza e a una totale dipendenza dai finanziamenti italiani, hanno dato vita a una “democrazia bloccata”, a una situazione di “stallo” che rischia di soffocarci. L’allarme lanciatoci dai dati sull’affluenza delle ultime elezioni ci impone di reagire con determinazione: non possiamo permetterci altri mesi o anni di diatribe, un’ulteriore “legislatura” da trascorrere all’insegna del muro contro muro. Non ci sono alternative all’avvio di un ampio progetto di rilancio, sviluppo e rinnovamento delle strutture del gruppo nazionale, a un serio e responsabile ripensamento del “sistema minoranza”.

Un patto per lo sviluppo

Si tratta di creare le condizioni, stringendo un nuovo “patto per lo sviluppo” fra i soggetti del gruppo nazionale, per garantire una nuova fase di crescita della comunità nazionale. Per farlo dobbiamo assicurare alcune condizioni: la reale volontà, da parte di tutti, di cambiare, un nuovo clima di pacificazione e di solidarietà all’interno dello spazio politico minoritario atto a superare i “veleni” e le contrapposizioni del momento, la creazione di un’efficace cornice democratica in grado di coinvolgere tutti i connazionali di buona volontà, di includere e valorizzare tutte le nostre forze intellettuali, partendo in primo luogo dai giovani, rispettando le diverse opinioni politiche. A questo fine sarebbe utile dare vita a una “convenzione programmatica”: una struttura progettuale costituita dalle migliori “teste pensanti” del gruppo nazionale, da alcuni degli intellettuali ed esperti più preparati, dai rappresentanti più qualificati delle nostre istituzioni e delle nostre comunità, cui delegare il compito di definire un ampio progetto di rilancio del “sistema minoranza”. Un organismo, suddiviso eventualmente in vari “sottogruppi” (per le modifiche regolamentari e statutarie, le proposte programmatiche in campo politico, in quello economico, della scuola, della cultura, dei giovani, del rapporto con la Nazione madre) che alla fine del suo lavoro potrebbe sottoporre le sue proposte, dopo un dibattito pubblico, all’approvazione dell’Assemblea dell’Unione Italiana oppure, se necessario (sui documenti programmatici più importanti) a un referendum tra i connazionali (facendo attenzione ad usare oculatamente questo strumento).

Persone di buona volontà

Sarebbe un modo per spostare l’attuale confronto a un “campo neutro”: delegando la fase preparatoria e propositiva ad un soggetto terzo, un organismo composto da esperti e persone di buona volontà. Abbiamo bisogno di un grande progetto, dunque, per tracciare, in questo difficile momento (trascorsi 27 anni dalla fase costituente che dette vita, nel 1991, alla nuova Unione democratica) un nuovo quadro per il nostro futuro. Un coraggioso disegno di prospettiva che, per avere successo, è auspicabile si basi, come rilevato, su un chiaro “patto sociale” che dovrebbe fungere da “cornice di indirizzo” della convenzione programmatica. Fra i suoi punti principali ci dovrebbero essere quelli della difesa dell’unità e della soggettività della Comunità italiana in Croazia e Slovenia, il rispetto degli individui, la strenua tutela di ogni connazionale e dei valori di condivisione, solidarietà e identità nazionale intesi come patrimonio irrinunciabile del nostro essere comunitario.

Principi fondanti

È fondamentale inoltre salvaguardare alcuni dei principi fondanti della fase costituente e democratica della nuova Unione Italiana: la larga base sociale a democrazia diretta, le elezioni a suffragio universale, l’individuo-cittadino inteso quale fulcro del sistema rappresentativo, l’abbandono del precedente sistema delegatario o a elezione indiretta. Si tratta di garantire, contemporaneamente, un’adeguata rappresentanza delle istituzioni e delle comunità dando vita, eventualmente, a un secondo ramo dell’Assemblea, o garantendo maggiori funzioni e poteri (di consenso o di veto) agli Attivi consultivi. Una delle riforme più urgenti da adottare è certamente quella tesa a rendere più efficace e qualitativamente democratica l’Assemblea dell’Unione Italiana riducendo il numero dei consiglieri e prevedendo la loro elezione nell’ambito di una circoscrizione unica coincidente – come avviene adesso per i presidenti – con l’intero territorio d’insediamento della CNI. I consiglieri in questo modo rappresenterebbero non le singole Comunità degli Italiani, ma le diverse opzioni e proposte programmatiche sui grandi temi e gli obiettivi comuni della minoranza e, soprattutto, verrebbero eletti, con migliaia di voti, dall’insieme del corpo nazionale. L’alternativa sarebbe riconoscere che siamo solo una piccola e modesta struttura consociativa, priva o povera di soggettività e partecipazione, con elezioni a voto palese fra poche decine di connazionali.

Autonomia e soggettività

Si avverte inoltre l’esigenza di profondi cambiamenti nel rapporto con le istituzioni della Nazione Madre in un quadro che deve preservare, con la chiarezza, l’efficacia e la trasparenza dei mezzi destinati al nostro sostegno, l’autonomia e la piena soggettività della minoranza. A questo fine riteniamo non sia più prorogabile una forte mobilitazione del gruppo nazionale (se necessario con la raccolta di firme e l’avvio di una petizione) per richiedere l’approvazione, da parte del Parlamento italiano, di una “Legge d’interesse permanente a favore della minoranza italiana in Slovenia e Croazia”. Uno strumento normativo, da lungo tempo atteso, che riassuma, aggiorni e migliori in un testo unico tutte le norme e le disposizioni legislative sinora prodotte a favore del gruppo nazionale e che, soprattutto, offra garanzie certe di sostegno e di finanziamento in un quadro organico non più soggetto a costanti modifiche, necessità di rifinanziamento, incertezze, complessità di attuazione o ritardi burocratici. I nuovi consiglieri dell’Assemblea UI hanno una grande responsabilità. Quella di decidere se proseguire con lo scontro e rischiare di rompere ciò che rimane del sistema associativo della minoranza, oppure di avviare coraggiosamente il dialogo per costruire, insieme, nonostante tutte le difficoltà e le divergenze, un grande progetto di sviluppo. Di fronte al baratro dell’inferno Dante faceva dire a Virgilio: “Qui si convien lasciare ogne sospetto; ogne viltà convien che qui sia morta”.

Bando ai litigi

Sotterriamo le asce di guerra; questo non è il momento dei litigi. Saranno il tempo, o la storia a giudicare le responsabilità o i meriti dei singoli, a stabilire chi ha avuto torto e chi ragione. Pensiamo a salvare la nostra Comunità, a dare un senso al suo destino, a proteggere, se possibile, il nostro futuro.

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