«Superare le distanze che ci separano da un possibile progetto comune»

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«Superare le distanze che ci separano da un possibile progetto comune»

“Fino al 1945 la nostra storia era storia italiana… ormai si tratta di esistenza e sopravvivenza dei due tronconi della nostra popolazione. Perciò ci attende non solo la classica fiammata improvvisa che dura lo spazio d’un mattino, ma una seria riflessione su come rideclinare i termini chiave della nostra civiltà, perché i paradigmi tradizionali di interpretazione funzionano male o non funzionano più.” Sono queste parole di Nelida Milani che, in una sincera e cruda analisi della situazione delle genti istriane, esuli e rimasti, scritte per il convegno di ottobre organizzato dal Circolo “Istria” di Trieste, danno il senso della difficile situazione attuale della comunità istriana-fiumano-dalmata, intesa nel suo complesso. Da quell’analisi, dagli interventi dei partecipanti, dalle conclusioni del convegno, strenuamente voluto dal vicepresidente del Circolo, Ezio Giuricin, si devono oggi individuare gli obiettivi per un’azione che ci porti a “ridiventare assieme ciò che siamo”, sono sempre parole della Milani.
Abbiamo quindi chiesto a Giuricin, giornalista e storico, quali siano queste azioni e gli obiettivi da raggiungere.

“Nel concepire il convegno siamo partiti da una doverosa premessa. A oltre 70 anni dall’esodo e dalla riduzione della componente italiana in Istria, a Fiume e in Dalmazia a minoranza, consapevoli della situazione complessa e difficile che in questo momento stanno attraversando non solo la realtà dei “rimasti”, ma anche quella degli esuli, in assenza di una chiara strategia di tutela e rilancio di questa componente, tra qualche decennio la presenza italiana nell’Adriatico orientale rischia di scomparire. Per questo motivo abbiamo chiamato a raccolta alcuni intellettuali, delle persone di buona volontà, esponenti della nostra realtà, per interrogarci sul da fare, per evitare appunto un ulteriore declino e cercare di delineare un ampio progetto complessivo – che oggi manca – per la salvaguardia, la valorizzazione e la continuità della nostra presenza in queste terre.
Dal dibattito al convegno sono emerse varie proposte articolate in un appello e un manifesto che sono stati inviati a tutte le istituzioni competenti. Si tratta del primo passo di un processo che – si spera – dovrebbe coinvolgere organicamente le strutture della minoranza e quelle degli esuli, nella consapevolezza che il nostro futuro non potrà che dipendere dalla collaborazione e dall’unità d’intenti fra le due realtà”.
Si tratta quindi “di superare le distanze che ci dividono da un nostro possibile futuro comune, per creare ponti, condividere un’appartenenza più ampia, costruire un futuro diverso rispetto a un passato caratterizzato da idee ed entità monolitiche e spesso contrapposte”.

Il primo passo, ma anche qualche difficoltà ancora in piedi, si esprime chiaramente sempre con le parole della Milani. Ma poi a voi promotori di quest’azione di sollecitazione sono apparsi elementi nuovi, dal dibattito in corso, ed iniziative urgenti ed importanti da promuovere?

“Siamo partiti dall’esigenza di convincere le autorità italiane ad approvare una legge di interesse permanente, sia per la minoranza che per il mondo associativo degli esuli, al fine di superare le attuali lacune che contraddistinguono la politica e le iniziative di sostegno da parte italiana nei confronti di queste due realtà. Parlando di un progetto complessivo per lo sviluppo e l’affermazione della componente italiana, un ruolo importante, anzi fondamentale, è quello che deve essere svolto dalla Nazione italiana, che non può subordinare gli aiuti alla comunità a meccanismi burocratici che stanno rivelando sempre più spesso la loro inadeguatezza e inefficienza, all’incertezza dei rifinanziamenti e, più in generale, a modalità che sinora si sono rivelate assolutamente inadeguate. Giova ricordare la situazione in cui versa l’Università Popolare di Trieste, il cui commissariamento impedisce oggi ogni attività. Chiedendo che si promulghino delle leggi di interesse permanente, poniamo una questione di fondo: quella di un diverso approccio legislativo alla tutela della nostra realtà, che esprima un interesse costante dell’Italia nei nostri confronti e la volontà di esprimere una chiara strategia a sostegno della presenza italiana nell’Adriatico orientale”.

Che cosa dovrebbe pertanto essere contenuto in questa legge, di cui avete espressamente detto nel manifesto approvato dai partecipanti al convegno?

“Per prima cosa si tratta di garantire un finanziamento permanente, non più soggetto cioè a rifinanziamenti triennali, con passaggi parlamentari e decisioni governative, che dipendono peraltro dalla sensibilità delle diverse maggioranze. È necessario che questi stanziamenti vengano assegnati senza ritardi e rinvii, senza inutili complicazioni burocratiche, per consentire alle associazioni di fruire in modo efficace dei contributi e, per quanto riguarda la minoranza, di evitare la mediazione di soggetti intermedi, spesso al centro di una filiera lunga e inefficiente. È fondamentale che si riassumano in un testo unico tutti gli interventi e strumenti normativi a favore della nostra componente, oggi presenti nel quadro legislativo italiano, migliorandoli e completandoli, tenendo conto della realtà attuale, in modo da esprimere, anche attraverso questa legge, una visione complessiva della politica italiana nei confronti della minoranza e degli esuli. Si tratta poi di sviluppare una dimensione economica, che potrebbe affermarsi anche attraverso la più stretta collaborazione tra esuli e rimasti, coinvolgendo imprenditori italiani o comunque esponenti delle seconde e terze generazioni dell’esodo, oltre che attivando le risorse previste dai progetti europei”.

C’è poi una questione aperta sul permanere dell’identità italiana nelle nuove generazioni…

“Al convegno è emersa fortemente l’esigenza di un’azione più incisiva a sostegno del consolidamento dell’identità italiana delle scuole con lingua di insegnamento italiana in Istria e a Fiume, rafforzando il loro ruolo formativo in chiave di affermazione dell’identità e coscienza nazionale.
Un’esigenza fondamentale per affermare una maggiore soggettività della componente italiana, attraverso strumenti di tutela e di un bilinguismo che non devono essere soltanto formali, ma che devono tradursi concretamente nella vita di ogni giorno di una realtà come quella istriana, tradizionalmente multiculturale”.

È stata da più parti chiamata in causa la scuola, quale responsabile del mantenimento e consolidamento dell’identità italiana. La scuola italiana dovrebbe essere un contenitore nel quale i giovani compattamente, attraverso la lingua e l’insegnamento della nostra cultura, sviluppino un’identità collettiva.

“In alcune realtà scolastiche nelle pause si parla sempre meno in lingua italiana; è un fatto che deve preoccupare e che deve imporci di proporre nuove soluzioni per l’affermazione del ruolo della scuola italiana. Al convegno, nel corso del dibattito, si è parlato dell’esigenza di sviluppare una maggiore, sostanziale autonomia della scuola italiana, attraverso la costituzione di un provveditorato autonomo, ovvero di strutture in grado di realizzare dei percorsi didattici tesi a valorizzare realmente il patrimonio culturale, le tradizioni e l’identità italiane del territorio. È stato rilevato come la situazione scolastica sia diversificata da località a località e passi da situazioni più che soddisfacenti a realtà in cui sarebbero necessari importanti interventi. La rete scolastica inoltre, pur essendo ricca e fitta, in oltre 50 anni non ha avuto sviluppi significativi e non ha accompagnato la contemporanea crescita delle comunità italiane”.
Se tra i figli degli esuli rischia di scomparire l’idea di appartenenza a una cultura e tradizione ben radicata nei genitori, il problema delle nuove generazioni è un tema ancor più pressante nelle comunità italiane?
“Alla dimensione della scuola e a quella economica è legata la questione dell’affermazione dei giovani delle nostre comunità, sia nelle file della minoranza che in quelle del mondo degli esuli. Per quanto riguarda la minoranza, senza base economica e l’offerta di posti di lavoro in italiano è difficile evitare l’emigrazione e l’abbandono del nostro territorio da parte delle giovani generazioni. Il nostro futuro è legato alla capacità di assicurare il rinnovamento e ricambio generazionale a tutti i livelli, obiettivi di fondamentale importanza per la minoranza, che tuttavia grazie alle scuole può comunque contare su strumenti importanti, ma che è ancora più importante per il mondo associativo degli esuli, dove il passaggio del testimone, ovvero dei valori e del patrimonio culturale delle nostre terre dai protagonisti dell’esodo a figli e nipoti, si va facendo sempre più difficile e rischia di interrompersi. Da qui l’esigenza di una collaborazione forte e continua tra la comunità rimasta e le associazioni degli esuli, per sviluppare e garantire, e questo è un altro degli obiettivi fondamentali del convegno, un progetto di ritorno culturale ed economico delle seconde e terze generazioni dell’esodo, sia con investimenti economici comuni, sia con lo sviluppo di iniziative culturali, che testimonino la nostra presenza in quest’area. Un primo passo potrebbe essere quello di organizzare seminari itineranti destinati alle giovani generazioni dell’esodo in Istria, a Fiume e in Dalmazia, per far conoscere loro le peculiarità del territorio, delle loro origini e sensibilizzarli a un progetto di ritorno culturale. Senza la stretta collaborazione fra le due realtà, purtroppo per troppo tempo divise, della componente italiana dell’Adriatico orientale, ovvero esuli e rimasti, questi obiettivi saranno difficilmente raggiungibili”.

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