In viaggio verso i rimasti Rivivere l’Istria di Guido Miglia

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In viaggio verso i rimasti Rivivere l’Istria di Guido Miglia

E a un certo punto succede. Le tessere s’inseriscono nel posto giusto a comporre il mosaico che avevamo immaginato. Il tempo, grande maestro, insegna ad attendere, per capire e vincere, almeno con noi stessi, mentre gli altri, tutti gli altri, potrebbero avvertirlo a fare proprio il messaggio che ne scaturisce.

Pensieri in libertà che emergono dalla lettura dell’ultimo libro di Silva Bon dedicato a “Guido Miglia. Rivivere l’Istria”, insegnante, giornalista e scrittore, personaggio poliedrico, figlio di queste terre di confine che ha cercato di capire con testardaggine, mai soddisfatto delle risposte, convinto di dover scavare per costruire.
Il libro nasce da una ricerca che la storica Silva Bon ha accettato di affrontare sollecitata dal collega Roberto Spazzali “che aveva appena terminato di sistemare il fondo Guido Miglia – racconta l’autrice – consegnato dalla famiglia all’IRSML”. L’Istituto per la Storia del Movimento di Liberazione nell’FVG ora pubblica il libro con il contributo del Circolo di Cultura “Istria”.

Cosa c’era nel fondo, da cosa si compone?

“Documenti, fotografie, ritagli di giornale, veline degli articoli per la stampa e per le sue trasmissioni RAI di Trieste, dattiloscritti dei romanzi, carteggi, tutto infilato in dieci buste che nessuno aveva ancora visto. Ci pensai, avvicinandomi poi in punta di piedi al materiale ricco e vario. Nell’ultima busta le storie di polesani e istriani che aveva ritenuto degni di essere ricordati e con i quali condivideva idee e ideali. Dieci le buste e dieci i capitoli del libro”.
Leggiamo a pagina 28 del volume: “Guido Miglia nasce a Pola nel 1919, figlio di operai: il padre lavorava come operaio all’Arsenale austroungarico della città, al cantiere di Scoglio Olivi. Proveniva da Orsera. La madre da Promontore, di origine contadina; ma ambedue nati a Pola e perciò parlanti solo italiano, o meglio, il dialetto veneto-istriano. Miglia studia e diventa maestro. Viene mandato a Gimino a insegnare a ragazzi che non conoscono l’italiano. Al rimprovero rivolto a un ragazzo che non frequenta regolarmente le lezioni, questo risponde che il padre lo manda a “pasculat”. Miglia si sente “straniero” come scriverà nei suoi libri. Sarà direttore de L’Arena di Pola negli anni difficili e poi esule a Trieste fonderà una rivista letteraria. Dopo aver lavorato per anni come insegnante si dedicherà alla scrittura, al giornalismo e condurrà alla radio RAI regionale, il programma “Voci e volti dell’Istria”.
Mai come in questo libro il coinvolgimento della Bon è stato totale, profondo: lo si avverte chiaramente.

A cosa è dovuto?

“Quando ho cominciato a leggere i libri e gli scritti di Miglia ho scoperto l’assoluta aderenza del suo pensiero al mio modo di sentire e valutare il discorso dell’Istria, dell’esodo ad andati e rimasti, nodi e problemi in cui le idee di Miglia combaciavano perfettamente con le mie”.

A che osa si riferisce in modo particolare?

“Alla linea di pensiero che continua a essere attuale e presente. Un esempio: il fatto che bisogna lottare per mantenere vivi la lingua istriana, l’istrioto, la cultura, le origini, lavorare in loco con la popolazione italiana autoctona e fare in modo che tutte le strutture, vale a dire ministeri degli Esteri, istruzione, beni culturali, ma anche i singoli circoli culturali, oltre all’UPT, contribuiscano a mantenere vivo questo patrimonio composto dalla lingua e dalla cultura italiana per non perdere le nostre terre. Riconoscersi in questi valori, perché no, come in un progetto condiviso, affinché la nostra non diventi una lingua morta. Ho capito che è necessario, oggi più che mai, andare verso i rimasti. Fare insieme”.
Guido Miglia ci lascia un’eredità preziosa – scrive Ezio Giuricin nella prefazione che segue l’introduzione di Livio Dorigo. “Silva Bon in questo volume ne traccia e ripercorre sapientemente i tratti e i contenuti più importanti. Consegnandoci una vera e propria mappa per capire la forza precorritrice, la straordinaria portata innovativa del pensiero di questo grande scrittore istriano”.

Ma perché è così importante la vicenda di Guido Miglia?

“Perché quanto dice, trasmette, racconta fa parte di una fetta della mia vita – risponde ancora la Bon -, della vita di noi tutti, nella quale io, in particolare, ho assorbito i discorsi di mia madre, che erano duri, spesso di chiusura, perché era vissuta in un altro tempo, quando l’imperativo era sopravvivere. Ho scritto il libro quando lei è mancata, e questo mi ha aiutata in primis ad elaborare il lutto, ma aprendomi a una concezione delle cose molto diversa dalla sua, per certi versi liberata da preconcetti e nazionalismi”.

Quali concetti emergono in questa nuova elaborazione?

“Guido Miglia è stato il mediatore di un recupero delle radici; è il responsabile di un passaggio del testimone tra generazioni. L’assonanza con i suoi ideali, aperti al confronto sociale; democratici nella ricerca costante del dialogo inclusivo; ribaditi con la coerenza di tutta una vita nell’orgoglio di un’appartenenza identitaria istriana, veneta, italiana; mi hanno trovata schierata dalla sua parte, a pormi domande di valenza personale e nello stesso tempo collettiva, propria della gente che vive sul confine, sulla frontiera. Noi che abbiamo vissuto il ‘68 avevamo uno sguardo diverso rispetto alla guerra e alle terre perdute. Chi come me ha dovuto vivere il contrasto con le generazioni dell’esodo, si rende conto che, salvaguardando i diritti, come dice Miglia, abbiamo pagato un debito di guerra con l’esodo e questo deve venire riconosciuto nel giusto modo. Oggi a Capodistria giro sentendomi a casa mia. Parlo in italiano con tutti e mi rispondono, ci capiamo e questa è una grande ricchezza. Miglia mi ha guidata in un viaggio che è stato scoperta intellettuale e insegnamento umano, insieme: non solo descrizioni, vedute, paesaggi e vestigia peculiari con i suoi bozzetti istriani, ma anche esemplare testimonianza di coraggio, di virilità nel ribadire i valori antichi, i sentimenti universali profondi dell’uomo, la verità che sta sotto gli occhi di tutti: a volte scomoda, non dicibile. Al di fuori di ogni opportunismo lui ha dichiarato la propria appartenenza, sociale, politica, umana. Con certezze che non escludono ricadute dolorose e laceranti. Ma con forte, dignitosa, consapevole assunzione di senso di responsabilità”.

Che cosa l’ha colpita maggiormente del pensiero di Miglia?

“Due cose: il grande amore per la terra istriana e per la sua bellezza e il suo discorso politico lungimirante, aperto al dialogo tra i popoli e aperto a quell’idea di Europa nella quale anch’io mi riconosco completamente. Devo dire che mancava, nella mia formazione, l’aspetto della bellezza di questa terra alla quale egli dedica grande spazio; mancava proprio nella mia educazione familiare. Ecco perché credo che il suo libro più importante sia “Dentro l’Istria” scritto su suggerimento di Biagio Marin, nel quale esprime il suo discorso politico che scoppierà pienamente in ‘“Istria una quercia’”.

Fu uno dei primi a ritornare in Istria dopo l’esodo. Come lo spiega?

“Aveva un bisogno urgente di ritrovare la gente durante questi viaggi continui, ripetuti. Si ferma a parlare con contadini, pescatori, amici, che lo accolgono nelle loro case, parlando in dialetto con semplicità, con umanità, ragionando sulle difficoltà del quotidiano, ma anche della bellezza e dei doni della terra. Non disdegna il mare, tanto che comprerà una battana a Rovigno per goderne tutto l’incanto”.

È quasi un omaggio a Stuparich il suo narrare i doni della pesca.

“È la gioia di vedere – scrive in Bozzetti istriani – le nasse piene di aragoste, di scampi, di branzini e di orate lucenti, dall’occhio ancora vivido, dalle branchie rosse ansimanti, mentre guizzano ancora sul fondo della barca. O nelle tiepide notti andare lungo la costa rocciosa con la lampara, starsene a prua con la fiocina tesa, pronti a colpire i calamari, le seppie, le scarpene immobili negli anfratti, abbagliate dalla grande luce…”

C’è poi tutto il discorso dei carteggi. Con Quarantotti Gambini, Voghera, Marin.

“Quest’ultimo in particolare, in una lettera fondamentale, gli pone la terribile, sconvolgente domanda: perché siete andati via? Non era meglio che gli italiani restassero in Istria? Domande che lo tormenteranno, affiorando dall’inconscio e alle quali risponderà con l’impegno e il lavoro di tutta una vita, con la sua testimonianza politica e letteraria futura”.

Quando si è scritto un libro cosa lascia nell’autore?

“La pienezza di aver potuto stabilire delle relazioni empatiche e dei contatti umani forti con le persone collegate ai personaggi del libro. Ho conosciuto Elisabetta Miglia, la figlia di Guido, ed è nato un rapporto di grande calore umano, molto importante. Lei e la madre sono state le prime a leggere il mio lavoro e nel vederle contente, ho provato una grande soddisfazione”.

Il volume è fresco di stampa e già un altro progetto sta prendendo forma.

“Ho iniziato un lavoro sul liceo Combi di Capodistria negli anni della ricostruzione, dal 1919 quando l’Italia ha riaperto le scuole e fino al 1922, materiale che avevo in parte analizzato per un saggio pubblicato in un volume del Crs di Rovigno. Il coordinamento è di Kristjan Knez per i 90 anni di Almerigo Apollonio. In questo momento mi sto occupando della ricerca negli archivi di Capodistria, sia nell’archivio centrale che nella biblioteca Srečko Vilhar. Poi mi sposterò in quello di Trieste dove sono raccolti i documenti del Provveditorato dal quale il Combi dipendeva in quegli anni”.

E la presentazione ufficiale del volume di Miglia?

“La data non è stata ancora decisa ma se ne sta occupando il presidente del Circolo Istria, Livio Dorigo. Si svolgerà all’IRCI e poi, a fine maggio, a Gorizia in occasione di eStoria. Poi andremo, felici, in Istria, dove tutto ha avuto origine”.

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