Con Fiume nel cuore, addio ad Alfredo Fucci

Fu per anni fedele e assiduo collaboratore di questa nostra rubrica. A ricordarlo è l’amico e collega Luciano Aguzzi

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Con Fiume nel cuore, addio ad Alfredo Fucci

“Anno bisesto, anno funesto”, dicevano i nostri vecchi. E il 2020 è stato proprio un anno da dimenticare. Lo è stato soprattutto per chi l’anno scorso ha vissuto, oltre a dure crisi e lockdown da pandemia, la scomparsa di qualcuno dei propri cari. Tra i tanti l’anno passato si è portato via anche uno dei collaboratori di questa nostra rubrica. A giugno è venuto a mancare il fiumano Alfredo Fucci, del quale sulle nostre pagine abbiamo pubblicato a lungo, per anni, tante “ciacolade”. Esule a Carate Brianza, in provincia di Monza, dove è venuto a mancare il 19 agosto dell’anno scorso, era nato a Borgo Erizzo, in quel di Zara, il 24 novembre del 1930, ma aveva trascorso gli anni della sua infanzia a Fiume, si considerava esule fiumano e al capoluogo del Quarnero era affezionatissimo, non soltanto per i numerosi ricordi che legavano gli anni della sua adolescenza alla città, ma anche perché al cimitero di Cosala aveva sepolti i nonni materni (Malle). E oltre che a frequentare puntualmente i Raduni degli esuli fiumani, tornava a Fiume volentieri, quando poteva, per “respirar a pieni polmoni l’aria de la tera natia”, come ebbe a dire in uno dei suoi nostalgici e commoventi scritti. Ora che non c’è più, ci sembra doveroso ricordarlo e vogliamo farlo, per sua gentile concessione, con un toccante testo a firma del prof. Luciano Aguzzi, che di Alfredo, che era docente di Disegno e storia dell’arte, oltre a esser stato preside e collega, era anche sincero amico.

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Un altro caro amico di lungo corso se n’è andato, lasciandoci quel vuoto che diventa sempre più ampio man mano che si sopravvive ai familiari e agli amici che ci hanno accompagnato per lunghi anni della nostra vita. Ho conosciuto Alfredo nel settembre del 1976, arrivato al liceo scientifico statale di Milano “Salvador Allende” come docente di Storia e Filosofia, in trasferimento da altro liceo di Milano. Alfredo era già allora un’“istituzione”, docente di Disegno e storia dell’arte in quel liceo, fondato nell’anno scolastico 1970/1971, fin dal 1971. Quindi era già il “decano” del liceo e in un momento difficile aveva svolto anche l’incarico di vicepreside con funzioni di preside, per malattia del titolare.

Aveva alle spalle una storia lunga e movimentata. Figlio di Vincenzo Fucci, un campano dirigente statale che, come direttore nel campo delle manifatture di tabacchi, ogni pochi anni era destinato a una sede diversa, Alfredo nasce a Zara, allora città italiana, mentre il padre era là come direttore della manifattura tabacchi. Seguirà poi gli spostamenti della famiglia a Fiume, Milano, Venezia, Salerno, di nuovo a Fiume, a Sorrento, Napoli, Arezzo, Firenze e, dal 1953, di nuovo a Milano, come studente all’Accademia di Belle Arti.

La madre, Bianca Malle, apparteneva a una tipica famiglia mitteleuropea. Di origini francesi quel ramo dei Malle si era trasferito in Ungheria alla fine del Settecento e aveva raggiunto una buona posizione con attività commerciali. Coll’andare del tempo, nella seconda metà dell’Ottocento, un ramo della famiglia si era trasferito a Fiume, importante porto sull’Adriatico dell’impero Austro-Ungarico e qui era nata Bianca Malle. Persone di cultura europea, che avevano familiarità con l’italiano, il francese, il tedesco, il croato e l’ungherese e che usava, come lingua familiare e quotidiana, il veneto.

Alfredo, nato a Zara, cresce poi a Fiume fino al 1935 e a Fiume ritorna nel 1943. Nel suo vissuto, è Fiume la città dell’Eden dell’infanzia, ed è anche la città della tragedia della guerra. Dall’11 settembre 1944 al 3 maggio 1945, benché ancora fosse solo un ragazzo del ginnasio, viene preso prigioniero dall’occupante tedesco e costretto al lavoro coatto nella TODT (Organisation Todt, fondata da Fritz Todt, Reichsminister für Rüstung- und Kriegsproduktion – Ministro degli Armamenti e degli Approvvigionamenti).

Alla fine della guerra la famiglia scappa da Fiume per sottrarsi alla persecuzione che il nuovo regime comunista jugoslavo scatena contro gli italiani. In modo avventuroso arriva a Padova dove sosta per qualche tempo al Campo profughi, poi si trasferisce a Bologna e infine a Salerno, dove Bianca Malle e Alfredo si ricongiungono con Vincenzo Fucci, che si era trasferito in Italia dopo la caduta di Zara. La famiglia riunita riprende la sua vita nell’Italia del dopoguerra. Alfredo consegue la maturità classica al liceo “Galileo Galilei” di Firenze nell’estate del 1953 e si trasferisce a Milano per frequentare l’Accademia di Belle Arti.

Frequenta l’indirizzo di pittura e decorazione e fra i suoi maestri vi sono grossi nomi, fra i quali Achille Funi, uno dei fondatori del movimento Novecento. Si diploma il 30 giugno del 1957 con il massimo dei voti (110/110). La brutta esperienza della guerra e della prigionia lasciano un forte segno nel carattere di Alfredo, che sviluppa la tendenza a “nascondersi”, si potrebbe dire. Non desidera “apparire”, fare carriera, ma vivere tranquillo, con un forte senso del dovere, il gusto del lavoro ben fatto, ma non il desiderio di emergere. È un buon pittore, ma firma i quadri con nomi di fantasia e li vende per vivere, in attesa di diventare insegnante, lavoro per il quale si sente portato. Non fa mostre e non desidera che gli siano attribuiti i quadri che dipinge. Solo più tardi firmerà alcuni dipinti, pochissimi, dedicati a ritratti della moglie. Per un anno lavora come consulente pubblicitario e come vetrinista, oltre che, in segreto, come si è detto, come pittore. Il 28 giugno del 1956 si sposa con Fernanda Asson, anche lei pittrice, e ha quindi bisogno di guadagnare per la famiglia in aumento, con la nascita del figlio Vanni.

Nel 1958 inizia la sua carriera come docente, supplente in diverse scuole di Milano. In seguito, superato il concorso, diventa docente di ruolo nel 1963 e come prima sede è inviato a Castel di Sangro (provincia de L’Aquila) dove resta fino al luglio 1964.

In quegli anni Castel di Sangro è un piccolo paese di 5mila abitanti, poverissimo, con il tipico aspetto di tanti paesi di agricoltori e pastori del Meridione. È per Alfredo un’altra esperienza che lascia il segno. Intanto, nel tempo libero, disegna il paesaggio e scatta fotografie. La fotografia è sempre stata una sua passione e ne ha fatto un mezzo per uso didattico coltivato con ottimi risultati, insieme, più tardi, all’uso di vari sussidi audiovisivi, dalla cinepresa ai registratori di videocassette, al computer e alla grafica computerizzata.

Nell’anno scolastico 1964/1965 torna a Milano, docente di ruolo in una scuola media, in classi differenziali. E si occuperà di classi differenziali fino al 1970, quando passerà dalle medie al liceo. Dopo un anno allo scientifico “Paolo Giovio”, di Como, viene assegnato al nuovo liceo milanese che poi prenderà il nome di “Salvador Allende”. La prima sede è provvisoria, ma dall’ottobre 1973 il liceo si trasferisce nella nuova sede appena costruita nell’ambito del complesso scolastico comunitario “Giancarlo Puecher” che comprende, oltre al liceo scientifico, un istituto tecnico industriale e un istituto tecnico commerciale. Insomma, si arriva a quasi 4mila studenti e a circa 400 persone fra docenti e personale amministrativo, tecnico e ausiliario. Il nuovo centro è una costruzione “modello”, dotato di palestre, campo sportivo, palazzetto dello sport, teatro, mensa, bar, sala medica, biblioteca comune ai tre istituti (oltre a quelle di ogni singolo istituto), ampi giardini. È quasi un “campus” all’americana, una “cittadella scolastica” che presto rivelerà però una sua anima che si manifesta con un vivace movimento degli studenti e frequenti azioni di sciopero e occupazioni. Alla situazione propria di quegli anni Settanta si unisce il fatto che il Centro “Puecher” è situato alla periferia sud di Milano, in una zona di rapido sviluppo abitativo che trova proprio nel Centro, nei suoi spazi e nei 4mila studenti concentrati in tre istituti confinanti, un luogo di aggregazione e di crescita politica e culturale dei giovani, non solo studenti, ma anche altra gente del quartiere, compresi operai, per i quali gli studenti ottengono la possibilità di frequentare la mensa, che da mensa scolastica diventa mensa aperta a tutti.

Ci sono momenti di tensione politica alta e Alfredo svolge un ruolo importante in alcune fasi, in collaborazione con la presidenza, ma esercitando un’azione di mediazione con gli studenti e di sostegno di quelle rivendicazioni che lui riteneva giuste e realizzabili. E sarà fra i promotori dell’intitolazione a Salvador Allende negli anni immediatamente dopo il colpo di Stato in Cile. E più tardi, quando l’intitolazione diviene ufficiale, promuoverà la collocazione di una lapide e di un piccolo monumento ad Allende nell’atrio del liceo. Nel settembre 1976, come ho detto, arrivai in quel liceo e Alfredo fu tra i primi docenti con cui mi trovai a familiarizzare, benché non avessimo classi in comune. Da quella data l’amicizia non s’interruppe più e fu ricca anche di collaborazione, sia a scuola come colleghi sia fuori come amici. Dal 1990, quando tornai al liceo come preside, Alfredo fu per me un continuo e valido punto di riferimento in mille modi. Rimasto vedovo per la morte prematura della moglie, la passione per l’insegnamento e per gli audiovisivi (e al liceo aveva la responsabilità del laboratorio degli strumenti didattici audiovisivi) lo inducevano a passare gran parte del suo tempo a scuola. Era il primo ad arrivare al mattino e l’ultimo ad andarsene di pomeriggio, fermandosi ben oltre il suo orario, sempre indaffarato nella cura e nell’allestimento di sussidi per la didattica del disegno e della storia dell’arte. Per anni abbiamo pranzato insieme alla mensa scolastica e poi, quando questa venne chiusa per decisione della Provincia, contestata senza successo da studenti e professori, in trattorie e ristoranti della zona. Pranzi, infinite chiacchierate e frequenti incursioni, insieme, in mercatini di roba usata dove io cercavo libri e lui cimeli militari di cui era collezionista.

Continuammo a vederci, sebbene sempre più raramente e poi a sentirci spesso per telefono e con contatti via mail, anche dopo il reciproco pensionamento. Alfredo era andato in pensione il 1.mo settembre 1998, con il massimo d’età e di servizio consentito dalla normativa. Per lui fu un trauma dal quale si riprese a poco a poco. A differenza della maggior parte dei docenti che se ne andavano in pensione appena possibile, lui era di quei pochi che avrebbero voluto restare a scuola anche oltre l’età consentita di 65 anni o, con l’eventuale proroga, a 67. Si era intanto trasferito da Milano alla vicina Monza, dove aveva abitato la madre e là era morta e seppellita nel locale cimitero. Da pensionato non volle dedicarsi alla pittura, mentre io cercavo di convincerlo a farlo. Coltivò i suoi hobby legati agli apparecchi audiovisivi e informatici (aveva in casa anche una telescrivente con la quale riceveva i messaggi dell’Ansa e di altre agenzie stampa) e al collezionismo di cimeli militari. Ma poi trovò qualcosa che lo appassionò di più e a cui dedicò molto tempo. Cominciò a scrivere alcuni brevi articoli d’arte su giornali locali e poi passò a una collaborazione più frequente e di tipo diverso con il quotidiano “La Voce del popolo”, che esce a Fiume e con il periodico degli esuli “La Voce di Fiume”. Fra quelli editi e quelli inediti ha scritto fra il 2005 e il 2014 circa 50 articoli, tutti in dialetto veneto e tutti dedicati a ricordi autobiografici degli anni passati a Fiume e alla vita familiare e della città fra il 1930 e il 1946. A metterli insieme ne verrebbe un volume interessante. I ricordi dell’infanzia e della giovinezza e di quel Paradiso terrestre che per lui era Fiume occuparono così diversi anni della sua vita. Tornò anche in viaggio a rivedere quei luoghi e partecipò a incontri e convegni degli esuli fiumani.

Poi l’età e l’accumularsi di acciacchi presero via via il sopravvento. Caro Alfredo, ci hai lasciato il ricordo di una vita tormentata e con momenti di acuto dolore, ma anche gratificata di passione, di amicizia, di cose fatte. Il liceo ha intitolato al tuo nome l’aula di disegno, dove hai passato venticinque anni della tua vita e dove hai educato al disegno e all’arte centinaia e centinaia di allievi. Per me, oltre che un collega e un collaboratore, sei stato un amico e come amico ti avrò sempre presente finché la memoria mi assisterà.

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