ROBE DE MATTEONI Vediamo di capire a che gioco giochiamo

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ROBE DE MATTEONI Vediamo di capire a che gioco giochiamo

È proprio un bel tipo Fabio Capello. Da ragazzino lo guardavo in televisione come mezz’ala della Juventus e del Milan. Gli anni trascorsi da calciatore alla Roma non me li ricordo bene come quelli da allenatore, quando portò i giallorossi allo scudetto nel 2001. Era già un grandissimo allenatore al Milan negli Anni 90. Ci vedevamo spesso a Milanello e “dintorni”, dove si allenavano i rossoneri. Dal 1992-96 e poi nel 1997/98, erano al Milan gli anni di Zvonimir “Zorro” Boban, il quale mi aprì la porta del mondo rossonero.
Altri tempi in tutti i sensi: media, calcio, il mondo in quanto tale. Erano gli anni in cui imparai a vivere la quotidianità del calcio d’élite. Il tassello che manca quando il calcio lo vivi dall’esterno come giornalista, tifoso, spettatore. Lo puoi immaginare, ma non “assaporare”. Diciamo che fu come frequentare un master di calcio…
Fabio Capello, durante il secondo anno a Milanello, capiva perché fossi un intruso nel “suo” mondo lavorativo. Così una mattina, passando per il salottino di Milanello, mentre il cameriere mi chiese “Signor Matteoni, il solito cappuccino…?” ecco che il grande Fabio, con aria sbarazzina, aggiunse: “Matteoni, non rompere i …oni!” tra le risate del cameriere e di Boban, appena arrivato. Ovviamente non me la presi… Erano già due volte che tramite l’addetto stampa avevo chiesto l’intervista a Capello. Promesse, ma niente di concreto. Poi la chiesi al direttore sportivo Ariedo Braida. Ottimismo sì, ma non se ne fece nulla. Ecco, quella mattina dissi a me stesso: gliela chiedo direttamente. Peggio di un “no”, simbolicamente espresso in quel “non rompere”, non mi può capitare. Infatti, dopo l’allenamento di recupero vidi Capello davanti alla foresteria e gli dissi: “Mister non rompo, però, per piacere, un paio di dichiarazioni per il mio giornale…”. “Va bene, va bene, mi aspetti al bar del ristorante, appena finita la doccia arrivo…”, la sua risposta.
Ero euforico. Mi piazzai davanti alla vetrata godendomi il sole nei minuti d’attesa. Dopo mezz’ora mi venne il dubbio, dopo un’ora anche la certezza. Se n’era andato, mi aveva dribblato ancora una volta. Qualche anno dopo mi dissero che era forse per scaramanzia, perché lui ci teneva molto a quest’aspetto. Sarà che dopo aver vinto le partite mi “negava” l’intervista? Chissà, ma so che aveva un rituale… estremo. Me lo disse lo stesso Boban. Capello entrava in campo sempre dopo il giocatore con il numero 8. Lo indossava da calciatore e quello era il suo modo scaramantico per iniziare la partita dalla panchina. Una volta Costacurta si mise dietro all’8, ovvero Rijkaard, e lui lo spinse di brutto…
Perché tiro in ballo Capello? Sabato scorso avevo un dubbio “atroce” mentre mi trovavo al volante percorrendo la Pola-Fiume. A Rujevica c’era Rijeka-Istra 1961, mentre a Cherso era di scena l’Uljanik. La prima partita era più importante per motivi di lavoro, mentre la seconda lo era sul piano familiare in quanto mio figlio gioca per i cantierini. Logicamente e umanamente optai per quest’ultima. Il dubbio mi venne spontaneo i quanto c’era un’atmosfera particolare, sembrava che l’Istra 1961 potesse centrare la sua prima storica vittoria sulle rive del Quarnero. Pensai: “Se sarà così, è mio dovere esserci”. Poi mi venne la “sindrome Capello”. Forse sono io che porto sfortuna, meglio sorvolare. Nel dubbio ho… preso il primo traghetto per Cherso, arrivando in campo giusto in tempo per il fischio d’inizio.
I “miei” giocano maluccio dal primo minuto: autogol da “mai dire gol”, rigore dopo dieci minuti e 0-3 nella ripresa. Sul cellulare però mi arriva il messaggio: 0-1 a Rujevica. Non guardo le immagini, non domando proprio nulla su quello che sta accadendo. A Cherso l’arbitro decreta la fine. Un dirigente dell’Uljanik mi dice come se non fosse successo nulla di particolare che l’Istra 1961 aveva vinto, almeno loro… Almeno loro? Ma è una vittoria storica, la prima dopo 76 anni!
Tanto di cappello a Gonzalo Garcia e ai suoi giocatori. Ci credeva lui e ci credevano loro, come i numerosi tifosi che hanno raggiunto Fiume. E se la sono goduta, con brividi negli ultimi 10-15 minuti. Ne valeva la pena.
Oggi l’Istra 1961 ospita al Drosina il Gorica. In caso di vittoria si porterà a +13 dal fanalino di coda e con una partita in meno. Il che vuol dire, facendo un po’ di conti, che l’Istra 1961 potrebbe centrare la salvezza con notevole anticipo e magari aprire scenari di alta classifica. Ma se perde?
Il Gorica è ultimo e deve vincere per alimentare la speranza della salvezza. A Pola, in quattro anni, l’Istra 1961 ha festeggiato in una sola occasione (in otto partite) contro ili Gorica. C’è un altro problema. I polesi hanno vinto soltanto una delle sei partite casalinghe, contro l’Osijek (1-0) quasi tre mesi fa. Non mi pronuncio per questo venerdì perché l’Istra 1961, quando deve confermare una vittoria, quasi sempre fa cilecca.
Se si infrange anche questo “tabù”, allora per i polesi sarà un campionato “anomalo”, cioè molto più ambizioso rispetto al passato.

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