ROBE DE MATTEONI Il «clasico», il Bernabeu e l’intervista a Ronaldo

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ROBE DE MATTEONI Il «clasico», il Bernabeu e l’intervista a Ronaldo

So già che sembrerò un po’ presuntuoso, ma non posso nascondere che nella mia carriera giornalistica ho avuto un discreto successo con i Palloni d’oro. Sono 18 i giocatori che hanno vinto il premio più prestigioso nel calcio che mi hanno concesso l’onore di intervistarli. Uno di questi è Cristiano Ronaldo. Madrid, 23 marzo 2014. Alle 21 nel mitico Santiago Bernabeu si gioca il “clasico” Real-Barcellona. In palio c’è il titolo spagnolo. Il mio piano prevede la mattina seguente un giro nel centro sportivo delle merengues, situato nel quartiere Valdebebas, e poi l’incontro con CR7. Prima della partenza da Pola Modrić mi conferma che ha chiesto personalmente a Ronaldo di concedermi l’intervista e che il portoghese, fresco di Pallone d’oro, è disponibile. Quando hai un buon rapporto con i calciatori, poi è tutto più facile…
Gustandomi il mio primo “clasico” dal vivo, resto subito a bocca aperta. Lo stadio è uno spettacolo già soltanto per la sua architettura. Sugli spalti 82mila spettatori paganti e in campo le magie dei campioni. Da una parte Ronaldo e Modrić, dall’altra Messi, Iniesta, Neymar e compagnia. Pelle d’oca. Il Barca passa in vantaggio dopo pochi minuti, ma Benzema ribalta tutto con una doppietta. Messi firma il pari poco prima dell’intervallo, però a inizio ripresa Ronaldo sigla il nuovo sorpasso. Capisco subito che è una partita speciale. Alla fine Messi ne fa ancora due e i blaugrana vincono 4-3, riaprendo il campionato.
Il mattino seguente, quando mi sveglio nell’albergo di fronte al Bernabeu, ho un brutto presentimento. Hanno perso, saranno tutti a terra. Ronaldo non mi concederà mai l’intervista. Mentre assisto a bordo campo all’allenamento, si avvicina Modrić chiedendomi se per caso volessi parlare con Gareth Bale. “Scusa Luka, ma stai scherzando!?”. Dopo 45 minuti di attesa, dall’ufficio del portavoce della società sento Luka parlare con Ronaldo. Poi si avvicina: “Robi, mi dispiace, ma Cristiano deve correre a prendere il figlio all’asilo. Ti prega di tornare la prossima settimana e promette che ti concederà il doppio del tempo (30 minuti) concordato…”. OK, ma come ci torno in Spagna? Siamo una redazione con mezzi limitati. Ritornando a Pola mi dico che se il giornale non sgancerà nulla, ci andrò a spese mie. Suvvia, me l’ha chiesto Ronaldo. Devo per forza tornare. Una settimana più tardi parte da Venezia il secondo round. Arrivo in tribuna poco prima della partita con il Borussia Dortmund di Klopp, per i quarti di Champions League. Piove a dirotto, ma al Bernabeu lo spettacolo non manca mai. Il Real vince con un secco 3-0. A confezionare l’assist per il terzo gol, firmato da Ronaldo, è Modrić. Stavolta è l’occasione perfetta per l’intervista, penso. Ma nel finale ho il cuore in gola. Ronaldo si accascia a terra da solo, si tiene il ginocchio. Chiede il cambio. E se CR7 chiede di essere sostituito allora la cosa è seria. Ma è possibile avere così tanta sfiga!? Ne parlo con Luka l’indomani al centro sportivo. Mi dice di stare tranquillo: “Guarda che te l’ha promesso”. Sono le 9 di mattina. Il volo di ritorno è verso le 16. Alle 13 neanche l’ombra di Ronaldo. Sto scoppiando! E poi all’improvviso sento: “Hello my friend Robert, sorry….”. Dall’altra parte del salone c’è proprio lui. Indossa la “camiseta” blanca e grida sorridente “C’mon, let’s talk”. Ci abbracciamo e scendiamo in sala stampa. Parliamo per più di un’ora. Lui super disponibile. Parla di tutto. Si scusa ben tre volte per quanto successo la settimana prima. Uno dei più grandi calciatori di tutti i tempi mi ha concesso una delle interviste più belle di tutti i miei quasi 40 anni di carriera. E non solo. Mi ha messo addirittura a disposizione una limousine per lo strappo fino all’aeroporto. Lo ringrazio, ma declino l’offerta perché ho già un autista personale… Luka Modrić!
Qualche giorno fa mi è tornata in mente quest’avventura dopo aver chiesto a un giocatore della nazionale croata, per la terza volta, un’intervista in vista dell’Europeo. Mi ha risposto che non ha il permesso della società, aggiungendo però con tono strafottente: “Ma è soltanto in Croazia che i giornalisti pensano di poter parlare con i calciatori come se nulla fosse?”. Quando poi mi disse di richiamarlo a maggio prima del ritiro gli risposi per le rime: “Guarda, non vedo l’ora. È il sogno della mia carriera…”.

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