PERCORSI EUROPEI Quell’iniziativa cinese che ruba la scena

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PERCORSI EUROPEI Quell’iniziativa cinese che ruba la scena

Non si può negare che l’iniziativa cinese – quella che è maturata due mesi fa con il piano di pace cinese in 12 punti – e che è stata accolta con disappunto dagli Stati uniti, dall’Europa e anche dalla Russia, ma anche dall’Ucraina, sia riuscita a conquistare l’attenzione della comunità internazionale. Lo ha fatto in modo decisivo con il colloquio telefonico tra il Presidente cinese Xi Jinping e il suo omologo ucraino Zelensky, giorni fa, che entrambi hanno descritto, personalmente o attraverso gli addetti stampa, come un passo utile e necessario in un clima di escalation della guerra che tutti temono.

La Cina, ha voluto sottolineare Xi Jinping in un colloquio durato un’ora, ci tiene a dichiararsi neutrale in questo conflitto e il suo interesse è quello di adempiere al suo ruolo di membro permanente del Consiglio di sicurezza dell’ONU e di evitare un possibile conflitto nucleare. La Cina è reduce già da una mediazione che ha lasciato interdetto l’Occidente: è riuscita a mediare tra l’Arabia Saudita e l’Iran, ovvero in un conflitto che si serviva di guerre “per procura” e infuocava il Medio Oriente come centro di insicurezza e instabilità mondiale.

E ora, la Cina si appresta a fare da mediatore in un conflitto sul suolo europeo, proprio lì dove l’Unione europea, alleata incondizionata dell’Ucraina, ha mancato di proporre una soluzione di pace per la guerra, limitandosi a supportare la parte ucraina con armi, munizioni e aiuti umanitari, imponendo sanzioni alla Russia, che purtroppo sono state aggirate dagli stessi membri dell’UE – che continuano a procurarsi i prodotti energetici di cui hanno bisogno da Stati terzi, che trafficano con il petrolio russo e così tengono alta la spirale dei rincari globale e dell’inflazione in Europa. Con il rischio di un’altra crisi economica mondiale.

Non si può prevedere come andrà a finire la mediazione cinese, ma ora anche l’Unione europea, da parte del suo Alto rappresentante per la politica estera, lo spagnolo Josep Borrell, ammette che l’iniziativa cinese potrebbe essere un passo avanti in una situazione di stallo, di una guerra di posizione che si protrae nel tempo nonostante i presagi di una imminente offensiva ucraina.

Uno degli analisti italiani più acuti della guerra ucraino-russa, l’ex Ambasciatore italiano a Mosca Sergio Romano (che è stato criticato sulla stampa per le sue presunte simpatie filo-putiniane quando prevedeva che questa guerra non poteva concludersi con una vittoria netta di una o dell’altra parte, ma con uno stallo e un conflitto protratto per decenni), precisa che la Cina ha bisogno di essere ascoltata, non “considerata più un grande continente addormentato su sé stesso, per cui non può quindi tacere di fronte alla guerra”. L’Ambasciatore Romano è convinto che le proposte di Xi siano buone – e che se ha altre mire si vedrà.

Non si può negare che la Cina sia affamata di riconoscimento e che dietro quest’iniziativa Pechino stia facendo un grande lavoro di autopromozione, cercando anche di sviare l’attenzione dalle sue mosse su Taiwan, considerata parte integrante della Cina stessa. Del resto, anche Zelensky ha reiterato, durante il colloquio telefonico con Xi Jinping, che l’Ucraina riconosce la politica di “una Cina”. Ma ogni mossa aggressiva di Pechino verso lo status quo di Taiwan rischierebbe di portare a un conflitto con l’America e con il mondo occidentale.

Xi Jinping ha comunicato a Zelensky che al più presto si metterà all’opera il mediatore cinese, il settantenne Li Huey, già Ambasciatore di Pechino a Mosca e nel Kazakistan, che è il maggiore esperto cinese per l’Eurasia – un diplomatico di lungo corso e con grande esperienza. Tutt’altro rispetto ai rappresentanti speciali dell’Unione europea, ai quali si unirà in questi giorni, proposto, ma ancora non confermato dal Consiglio europeo, l’ex ministro degli Esteri italiano Luigi Di Maio. A differenza di Li Huey, che impersona un po’ la classica saggezza dell’antica Cina (dicono che sia un esperto del pensiero politico cinese, del Machiavelli cinese Sun Tzu, del filosofo Jiang Ziya, dello stratega Sun Bin, di Wei Lao, tutte figure di un migliaio e passa di anni fa), Di Maio certamente non può vantare una cultura così approfondita del territorio sul quale verrà inviato – il Golfo persico. Anzi, si sono levati anche dei cori di critica da parte di accademici, italiani e stranieri, che asseriscono che Di Maio non è un buon esempio per le nuove generazione di politologi, esperti di relazioni internazionali e così via, non avendo conseguito neppure la laurea universitaria. Se c’era qualcuno che avrebbe potuto svolgere questo ruolo con più autorità e prestigio agli occhi dei Paesi del Golfo, questa sarebbe stata certamente l’ex ministro Emma Bonino, che parla l’arabo e ha una conoscenza profonda della cultura del luogo. E poi, l’Italia ha una folta schiera di ex Ambasciatori, chei hanno dovuto tutti lasciare la Farnesina all’età di 65 anni e tra i quali ci sono dei conoscitori profondi delle culture con le quali l’Europa deve dialogare. Con la mediazione cinese svolta nel Golfo, Di Maio avrà un certamente lavoro più facile. Invece, Li Huei avrà davanti a sé una strada tutta in salita.

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