Non superare il Rubicone

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Non superare il Rubicone

Che le iniziative referendarie lesive dei diritti dell’uomo e delle minoranze debbano naufragare è pressoché scontato. Sarebbe uno scandalo di dimensioni epocali per la Croazia se così non fosse. Ma quelle che contano sono anche le argomentazioni, le procedure per cassare le sortite referendarie delle Iniziative civiche Il popolo decide e La verità sulla Convenzione di Istanbul, che devono essere alla luce del sole, ben motivate, per evitare che i medesimi contenuti si ripresentino puntualmente fra qualche tempo sotto mentite spoglie.

La Corte costituzionale il primo passo lo ha fatto. Ha respinto le denunce costituzionali sporte dai promotori dei referendum tesi a modificare il sistema elettorale e a cassare la legge di ratifica della Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne. Lo ha fatto richiamandosi a questioni procedurali e formali. Non spetta, in altre parole ai giudici, occuparsi delle modalità di conteggio delle firme raccolte dai promotori; questo è di competenza dell’Esecutivo o del Sabor chiamato a controllarlo. Ora la parola passa al Parlamento che deve dire la sua sulle due iniziative e magari rivolgersi a sua volte alla Corte costituzionale perché entri davvero nel merito della questione, ossia giudichi se i quesiti referendari proposti siano costituzionali o meno. Per i deputati delle minoranze, Furio Radin in testa, la decisione della Corte rappresenta una mezza vittoria, che potrà essere definitiva solamente quando verrà detto a chiare lettere dai magistrati che idee come quelle tese a ridurre il numero e le prerogative dei parlamentari minoritari sono lesive dei diritti delle etnie. Lo stesso vale per l’altro referendum, quello sulla Convenzione tesa a proteggere le donne dalle violenze: anche in questo caso sarebbe giusto ribadire al di là di ogni equivoco che non è immaginabile sottoporre a consultazioni popolari dei documenti internazionali sui diritti basilari dell’uomo, fatti propri dal Paese.
Le diatribe sulle modalità di conteggio delle firme e sul monitoraggio di tutta l’operazione rischiano di far passare in secondo piano gli aspetti essenziali della questione. Ossia che le norme che regolano lo strumento referendario sono da rivedere e che all’orizzonte si profilano altre iniziative legislative in materia elettorale, dove in un modo o nell’altro si rischia di incidere sui diritti acquisiti delle comunità nazionali. Le ultime polemiche sui cambi di casacca al Sabor favoriscono l’emergere di proposte che potrebbero essere ai limiti della costituzionalità e della buona prassi democratica. Che possa essere necessario mettere mano alle Leggi elettorali non lo esclude nessuno; che l’idea di concedere un premio di maggioranza per favorire la governabilità, sulla scorta magari dell’esempio italiano, non sia da buttar via, sono in molti a pensarlo anche tra le file della coalizione di governo. Come pure che si possano ridisegnare le circoscrizioni o aumentare il numero dei voti preferenziali. Non esistono però soluzioni magiche che possano come d’incanto risolvere tutti i problemi. Quello che conta è non superare il Rubicone dei diritti dell’uomo. E delle minoranze.

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