Il 22 novembre del 2023, dopo un acceso dibattito in aula, il Parlamento europeo ha finalmente varcato il Rubicone: con 305 voti a favore, 276 contrari e 29 astenuti è stata approvata una risoluzione per chiedere la convocazione di una Convenzione che porti a una riforma dei trattati su cui l’Unione europea si fonda. Niente di nuovo: dal 2009, anno del Trattato di Lisbona, i federalisti europei chiedono un passo avanti per evitare il blocco decisionale che si è manifestato nel veto di alcuni Stati membri su temi cruciali – sulla questione dei migranti, sulla crisi finanziaria, sulla politica comune per fronteggiare la pandemia da Covid, sulla politica energetica, sulla guerra scatenata dalla Russia in Ucraina, sui cambiamenti climatici, sull’inflazione galoppante, sull’allargamento ai Balcani, sull’economia verde…
Tutti problemi che, quando arrivavano sul tavolo del Consiglio europeo, immancabilmente si ritrovano a confrontarsi con il veto di qualche Paese membro, procedura che da tempo permette agli Stati membri di invocare “l’interesse nazionale” per bloccare un’azione o decisione comune.
La Conferenza sul futuro dell’Europa, conclusasi l’anno scorso, ha coinvolto migliaia di cittadini europei, stimolati in una specie di “referendum telematico” a esprimere la loro opinione sul da farsi per creare un’Unione europea dei cittadini, basata sull’interesse dei cittadini e non delle caste politiche al potere che vorrebbero conservare il proprio monopolio sulle decisioni nell’UE.
E per questo il Parlamento europeo, l’unica istituzione europea votata dai cittadini, ha lanciato la Conferenza sul futuro dell’Europa, dalla quale è emerso che i cittadini europei vogliono un’Unione europea efficace, snella, agile e rispondente alle sfide globali, regionali e locali che affliggono oggigiorno l’Europa e il mondo. E per questo il Parlamento ha preso l’iniziativa, esattamente come una quarantina di anni fa (precisamente, nel 1984), quando Altiero Spinelli, uno dei padri fondatori dell’unità europea, lanciò la proposta di un trattato fondante di natura federale. Esattamente come nel 2002, quando ci riprovò Romano Prodi, con la sua “tela di Penelope”, un progetto di una Costituzione europea federalista. Niente da fare, intervenne in tutti e due i casi il veto degli Stati membri che non volevano rinunciare al proprio monopolio, ciò che è anche la base della critica del “deficit democratico” dell’Unione e del “saldo positivo burocratico” che affliggono l’Unione.
Il gruppo politico che ha presentato quest’ultima proposta in Parlamento è composto da una presenza “transeuropea” e anche “transpartitica”: infatti, a capo c’è il belga Guy Verhofstadt per i liberali, il tedesco Sven Simon per il Partito popolare europeo, il tedesco Gabriel Bischoff per i Socialisti & Democratici, Daniel Freund per i Verdi europei e Helmut Scholz per la sinistra. A questi si è aggiunto il contributo di Sandro Gozi che guida il “Gruppo Spinelli” (eletto al Parlamento in Francia, non in Italia, dove faceva il sottosegretario gli Affari europei nel governo Gentiloni!).
In breve, il Parlamento ha votato l’iniziativa per la riscrittura dei trattati, per il ruolo centrale del Parlamento europeo, per l’abolizione del veto (cioè, dell’unanimità) e l’introduzione del voto di maggioranza qualificata in tutti i settori di vita e nelle politiche dell’UE, compresa la politica estera e di difesa comune. Inoltre, gli eurodeputati sostengono l’istituzione di referendum europei. Ma il PPE – Partito popolare europeo, il raggruppamento più forte nel Parlamento, è rimasto diviso profondamente su questo tema. Per rispondere alle preoccupazioni dei popolari, nel compromesso finale gli eurodeputati hanno mantenuto il voto a maggioranza qualificata rafforzata (che si raggiunge quando almeno 4/5 degli Stati membri che rappresentano almeno il 50 per cento della popolazione votano a favore). E questo si è riflesso anche tra gli europarlamentari croati. Infatti, i parlamentari provenienti dall’HDZ, il partito al potere in Croazia, si sono espressi contro questa risoluzione e con un comunicato molto duro hanno dichiarato che sarebbe inconcepibile che un deputato croato sostenesse queste “tendenze centralistiche”. L’eurodeputato Tomislav Sokol ha perfino dichiarato chiunque alzasse la mano pe questa proposta commetterebbe un “atto di alto tradimento”. Infatti, anche il presidente croato Zoran Milanović, come anche il premier Andej Plenković si sono dichiarati contrari all’abolizione dell’unanimità come strumento decisionale nell’UE, ritenendo che il veto vada a favore degli Stati piccoli nell’Unione. Niente affatto, ha affermato Valter Flego, l’eurodeputato istriano. Al contrario, sarebbe proprio la maggioranza qualificata come strumento decisionale ad avvalorare il ruolo dei piccoli Stati. Infatti, sul totale di 352 voti nel Consiglio UE e nel Consiglio europeo la Croazia ha sette voti, mentre la Germania ha 29 voti – una distribuzione in netto a favore degli Stati piccoli e medi. La lotta per un’Unione efficace e federale, come vediamo, sarà aspa e dura. Anche con le accuse di “alto tradimento”, come sembra. Purtroppo, un segno nefasto di come si è ridotta la dialettica politica in questa nostra Europa.
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