INSEGNANDO S’IMPARA Il mondo dei proverbi (1a parte)

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INSEGNANDO S’IMPARA Il mondo dei proverbi (1a parte)

In inglese c’è l’espressione “moral compass” (letteralmente la bussola della morale) che indica il sistema di norme, leggi e precetti che sta alla base di un’esistenza retta, sia a livello individuale che in seno a una società civile. Di solito l’espressione si usa al negativo in contesti in cui si lamenta la perdita di questo timone dell’etica, quando si parla ad esempio delle storture morali della politica corrotta, del capitalismo sfrenato o dei media faziosi. I contesti di certo non mancano.
Quindi se viviamo in tempi bui, in un mondo senza regole e abbiamo bisogno di una piattaforma di principi di riferimento ma non c’è tempo per fare un corso di filosofia, come misura fai da te possiamo rivolgerci ai nostri proverbi, pronti a sostenerci con la loro secolare e assennata praticità. Sembra un controsenso che in un’epoca ipertecnologica si faccia riferimento a un sistema atavico che parla ancora di aratri e buoi, ma se si analizza bene, i proverbi esprimono in parole semplici dei valori costanti, che presi nel loro insieme, compongono un sistema di principi completo. In un’epoca segnata dalla specializzazione e dalla frammentarietà, non è cosa da poco.
Il fatto che siano presenti in ogni lingua, e che insieme alle storie e alle leggende, formino la piattaforma delle tradizioni culturali delle varie nazioni ed etnie, è un’ulteriore conferma della loro importanza. In altre parole, “tutto il mondo è paese”. D’altronde “home sweet home” è ormai altrettanto familiare di “casa dolce casa”. Passando da lingua a lingua, magari cambiano le immagini, ma i principi rimangono gli stessi. Se in italiano è il lupo che perde il pelo ma non il vizio, in inglese è il leopardo che non cambia le macchie (a leopard never changes its spots). Il fulcro della trama del simpaticissimo film del 1993 “Ricomincio da capo” (Groundhog Day) in fondo non è altro che la nostra Madonna Candelora; invece di dialogare con la marmotta, noi guardiamo il cielo per vedere se siamo “fora o dentro” all’inverno.
E poi, ammettiamolo, i proverbi danno soddisfazione. Da una parte sono immediatamente riconoscibili, con i loro personaggi immutati nel tempo, la filosofia spicciola della gente di buon senso, e dall’altra le immagini sono concise, le frasi lapidarie, piene di rime, allitterazioni e assonanze (“donne e motori, gioie e dolori”). Andare dritti al punto e in poche parole è quasi miracoloso per una lingua ornata e ridondante come l’italiano; perciò poche cose appagano come la stringatezza di un bel “detto fatto” al momento giusto.
L’universalità dei proverbi è tale da coprire la quasi totalità delle esperienze umane. Quasi tutti conosciamo qualche proverbio che riguardi:

– il ciclo del tempo con le sue stagioni (sia naturali, che quelle della vita dall’infanzia alla vecchiaia)

– la casa con tutto quello che la concerne (situazioni domestiche, relazioni famigliari, vita quotidiana)

– la cultura agricola e la vita rurale

– l’essenza della natura umana con i suoi pregi e difetti.

A ravvivare tutte queste vicende, ci pensano i personaggi ai quali siamo inconsciamente affezionati, uomini e donne, animali, sentimenti (“l’amore è cieco”, “oggi in canto, domani in pianto”) e anche gli oggetti d’uso quotidiano (“La muier del caligher la va in giro con le scarpe rote” “barca rotta, marinaio scapolo” “a bocce ferme si saprà chi ha vinto”).
Per quanto riguarda i tipi umani c’è un’abbondante varietà. Dal tipo umano superiore (“a buon intenditor, poche parole”, “chi sta bene con sé, sta bene con tutti”, “il saggio sa parlare e tacere a tempo”) a quello inferiore (“il riso abbonda sulla faccia degli stolti”, “meglio esser mendicante che ignorante”, “lo sciocco parla col dito”, “gli stupidi crescono senza innaffiarli”). Sono anche interessanti le persone messe in contrasto: cittadini e campagnoli, femmine e maschi, vecchi e giovani, esperti e dilettanti (“quando il villano è alla città, gli par d’essere il potestà”, “gli uomini vanno veduti in pianelle, e le donne in cuffia”, “bisognerebbe essere prima vecchi e poi giovani”, “gli uomini sono aprile quando fanno all’amore, dicembre quando hanno sposato”, “i maestri son quelli che fanno le cose bene”).
I proverbi con gli animali li sentiamo vicini in quanto c’è sempre un riferimento a qualche virtù o debolezza umana (“cani e villani lascian sempre l’uscio aperto”, “chi dorme non piglia pesci”, “andare a letto con le galline”, “sputare il rospo”, “cavallo di ferro porta tutti”, “fare lo struzzo”, “quando gli elefanti combattono è l’erba a soffrire”, “fare la gatta morta”, “salvare capra e cavoli”).
Siccome siamo italiani, un capitolo consistente di detti è dedicato al cibo, al vino e alla cucina che per noi sono metafore di vita, amore e allegria. Per cominciare bisogna ricordare che “non si vive di solo pane”, passare dai preliminari de “l’appetito vien mangiando” e “il miglior condimento del cibo è la fame” e poi possiamo iniziare dai primi “tutto fa brodo”, “gallina vecchia fa buon brodo”, “ se non è zuppa è pan bagnato”, “chi è vicino alla pignatta, mangia la minestra calda”. Per secondo abbiamo sia carne che pesce (“quando si ha fame il pane sa di carne”, “la migliore carne è quella vicino all’osso”, “pollo, pizza e pani si mangiano con le mani”, “pan padovano, vin vicentino, carne furlana, trippe trevigiane”, “dal mar salato nasce il pesce fresco”, “non sapere che pesci pigliare”). Un po’ di verdura non guasta: “i fagioli sono la carne dei poveri”, “un piatto di verdura con l’amore è meglio di un bue grasso con l’odio”, “l’amore è come il cetriolo: dolce all’inizio e amaro alla fine”. A conclusione del pasto abbiamo un proverbio che è tecnicamente perfetto “dopo il dolce ne vien l’amaro”. E per finire, un doveroso tributo al vino: “l’acqua fa male e il vino fa cantare”, “dove regna il vino non regna il silenzio”, “riempi il bicchier che è vuoto, vuota il bicchier che è pieno; non lo lasciar mai vuoto, non lo lasciar mai pieno”. Salute!

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