PERCORSI EUROPEI Il Papa e l’allargamento europeo

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PERCORSI EUROPEI Il Papa e l’allargamento europeo

Non c’è un male senza un bene, recita un provebio. Ora, trattandosi dell’Europa, il male qui si delinea nell’incapacità di trovare una via d’uscita dalla guerra in Ucraina che sta dilaniando il Paese dall’aggressione russa e dal discorso bellicista che sta dilagando in tutto il continente. E quando il Papa nella sua intervista ammonisce il mondo che bisogna smettere di parlare e pensare richiamandosi a concetti guerreschi e di cercare una via di uscita, commette un errore (i Papi non sono più infallibili, come nel dogma ormai superato) menzionando la “bandiera bianca” che l’Ucraina dovrebbe issare ammettendo di aver perso la guerra e viene accusato di “pacifismo putiniano” dalla stampa e dai politici europei.

Non sono l’avvocato del Papa, e avendo una modesta conoscenza delle relazioni internazionali e della diplomazia, posso soltanto dire che la bandiera bianca nel passato venne utilizzata come simbolo di resa, e le fonti storiche ne fanno simbolo per la capitolazione durante la dinastia cinese Han, che regnò nei primi due secoli dopo Cristo. E poi Tacito, “padre della storia”, fa menzione della bandiera bianca in segno di resa dei legionari romani nelle sue Historiae, pubblicate nel 109 d.C. Ma nell’epoca moderna essa assume un altro significato: ad esempio, il teorico politico e giurista Hugo Grotius, nel suo trattato De iure belli ac pacis, attribuisce alla bandiera bianca un altro significato, e cioè la riconosce come un segno tacito di richiesta di negoziato, esposto dai parlamentari, cioè dai negoziatori. Con l’età moderna il valore simbolico diventa una consuetudine di diritto internazionale e infatti nella Convenzione dell’Aia del 1899, Articolo 32, la bandiera bianca contraddistingue i “parlamentari”, cioè quei rappresentanti delle parti belligeranti che vogliono entrare in comunicazione con il nemico, e la bandiera bianca gli conferisce il diritto all’inviolabilità, come anche a quelli che li accompagnano. Dunque, è simbolo di negoziato, nonostante abbia mantenuto anche il significato di resa, che poi può essere condizionata o incondizionata, può essere una tregua o interruzione di attività militari. E il Papa qui non ha precisato che di questo si tratta – di negoziare, di interrompere “una carneficina inutile”. Queste sono le parole che aveva usato il Papa di allora della Grande guerra, Benedetto XV, che poi erano state censurate e presentate come “una guerra inutile”, con il risultato che il capo di Stato maggiore del Regio Esercito italiano, infuriato, aveva espresso l’idea che quel Papa dovesse essere processato per alto tradimento! Ma questi sono i fatti oscurati dalla storia ufficiale. Il vero significato del messaggio del Papa è che nonostante la “guerra giusta” o no da parte dell’Ucraina, che è la vittima, bisogna rivolgere il pensiero alle vite umane perse, alla distruzione di città, villaggi, fabbriche, centrali elettriche… un danno che non si può esprimere. E perciò, interpretando il pensiero del Papa, bisogna al più presto interrompere la spirale della guerra che ci può trascinare tutti nel caos globale di un conflitto atomico.

Ora, in tutto questo male dobbiamo ammettere che grazie a questa situazione catastrofica, l’Unione europea si potrebbe redimere dalla propria inerzia con un piano di aiuti sistematici alle popolazioni dell’Ucraina, che prevede anche la concessione di status di Paese candidato per accedere all’UE. E favorendo l’Ucraina, e la Moldavia in segno di prevenzione di un’altra aggressione da parte della Russia, si è sbloccato anche il processo di adesione di due Stati balcanici all’UE, la Bosnia ed Erzegovina e il Montenegro, che lo status di candidato già ce l’hanno: ma l’UE è colpevole di aver tralasciato, per molti anni, la situazione nei Balcani occidentali e di aver di fatto congelato l’inizio del negoziato con questi due Paesi. La Bosnia ed Erzegovina era stata riconosciuta come candidato all’adesione nel dicembre del 2022, e anche quella era stata una decisione presa come conseguenza del conflitto in Ucraina. Per un lungo periodo l’UE non si è occupata di promuovere un processo più celere di riforme strutturali nel Paese, che avevano bisogno proprio del sostegno dell’Europa. Possiamo solo ricordarci, in un contesto positivo, come la Commissione europea a guida di Romano Prodi avesse stimolato la Croazia, nel periodo del dopo-Tuđman, dunque dal 2000, per farle fare le riforme volute e dovute. E che poi per colpa della mancata collaborazione del Governo croato (di Račan e poi del premier Sanader) con la Corte dell’Aia, il processo non è concluse come prospettava il presidente della Commissione nel 2007, ma appena nel 2013. E poi, gli Alti rappresentanti della comunità internazionale per la Bosnia, scelti tra gli austriaci, i tedeschi, gli slovacchi – ma mai tra gli italiani –, che avevano ed hanno tuttora una politica proattiva nei Balcani occidentali, facendo pressione sull’UE affinché i Balcani occidentali vengano al più presto integrati nell’UE, anche per scongiurare l’esplosione di eventuali conflitti etnici, essendo il virus del nazionalismo mai sradicato in questi territori. E qui sta il bene nel male: la ripresa del processo di allargamento, condizione sine qua non anche per un approfondimento dell’integrazione europea, richiesta recentemente dal Parlamento europeo.

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