PERCORSI EUROPEI I cittadini saprebbero fare meglio

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PERCORSI EUROPEI I cittadini saprebbero fare meglio

In occasione del Giorno dell’Europa, il 9 maggio (che ricorda il giorno del 1950 in cui vi fu la presentazione da parte di Robert Schuman del piano di cooperazione economica, ideato da Jean Monnet ed esposto nella Dichiarazione Schuman, che segnò l’inizio del processo di integrazione europea con l’obiettivo di una futura unione federale), è stato pubblicato a Bruxelles il Documento finale della Conferenza sul futuro dell’Europa. Per un anno più di cinquantamila cittadini dell’Unione europea hanno partecipato alla Conferenza, hanno formulato le loro idee e si sono confrontati con chi era d’accordo con loro e con chi la pensava diversamente. Ne è scaturito, come risultato, un documento di ben 336 pagine che descrive l’iniziativa, ne elenca tutte le attività e, alla fine, in 56 pagine dense di contenuto, identifica i problemi fondamentali per il futuro dell’Europa, formulando delle proposte per risolverli con urgenza.

La burocrazia di Bruxelles ha dovuto reagire positivamente, anche se questo documento è una critica palese della burocratizzazione e della crisi istituzionale che affligge l’Unione europea dal 2013, l’anno in cui è entrato nell’Unione l’ultimo venuto, il “cria” della covata neoeuropea, la Croazia. Da allora l’Unione europea si è impantanata in una serie di problemi che hanno rivelato lo stallo del processo d’integrazione e il dietrofront di alcuni nuovi membri dell’Unione. Infatti, i vertici – sempre quelli, burocratici, dell’Unione, hanno proclamato una moratoria del processo di allargamento dell’Unione per la durata – sic! – di 30 anni, per confrontarsi infine con alcuni dei nuovi venuti, come la Polonia e Ungheria (e, tacitamente, con quasi tutti gli altri nuovi membri, ossia i Paesi ex comunisti, che hanno rifiutato il modello di democrazia liberale, proclamando una politica sovranista che di fatto segna la via verso una disintegrazione europea e la rinascita dei confini e dei nazionalismi nell’Europa centro-orientale e in quella meridionale. Tendenze autoritarie si sono manifestate in questi Paesi. Solo la crisi innescata dalla pandemia del Covid è riuscita ad arginare la marea dei sovranisti, che hanno palesemente rifiutato il diritto d’asilo ai profughi provenienti dall’Africa e dall’Asia, innalzando nuove barriere di filo spinato. Ma anche negando l’accoglienza ai profughi che giungono via mare, trasformando il Mediterraneo in un cimitero per gli sfortunati in cerca di salvezza. Dalla pandemia l’Unione si è ripresa, sorprendentemente, in extremis con il Recovery plan e con la svolta, inimmaginabile prima, di emettere garanzie collettive in forma di eurobond e aiuti finanziari a fondo perduto per quei Paesi che sono stati colpiti maggiormente dal Covid.

Ma risolto un problema, si è presentato subito uno nuovo – l’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito aggressore russo, con un atto di guerra non visto sin dai tempi della dissoluzione tragica della Jugoslavia all’inizio degli anni Novanta. E questa nuova crisi – che potrebbe subire un’escalation senza precedenti verso un conflitto nucleare e mondiale – ha messo di nuovo in risalto tutte le carenze di un’integrazione verso un modello di unione federale incompiuta, rimasta a metà strada, nel limbo di una sclerosi prematura.

I cittadini europei che hanno partecipato al dibattito, prima sulle piattaforme della Conferenza e poi dal vivo, hanno filtrato una serie di proposte che non possono che portare a un nuovo trattato costituzionale: si dà il caso che l’attuale assetto istituzionale dell’Unione europea si è dimostrato non idoneo a fronteggiare la più grande crisi politica del dopoguerra. E cioè, la guerra in Ucraina e tutte le conseguenze a cui questo conflitto armato porterà: se anche, forse, non ci sarà una guerra mondiale, ma solo un conflitto che vedrà impegnati l’Europa, l’Ucraina, la Russia, gli Stati Uniti – magari con qualche uso limitato di armi nucleari tattiche sì, ma ugualmente micidiali per quelli che ne subiscono l’urto – la crisi profonda, esistenziale, innescatasi potrebbe farci retrocedere di una buona cinquantina d’anni, in tutti i sensi. E i cittadini europei hanno individuato il nodo gordiano di questa Unione europea incompiuta: è proprio l’unanimità come metodo decisionale che ha fatto risuscitare gli egoismi nazionali, i nazionalismi, i sovranismi, e la scarsa propensione ad una democrazia “effettuale”, come direbbe Machiavelli. Non una democrazia dichiarativa e plateale, ma un vero governo del popolo che tenda al “bene comune” e non alla corruzione della classe politica, dalla base ai vertici.

Infatti, per poter fronteggiare questa guerra infame non si può lasciare, come succede oggi, che ogni Paese membro possa porre il proprio veto. E per avere una reale politica di pace, bisogna fare il balzo decisivo – passando dall’unanimità alla maggioranza qualificata nelle decisioni in materia di Politica estera e sicurezza comune – imperniando la politica estera su una “bussola strategica” (di nuovo “effettuale”, come vorrebbe Machiavelli) che la definisca come la partecipazione dei cittadini alla politica internazionale dell’Unione. Dunque, bisogna fare questo salto verso un’Unione federale – e lo vogliono i cittadini stessi, per la loro sopravvivenza in questo caos globale. Ed è tempo che i burocrati e i potentati, nazionali o sovranazionali, lo capiscano adeguandosi alla volontà del popolo.

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