INSEGNANDO S’IMPARA Non ci sono più le stagioni

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INSEGNANDO S’IMPARA Non ci sono più le stagioni

Il lunedì e il giovedì sera faccio lezione in due classi parallele di principianti, composte sia da studenti locali che da studenti stranieri. Uno dei temi della scorsa settimana erano i mesi dell’anno con i relativi esercizietti orali: “Quand’è il tuo compleanno” e “In che stagione c’è novembre?”. Con quest’ultima domanda sono iniziate le sorprese. Gli studenti dell’emisfero australe (Sud America e Australia) mi hanno subito spiazzata chiedendomi “Da noi o da voi?” al che mi sono salvata in corner con un “Sia da voi che da noi”. Ma la sorpresa più grossa, comunque, è arrivata dagli studenti locali, quando ben tre di loro (su un totale di 10 presenti), alla domanda “In che stagione c’è febbraio?” hanno risposto senza esitare “Primavera!”.

Siccome non stiamo parlando di bambini, ma di adulti, alcuni dei quali anche plurilaureati, è ovvio che non si tratta di ignoranza. In quel momento non c’era tempo per andare a scavare sulle ragioni di quella risposta sballata, ma la cosa era troppo interessante per passarci sopra. Riflettendoci su, mi sono convinta che lo sfasamento temporale doveva esser causato da qualcosa di culturale o perlomeno da una percezione anomala dell’anno. Per corroborare la mia ipotesi ho fatto la stessa domanda a mio marito, a bruciapelo, cogliendolo di sorpresa. Dopo un momento di confusione mi ha dato la risposta giusta, ma solo dopo averla calcolata! Praticamente ha fatto “solstizio d’inverno + tre mesi = gennaio febbraio marzo… inverno!” Di nuovo sono rimasta sorpresa nel constatare che la cosa non era stata istintiva. Il che sollevava tutta una serie di quesiti su come si formi la mappatura dell’anno nella nostra mente, e come mai questa mappa non è, da quel che risulta, uguale per tutti.

Noi non nasciamo con una percezione precisa del tempo. Basta osservare quando mangiano i neonati per capire che giorno notte, mattina pomeriggio fanno poca differenza per i piccoli stomaci. Più tardi subentra il ciclo circadiano e l’orologio biologico comincia a funzionare intorno al ritmo di giorno-notte, luce-buio, per cui le 24 ore diventano una realtà interiorizzata. Ma quando si diventa coscienti degli altri cicli? Quello settimanale, mensile e annuale? E a che punto anche questi vengono metabolizzati e interiorizzati? Il ciclo annuale mi sembra più facile da comprendere soprattutto quando si va da una primavera all’altra, in quanto la cosa è estremamente visibile all’esterno. D’altra parte l’esperienza comune degli anni della scuola è che l’anno giri attorno al perno di settembre, con la fine delle vacanze e l’inizio di un nuovo anno scolastico. Ma ad un certo punto è ovvio che, senza che ce ne accorgiamo, anche la fisarmonica delle settimane e dei mesi va a posto e il tutto diventa parte di noi. Cosicché, una volta che vengono fissati i punti cardinali dei solstizi ed equinozi, i quattro quadranti si riempiono automaticamente di scadenze sia naturali che culturali.

Viene presto risolto anche il dilemma dei mesi in cui si accavallano due stagioni perché impariamo che è la parte “minore” che pesa di più e il mese viene proiettato nella stagione successiva in quanto c’è sempre una ragione per farlo. Perciò, anche se a settembre fa ancora caldo e volendo si potrebbe sempre andare al mare, il fatto che ci siano le vendemmie e si torni a scuola, fa automaticamente scattare l’autunno. A dicembre il problema neanche si pone, con tutta la montagna di feste dai simboli invernali, mentre a marzo con la Pasqua presente o imminente, anche se fa freddo, siamo in primavera. A giugno l’estate comincia anche in anticipo con le vacanze scolastiche e la mietitura. Quindi l’anno è bello e pronto e tutti noi ne condividiamo la composizione. Almeno, questa è la forma mentis che ho portato con me in Irlanda, prima di scoprire che i contorni della mappa qui sono più vaghi.

Cominciamo con il clima che, come abbiamo menzionato in un bozzetto precedente, su quest’isola è “costantemente variabile” con pochi sbalzi di temperatura e nessuna garanzia che una stagione si presenterà puntuale all’appuntamento. Quest’anno, per esempio, “l’estate” è arrivata a rate in maggio e giugno, mentre luglio e agosto sono stati una litania di giornate di pioggia che hanno sfiancato tutti. A differenza dei due anni precedenti quando il termometro ha toccato i 30 gradi, l’estate 2023 sembrava già autunno, tanto che a novembre non abbiamo notato una grande differenza rispetto a tre mesi prima. Metti caso che adesso arrivi un inverno mite (qui piove di più ma fa meno freddo che da noi) e a febbraio spuntino i primi gioiosi narcisi, come è già successo in passato, è chiaro che la percezione sarà quella di una primavera anche se l’orologio è ancora fermo all’inverno.

In secondo luogo, non dimentichiamo che in questa cultura persistono ancora le vestigia degli antichi celti di cui abbiamo parlato riguardo ad Halloween, evidenziando il fatto che era il primo di novembre con Samhain (“sàuin”) a determinare l’inizio dell’anno celtico. In questo contesto non sorprende dunque, se arrivati a febbraio si ha la sensazione che l’inverno abbia fatto il suo tempo e che è ora che le cose cambino. Inoltre dobbiamo ricordare che la concezione irlandese e quella italo-istriana di febbraio sono notevolmente differenti. Qui, a parte San Valentino (poco amato) e il Mercoledì delle Ceneri, che dà il via ai sacrifici della Quaresima, succede ben poco, mentre da noi c’è il sontuoso circo del carnevale che polarizza aspettative, energie e creatività. Noi il carnevale lo viviamo sempre come un evento invernale e tutti ricordiamo qualche anno in cui si battevano i denti dal freddo in costumi poco coprenti, ma che ci si scaldava con il carburante del divertimento, della festa e del sollazzo.

Concludendo, se in futuro sentirete qualcuno dire che febbraio è in primavera, fategli la grazia di concedergli tutte le attenuanti del caso.

 

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