INSEGNANDO S’IMPARA La febbre di febbraio

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INSEGNANDO S’IMPARA La febbre di febbraio
Foto Željko Jerneić

Abbiamo visto in precedenza che per i romani gennaio e febbraio costituissero un periodo indifferenziato, incassato tra il decimo mese (dicembre!) e l’inizio di un nuovo anno, a marzo. In seguito questi sessanta giorni vennero scissi in due e uno fu dedicato al dio Giano e l’altro alla dea Febris, incarnazione latina del dio etrusco Februus, da cui origina l’omonimo aggettivo latino “februus” – “purificatore”. Ed è appunto in questo periodo che i romani mettevano in atto i loro rituali religiosi indirizzati alla purificazione del corpo e dello spirito. Lo facevano per propiziarsi abbondanza e fortuna nel nuovo anno che coincideva con la rinascita della primavera. In fondo se ci pensiamo ancora oggi i sacrifici della Quaresima di solito iniziano in febbraio, dopo gli eccessi del Carnevale.

Si può anche notare che febbraio condivide l’etimologia del nome con la parola febbre, che dai romani era pure considerata un processo di purificazione, questa volta fisiologico. Ed è appunto a febbraio che ci viene ricordato che esiste un tipo particolare di febbre, che prima o poi colpisce tutti, ed è la febbre d’amore.

A metà mese arriva l’appuntamento rituale con il carrozzone di San Valentino. Dico carrozzone, perché ormai qualsiasi festività che subisca il contatto con la commercializzazione, è destinata a diventare un circo volgare, scontato e più o meno irritante. Perciò anno dopo anno ecco che i negozi si rivestono di rosso, tutto si ricopre di cuoricini, il prezzo delle rose schizza in su e la biancheria sexy te la tirano dietro. È un peccato, perché questa festa nella sua forma originaria è quanto di più puro e semplice ci sia e allude alla delicatezza dei sentimenti piuttosto che alla grossolanità delle manifestazioni fisiche dell’amore.

San Valentino stesso sarebbe inorridito allo scempio consumistico che si fa in suo nome, lui che ha vissuto la sua vita secondo precetti di amore, armonia e comprensione tra le anime. Sia chiaro che stiamo parlando di San Valentino di Terni, (ce ne sono altri) menzionato anche dalle cronache in latino del V-VIII sec. che lo vedono nato nel 176 nella città umbra, ordinato sacerdote prima di avere vent’anni e vescovo a ventuno e che ha dedicato la sua lunga vita all’opera di evangelizzazione dell’allora neonato cristianesimo. Opera che lo avrebbe ben presso messo in cattiva luce presso le autorità imperiali che gli intimarono ripetutamente di desistere, senza successo ovviamente. Anzi, sembra che alla richiesta di abiura da parte di Claudio II il Gotico, Valentino avesse risposto invitando l’imperatore a convertirsi. Quella volta gli andò bene perché Claudio si limitò ad “affidarlo” ad una nobile famiglia (una specie di arresti domiciliari), dove sembra che Valentino avesse compiuto il miracolo di ridare la vista alla figlia del suo “carceriere”, Asterius. Gli andò meno bene tre anni dopo sotto Aureliano, che condannò il novantasettenne vescovo a morte, reo di aver celebrato il matrimonio tra il legionario romano Sabino e la giovane cristiana Serapia. I due giovani, che si amavano profondamente, avevano tutto contro: la disapprovazione delle famiglie, delle autorità e la malattia. Infatti, Serapia era gravemente malata e morì, seguita poi da Sabino, immediatamente dopo la benedizione nuziale di Valentino. Ma almeno il matrimonio era stato celebrato e i due erano stati “uniti per l’eternità”. Colpevole di quello che per la legge era un crimine, anche Valentino avrebbe incontrato la morte da lì a poco, ma vista la popolarità del santo, la sua decapitazione, il 14 febbraio del 273, dovette essere compiuta di notte, lontana dalle porte della città per evitare che le folle insorgessero a sua difesa. È interessante notare che, poco prima di essere giustiziato, Valentino scrisse alla figlia di Asterius, un affettuoso messaggio d’addio firmandosi “dal tuo Valentino”. Sembra che l’usanza di scambiarsi biglietti d’auguri il 14 febbraio, origini da qui. Nei paesi di lingua inglese, tali biglietti possono essere anonimi, firmati nello stesso modo (o “dalla tua Valentina” se li manda una donna).

L’associazione di Valentino con l’amore è ulteriormente corroborata dal fatto che, secondo le leggende, a più riprese il santo ebbe a che fare con i problemi delle giovani coppie. Si narra che i fidanzati in crisi si rivolgessero a lui per ritrovare l’armonia perduta – due chiacchiere con Valentino e subito l’amore rifioriva. Alle coppie riconciliate, Valentino regalava un fiore (probabilmente una rosa) che miracolosamente non sfioriva mai. Inoltre sembra che anche in circostanze difficili, quando era sotto persecuzione, il vescovo si industriasse a trovare la dote alle ragazze povere per aiutarle a maritarsi.

Vere o no, queste leggende hanno una cosa in comune, i protagonisti sono sempre giovani innamorati e questo è il particolare significativo della festività. A San Valentino si celebra l’amore puro, quello che infiamma i cuori teneri e limpidi che si promettono innocentemente “amore per sempre” e sono sinceri perché beatamente ignari degli ostacoli futuri.

Quindi festa degli innamorati, non dei coniugi (abbiamo i nostri anniversari!) e tantomeno degli amanti (lasciamo da parte la carnalità). Per cui questo è un invito ai fidanzatini di riappropriarsi della loro festa e di svincolarla da coloro che la considerano solo come un obbligo rituale. A Belfast i ristoratori odiano questo giorno, perché i loro ristoranti sono pieni di tavoli per due, occupati da coppie che mangiano in silenzio.

Invece l’amore giovane non sa stare zitto e non sa stare fermo. Freme e dà alla testa e, proprio come la febbre, fa un tantino delirare. Sarebbe bello, dunque, vedere questa giornata piena di gioiosi fermenti e di amorevole fantasia, di regalini significativi (quelli “per noi”), lontani dall’abituale banalità del mazzo di rose e della solita scatola di cioccolatini. E soprattutto niente biancheria di pizzo, ma parole sincere e gesti d’amore spontanei.

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