La diplomazia delle portacontainer

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La diplomazia delle portacontainer

Sono passati i tempi in cui si parlava di lotta di classe e s’inneggiava al proletariato. Semmai oggigiorno si piange per la crisi della classe media, che si starebbe sempre più proletarizzando. Quella classe media, caratterizzata da un benessere diffuso, che era un po’ il traguardo da conseguire nel periodo della transizione. Di questi rimescolamenti sociali e dei cambiamenti politici frutto anche della caduta delle ideologie non poteva non risentirne anche la Festa dei lavoratori.
Una festività che quest’anno per le nostre regioni ha avuto un sapore alquanto diverso rispetto al passato. Per l’Istria e il Quarnero questo è stato un Primo Maggio di speranza. Paradossalmente in un’epoca caratterizzata dalla caduta delle ideologie si è accarezzato il sogno, e si continuerà ad accarezzarlo nei giorni a venire, che a salvare la cantieristica dell’Alto Adriatico, prossima al naufragio, sia una società di fatto statale di un Paese che almeno formalmente si richiama al socialismo, se non al comunismo. Per i nostalgici dei “bei tempi” sarà indubbiamente un fatto simbolico non irrilevante. Fatto sta però che la crisi d’identità della sinistra e in genere delle forze politiche tradizionali non può non riflettersi pure sul Primo Maggio. In un’epoca caratterizzata dal populismo, che sostiene di non essere né di destra né di sinistra, i simboli classici della Festa dei lavoratori hanno qualcosa di desueto. Il quesito che si impone è: qual è oggi la vera natura della sinistra, del movimento socialista, del marxismo e in ultima analisi del proletariato a cui tutte queste ideologie e linee politiche un tempo si richiamavano? Di recente la TV croata ha trasmesso in esclusiva quello che era stato presentato come una sorta di dibattito del secolo tra il filosofo sloveno di fama mondiale Slavoj Žižek, chiaramente progressista, di sinistra e l’intellettuale conservatore canadese, paladino del capitalismo, Jordan Peterson. Il dibattito avrebbe dovuto dare una risposta ai quesiti “esistenziali” della sinistra: in realtà il confronto, tutt’altro che acceso, ha evidenziato che alle categorie politiche classiche non crede più nessuno. semmai è emerso che alla lotta di classe è subentrato oggigiorno a livello globale qualcosa che potrebbe essere ancora più pernicioso, ossia la lotta tra civiltà. In cui, come evidenziato da Peterson, c’è la tendenza diffusa a presentarla come una lotta tra oppressori e oppressi. Con tutti i rischi che ciò comporta. Chi sarebbero gli oppressi? Indubbiamente quelli classici, vittime… dell’imperialismo. Fatto sta che la geografia del potere, specie di quello economico, sta gradatamente cambiando. Paesi, come la Cina, che vent’anni fa sembravano dall’ottica europea semi arretrati, oggi appaiono all’avanguardia. E le tigri economiche non sono soltanto asiatiche. Nulla di strano che la speranza in occasione del Primo Maggio istroquarnerino arrivi dall’Oriente. Una volta quei Paesi erano… vittime della diplomazia delle cannoniere; ora sono le loro portacontainer a dettare le logiche della diplomazia in Europa. L’unica cosa che può apparire certa a questo punto è che, quando impera il mercato, nessun valore, nessuna forza è eterna: tutto può cambiare e rapidamente. L’oppresso è semmai chi perde la gara. Anche l’Oriente che bussa alle porte di Fiume e Pola s’inchina al mercato, per quanto abbia lo Stato dietro. Per cui sperare va bene, ma senza soverchie illusioni. Ci sarà comunque da sudare per salvare il salvabile, anche della cantieristica.

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