INSEGNANDO S’IMPARA Firenze: il mecenate e il frate

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INSEGNANDO S’IMPARA Firenze: il mecenate e il frate

Nella Firenze rinascimentale della fine del Quattrocento si sono incrociate fior fiore di personalità, artisti, letterati, filosofi, religiosi, politici e uomini di stato che, non solo hanno lasciato una traccia permanente nella storia e nelle arti, ma che si sono influenzate a vicenda, con effetti sorprendenti e a volte imprevisti. Così i destini di quattro grandi, Lorenzo de’ Medici il mecenate, Girolamo Savonarola il frate, Sandro Botticelli e Michelangelo gli artisti, hanno subito svolte, innescate dagli incontri reciproci. I primi tre sono quasi contemporanei. Botticelli (vero nome Alessandro Filipepi) nasce nel 1445, Lorenzo nel 1449, Savonarola nel 1452, mentre Michelangelo appartiene alla generazione seguente, nascendo nel 1475, vent’anni dopo Botticelli.
Il primo centro d’attrazione, vero polo magnetico dell’epoca, è Lorenzo il Magnifico uomo chiave del Rinascimento, splendido signore di una ricchissima casata, politicamente abile negoziatore (soprannominato l’ago della bilancia della politica italiana), umanista colto che amò circondarsi di filosofi e letterati, tra cui Marsilio Ficino, Pico della Mirandola e Agnolo Poliziano, suoi amici personali, nonché poeta lui stesso, autore del notissimo canto carnascialesco “Trionfo di Bacco e Arianna”. Viene ricordato soprattutto per esser stato un raffinato intenditore d’arte e generoso mecenate di grandi artisti, tra cui Sandro Botticelli che farà diventare pittore ufficiale di casa Medici. Tramite il mecenate, Botticelli si avvicinerà alla filosofia neoplatonica dalla quale assorbirà la mitologia che permea le sue opere maggiori tra cui le celeberrime “Primavera” e “Nascita di Venere”, rispettivamente del 1482 e 1485 circa. Ma è nella tavola “Adorazione dei Magi”, del 1476 circa, che vediamo la glorificazione della grande famiglia fiorentina, dove, tra gli adoratori del Bambino ci sono tre generazioni di de’ Medici, il nonno Cosimo il Vecchio, il padre Piero il Gottoso e i nipoti Lorenzo e Giuliano, circondati dai loro amici e soci d’affari. Un altro interessante aspetto della sottile arte diplomatica del Magnifico era quello di “offrire in prestito” i suoi artisti ai signori con cui voleva mantenere buoni rapporti, primo tra tutti il Papa. Era una mossa produttiva, anche se aveva la controindicazione che spesso gli artisti erano persi per sempre. Non Botticelli però, che fu mandato in “scambio culturale” a Roma nel 1480 assieme a Cosimo Rosselli, Domenico Ghirlandaio e Pietro Perugino ad affrescare le stanze della Cappella Sistina, ma era di ritorno a Firenze solo due anni dopo per non andarsene mai più. Ovviamente la corte dei Medici gli si confaceva più di quella dei papi.
Con Michelangelo, Lorenzo sarebbe andato anche oltre. Dopo averlo “scoperto” nell’Accademia per gli artisti che aveva instaurato nel suo giardino di San Marco, intuendo lo straordinario talento del giovane appena adolescente, se lo prese addirittura in casa e per un paio d’anni lo curò, seguì e nutrì, soprattutto intellettualmente, esponendo anche lui alla sua cerchia di dotti e coltissimi amici.
Paradossalmente, Lorenzo fu anche responsabile del ritorno a Firenze, nel 1482, di Girolamo Savonarola, nominato lettore di Sacra Scrittura nel convento di San Marco che, assieme all’omonima basilica, faceva parte del quartiere mediceo. Fu come prendersi la serpe in seno, perché il frate ferrarese rivelò subito il suo rigore morale assoluto che rasentava il fanatismo, l’intenso fervore con cui denunciava la corruzione e la depravazione della società causata dal lusso e dai costumi immorali dei capi che lui identificava nei Medici a Firenze e nei papi a Roma. In breve tempo, le lezioni di Savonarola furono percepite come vere e proprie predicazioni e attrassero moltissimi seguaci. Il suo carisma, la sua messianica invocazione alla purificazione e le sue parole accorate infiammarono gli spiriti dei suoi proseliti, i Piagnoni, ma ebbero un’influenza determinante anche sui nostri due artisti.
Nonostante il frate scagliasse continui attacchi sulla famiglia dei Medici, causa prima dei mali di Firenze, il Magnifico lo volle comunque accanto a sé prima di spirare nel 1492. Con la prematura uscita di scena di un punto cardine del quartetto, Botticelli, e soprattutto Michelangelo, si ritrovano orfani e spaesati. Per Savonarola, però, fu l’opportunità di avere il campo d’azione libero. Ma non basta. Da lì a due anni, durante un momento delicatissimo della storia di Firenze, ebbe modo di dimostrare la sua superiorità morale sui Medici.
Quando nel 1494 l’imperatore Carlo VIII si calò nella penisola alla volta di Napoli, minacciando a metà strada di saccheggiare Firenze, Piero detto il Fatuo, erede di Lorenzo, si rivelò pavido e vile. Nella sua codardia, stava addirittura spianando la strada per la città all’imperatore, dimostrando così di essere indegno figlio di grande padre. Ciò risultò nell’immediata cacciata della famiglia. Quando più tardi Carlo VIII con le sue truppe effettivamente entrò a Firenze, toccò a Girolamo negoziare con lui e salvare la situazione guadagnandosi la riconoscenza della popolazione. Fu riformata la Repubblica fiorentina che Savonarola, pur non potendo accettare cariche pubbliche in quanto ecclesiastico, di fatto controllava. Per quattro anni, fino al 1498, data della sua esecuzione in piazza (spoiler alert, le cose non finiscono bene neanche per lui), il frate avrà modo di plasmare la città secondo il modello ideale a cui si ispirava, una repubblica virtuosa fondata sui più alti principi religiosi, politici e morali. Sarà interessante vedere come i fiorentini vissero questa stagione di penitenza e castigo e soprattutto quali furono le conseguenze per Michelangelo e Botticelli che avevano già avuto modo di partecipare alle predicazioni del frate.

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