IL CALAMO Quelle finte democrazie che ci tolgono la libertà

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IL CALAMO Quelle finte democrazie che ci tolgono la libertà

Quando si parla di democrazia, la prima parola a cui si pensa è libertà. Libertà di espressione, libertà di movimento, libertà di fare. Certuni conferiscono però al termine una valenza assoluta, ritenendo che in democrazia si possa fare e dire qualsiasi cosa a prescindere. Ma non è così. Esistono forme di libertà che, paradossalmente, ledono i diritti altrui sfociando nell’esatto contrario di quanto dovrebbe contraddistinguere una società civile, dove appunto si presuppone che il singolo abbia rispetto del prossimo almeno quanto ne ha di sé stesso. Il problema insorge quando il singolo (o un gruppo) si arroga uno o più diritti a oltranza, lesivi della libertà altrui. Procedendo in tal senso, prima o poi si arriva ad un punto in cui ci si deve rendere conto che, in realtà, la libertà è legata al concetto di limite. La libertà della collettività, non a caso, inizia laddove ciascun cittadino pone a sé stesso, per primo, dei limiti. Giusto per rendere chiaro il concetto: in teoria, chiunque è libero di guidare anche sulla corsia opposta della strada, ma è inevitabile che provochi un incidente e venga perseguito dalla legge per l’“infrazione” commessa. Ecco, la legge è il vero nodo della questione. Fare affidamento sul buon senso della collettività è bene, ma non è sufficiente a garantire la libertà a tutti. C’è sempre almeno un elemento (o un gruppo) nella società che “disobbedisce”, vuoi per idiozia vuoi per protagonismo, o perché istigato a sua volta da una cerchia anonima che attraverso uno o più mercenari di turno mira a imporre i propri interessi alla collettività, per poi trarre da questa profitto. Fatta eccezione per casi estremi di raptus emotivo (dunque imprevedibili) o insanità psichica (in parte attenuabili), l’inadempiente è un soggetto cui non è stata la famiglia di provenienza a trasmettere determinati valori e principi, o che la scuola non ha saputo educare. Più tardi sarà la società – un’arena dove la fase di preparazione pedagogico-formativa è ormai esaurita –, a trarne le conseguenze. Se il padre (metafora della prima autorità con cui ci si interfaccia crescendo) è assente e il maestro incapace, la società avrà un problema. Perché se il padre punisce quando è doveroso farlo, è altrettanto capace di amare i propri figli; e se il maestro punisce con un cattivo voto, quando non si è fatto bene il proprio compito, lo fa perché il suo fine è quello di educare i pupilli. Alla legge non interessano l’amore, l’etica o la qualità dell’istruzione dell’imputato. Se punisce, lo fa in maniera secca e solo per ragioni di ordine. Ma cosa succede se nemmeno la legge punisce gli inadempienti quando e come dovrebbe? O, peggio, cosa succede se è la legge a non rispettare sé stessa, e se i suoi funzionari, cittadini a loro volta, sono sprovvisti di quel pacchetto “basic” di cui sopra? Noi tutti, per colpa loro, perdiamo la nostra libertà. Ne conseguono disordini sociali e un generale disorientamento degli individui, che, sfiduciati, cominciano ad evitare o a insorgere con violenza contro lo Stato, non considerandolo più per ciò che dovrebbe essere: un’istanza rappresentativa posta a tutela del cittadino. La situazione degenera. Dalla democrazia alla dittatura, il passo è vertiginosamente breve. Occhio ai segnali più profondi. Iniziano con una serie di avvisaglie. Vuoi parlare con uno sportello perché hai una rimostranza da fare, ma ti ritrovi solo una segreteria telefonica che ti invita a digitare dei sottomenu. Entri in un labirinto senza uscita. E magari, per tranquillizzarti, ti mettono un Adagio di Mozart. Non te lo dicono, ma il vero Minotauro da temere, sei tu – meglio non incontrarti mai. Quando navigando in rete trovi un numero simile e chiami, ti danno il numero di prima e ti rispondono che loro, col tuo caso, non c’entrano. Vai su Internet e decidi di scrivere un’e-mail, ma il bottone preposto non è attivo. Mandi una raccomandata con ricevuta di ritorno, ma la ricevuta non torna e della lettera nessuno sa nulla per mesi. Vuoi parlare con qualcuno, ma quando dopo ore o giorni di tentativi riesci finalmente a contattare un operatore o una segretaria, questi ti rispondono di scrivere un’e-mail. Te la dettano e scopri che è diversa da quella in rete. Qualcuno ti risponde dopo settimane, esibendo un lessico forbito e obsoleto che farebbe invidia persino al Leopardi. Frasi copincollate inviate da persona anonima. Nessuna soluzione concreta al tuo problema. Torni al labirinto delle chiamate e dopo altre ore o giorni di tentativi trovi un umano che, al di là della cornetta, si rifiuta di presentarsi mentre di te sa tutto: sei schedato nel sistema. Chiedi con chi parli. Dice che se si identificasse potresti minacciarlo. Pretendere responsabilità per i contenuti trasmessi, da chi viene pagato per essere al tuo servizio, è non più un tuo diritto e un loro dovere, ma una minaccia. E se glielo fai presente, perché è l’etica a dettartelo, ti minacciano a loro volta e poi riattaccano. Servizi, comuni, enti, cancellerie, ministeri. Cittadelle blindate il cui abuso di libertà offende la nostra democrazia. Non conta nemmeno più il nostro voto: si autoeleggono e autolegittimano da soli. Non ci resta che inforcare la bandiera, schierarci in massa ed espugnarli.

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