ECONOMIA E DINTORNI A buona economia, buona società

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ECONOMIA E DINTORNI A buona economia, buona società

Terminata, speriamo presto, l’emergenza pandemica da Covid 19, a partire da subito e per i prossimi anni l’obiettivo primario dei governi europei dovrà essere la crescita dei Paesi, unica efficace terapia per dare nuova fiducia e prospettiva alle comunità nazionali. A maggior ragione per il Sistema Italia, la crescita è la sola condizione per rendere possibile sostenere un così elevato debito pubblico, rendendo credibile la solvibilità sia in termini di rimborso dei capitali, che di remunerazione degli stessi (riconoscimento di interessi sul debito). In sintesi bisogna rendere nuovamente attraente il Paese nei riguardi degli investitori esteri, assenti da troppi anni, aumentando in modo significativo la competitività del Sistema Italia, condizione prioritaria e assoluta per far evolvere positivamente il sistema economico nazionale.
Questo è l’auspicio, ma guardando la realtà in modo asettico rileviamo la costante perduranza dello status negativo dei conti, anche al netto dei minusvalori da Covid, e una vision senza recupero di competitività; in sostanza, da troppo tempo la crisi per l’Italia non è congiunturale, ma strutturale.

I punti critici

Le criticità endemiche sono ampiamente note: una struttura del sistema economico basato su piccole e piccolissime imprese (solo 26.000 aziende italiane fatturano più di 10 milioni di euro); un crollo della produzione industriale a vantaggio di un terziario mai effettivamente innovativo; una confusione perdurante tra export, delocalizzazione e internazionalizzazione; una composizione stratificata della burocrazia, a scapito dell’efficienza; una legislazione fiscale sempre più complessa e scritta in sostanziale contrasto alla volontà d’intrapresa; un sistema bancario impermeabile alla cultura della partecipazione ai progetti, legato invece al finanziamento delle stagnazioni patrimoniali. Queste criticità rappresentano il macigno che ha condizionato pesantemente il divenire dell’Italia, facendolo restare il Paese più in crisi d’Europa.
Aridi numeri aggiornati al 2019: rispetto ai dati del lontano 2008, abbiamo dovuto constatare una regressione di quasi dieci punti di Pil, di oltre 1.700.000 posti di lavoro persi, l’abnorme crescita della cassa integrazione, la perdita del 35 per cento di produzione industriale, l’esplosione del debito pubblico, che superava i 2.300 miliardi di euro; il 2020 ha drammaticamente peggiorato tali ratios, rendendo impossibile una reale programmazione del riequilibrio. La globalizzazione del sistema socio-economico e l’adesione alla moneta unica europea hanno consentito l’accesso a più consistenti linee di sviluppo, che nella fase immediatamente successiva all’entrata in vigore dell’euro hanno presentato situazioni ricche di prospettive, ma al primo segnale di crisi (subprime) hanno evidenziato la vulnerabilità delle economie parcellizzate di trasformazione rispetto ai sistemi che avevano puntato sull’aggregazione delle attività produttive.

Gli strumenti correttivi

L’Italia si è accorta all’improvviso che non poteva più utilizzare i tradizionali strumenti correttivi dei precedenti cicli congiunturali; all’improvviso non è stato più possibile avvalersi della contenuta permeabilità economico-sociale, dello strumento di svalutazione monetaria e della conseguente gestione dell’inflazione. Di più, l’Italia ha dovuto subire gli effetti della concorrenza dei Paesi emergenti dell’Asia e del Sud America (che potevano supplire alle carenze tecnologiche con l’utilizzo della forza lavoro a costi molto bassi), e contemporaneamente la forza d’urto dei maggiori Paesi dell’Unione europea; questi ultimi, “protetti” dalla stabilità monetaria rappresentata dall’euro, hanno creato concorrenza all’Italia erodendole significative quote di mercato all’interno dell’UE, in virtù della maggiore forza competitiva e della solidità finanziaria (e, aggiungiamo noi, alla faccia del principio di solidarietà tra Paesi partner, fondamento essenziale del trattato di Roma).
Per conseguire l’obiettivo della ricrescita economica (e sociale) sono pertanto necessari interventi strutturali tanto nel contenimento dei costi (spending review) quanto nell’incremento dei ricavi (Pil), attraendo risorse dall’estero e recuperando reale base occupazionale.

Superare le debolezze

Può un’economia debole farcela da sola? Rendiamoci conto che l’Italia da sola non può farcela, così come da soli molti altri Paesi dell’UE non possono continuare a navigare a vista senza un programma di lungo periodo. La società è per altro sempre più complessa e cosmopolita, e presenta tensioni che hanno fatto aumentare la pericolosità sociale delle nostre città. Bisogna perciò perseguire la massima aggregazione possibile tra aree affini, tenendo presenti alcune caratteristiche di base:
aree che presentino delle caratteristiche fisiche piuttosto uniformi, paesaggistiche e climatiche; aree dove si riscontrino caratteristiche umane uniformi, come la prevalenza di certe etnie, lingue e religioni, e tipi di insediamento affini, urbano e rurale;
aree con percorsi storici collegabili; aree con caratteristiche economiche simili, come ad esempio la prevalenza di alcune attività economiche rispetto ad altre; aree con forme di governo affini, istituzioni politiche e amministrative democratiche compiute e riconosciute a livello internazionale.
Sono pochi i Paesi europei con struttura economica e sociale totalmente autosufficiente: gli altri devono obbligatoriamente aggregarsi, non hanno scelta. Il concetto di Macroregione quale presa di distanza dai nuovi egoismi, risposta alla crisi del sistema istituzionale europeo e volano per l’economia. Strumento di potenziale sostegno è l’istituto della Macroregione (o Euroregione), che permette ad aree abbastanza omogenee di realizzare progetti di sviluppo calibrati a esigenze regionali e non solo a mega progetti che vengono finanziati unicamente se “graditi” a Francia e Germania. Macroregione significa trovare soluzioni ai problemi comuni presenti in aree affini e realizzare economie di scala per rendere più efficiente la spesa pubblica, investendo razionalmente le risorse disponibili.

L’Europa delle Regioni

Fin dagli Anni Cinquanta, la grande intuizione dei Federalisti è stata la teorizzazione dell’Europa delle Regioni. La costituzione delle Macroregioni rende onore all’intuizione politica trasformandola in una realtà istituzionale che coinvolge la politica, i cittadini e le imprese presenti nei comprensori di riferimento; perché tutto questo? Semplicemente perché è nell’interesse di tutti.
Macroregione e Federalismo europeo sono due facce della stessa medaglia. Macroregione significa più rappresentatività e autorevolezza dei territori, e conseguentemente indirizzare le risorse europee verso progetti più proponibili. In pratica, siamo all’inizio di un processo di trasformazione in senso federale della spesa pubblica.
Nel concetto di Macroregione i Paesi partecipanti realizzano alleanze e sviluppano azioni su temi concreti, che non necessariamente interessano tutto il Continente, ma che contribuiscono a migliorare le dinamiche interne fra gli Stati membri. A mero titolo di esempio, non tutti i Paesi europei hanno identiche esigenze nel comparto trasporti, ma nell’ambito marittimo i Paesi che si affacciano sull’Adriatico hanno verosimilmente sensibilità condivise e obiettivi complementari, per cui devono premere sul legislatore centrale per far ascoltare con attenzione e rispetto la qualità dei loro progetti. Questo non significa fare confusione o avere un’azione estemporanea e caotica: significa flessibilità istituzionale e concretezza nel risolvere i problemi senza farsi condizionare da confini burocratici troppo rigidi. Questa è la vera novità: progettare e farsi ascoltare per una maggiore efficienza di gestione, attraverso economie di scala che porterebbero alla razionalizzazione dei costi di gestione a beneficio della qualità della vita dei cittadini; coordinare le priorità di otto Paesi abbastanza omogenei è meno difficile rispetto a 27 molto diversi tra loro per cultura, orografia e vocazione economica. La Macroregione Adriatico-ionica, di cui oggi la Slovenia esprime la Presidenza, è senza dubbio un’opportunità, affinché i progetti industriali abbiano un respiro ampio; è sufficiente la contestuale collaborazione di almeno tre degli otto Paesi che la compongono, ed è ragionevole attendersi puntuale ritorno nell’efficienza, nell’occupazione e nella formazione di nuove figure professionali.

Favorire la crescita

La Macroregione può ambire all’auspicato incremento medio annuo del Pil del 3 p.c. Tale risultato può essere conseguito solo se verranno presentati e avviati piani di investimenti da qui al 2024 per le varie tipologie di fondi disponibili, finalizzati: alla realizzazione e al potenziamento di imprese (anche start up) impegnate nei settori a più alta redditività potenziale; all’incremento del sistema infrastrutturale di macro area, sanando l’attuale divario quantitativo e qualitativo riscontrabile rispetto ai Paesi concorrenti; all’incremento dei consumi privati, attraverso la riduzione della pressione fiscale dei contribuenti, siano essi lavoratori dipendenti, pensionati e lavoratori autonomi; alla semplificazione delle normative fiscali per le aziende, fornendo certezza in merito alla totale detraibilità dei costi inerenti; alla realizzazione di nuove scuole, ivi compresi gli asili nido e le materne; alla collaborazione tra le Università, che dovranno impegnarsi nei programmi formativi di alto profilo per i giovani che legittimamente vorranno maturare esperienze in più Paesi dell’ambito macroregionale.
A questo proposito immaginiamo giovani italiani, croati o montenegrini, intenti a collaborare su iniziative industriali, o agro industriali, o bio industriali, impegnati in percorsi altamente formativi; acquisita la dovuta competenza, potranno a loro volta trasmettere senza egoismi le conoscenze acquisite ad altri giovani, creando i presupposti di nuove figure professionali. Conseguenze: clima sociale più favorevole e più equa distribuzione della ricchezza.

Dialogo italo-croato

L’Italia è il più grande Paese della Macroregione ed è il primo partner commerciale della Croazia; la Croazia è pertanto una delle occasioni per valorizzare le esperienze positive ed evitare di replicare le negative, rendendoci subito appetibili per gli investimenti esteri extraregionali. In sintesi Italia e Croazia insieme devono ignorare gli egoismi concorrenziali tra partner, facendo “massa critica” per aggregare in un unicum il meglio di ciascun componente.
Produttività, efficienza, flessibilità devono necessariamente rappresentare le coordinate di riferimento per l’azione dell’amministrazione pubblica, per il sistema produttivo e per il comportamento sociale. La produttività deve essere l’obiettivo da conseguire, l’efficienza deve essere il modo per conseguirlo, la flessibilità deve essere il metodo ordinario, e non eccezionale, di svolgimento del lavoro. Ma attenzione, tutto ciò sarà possibile solo se gli otto Paesi avranno la determinazione di operare in ambiti economici omogenei, cogliendo l’opportunità della diversità come somma di ricchezze, e del principio istituzionale di solidarietà fra Paesi, ergo fra cittadini, come valore.

*senior partner di jurisconsulta – cultura d’impresa

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