DIETRO LO SPECCHIO Cittadini croati nella Repubblica Democratica del Congo

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DIETRO LO SPECCHIO Cittadini croati nella Repubblica Democratica del Congo
I cittadini croati che volevano adottare i bambini in Congo

Quelli tra noi che vivono la multiculturalità e si tengono informati hanno di sicuro avuto modo di vedere le prime pagine dei giornali e di leggere le notizie scritte in materia di adozioni internazionali di bambini della Repubblica Democratica del Congo (RDC) che hanno riempito le pagine dei giornali e le scalette dei telegiornali italiani. La crisi delle adozioni nella RDC ebbe il suo apice nel 2016 quando l’allora ministro Boschi pose fine a una vicenda legale e umanitaria recandosi personalmente a Kinshasa per “prendere in consegna” i bambini adottati nel Paese africano in modo legale – in conformità con le norme italiane e quelle congolesi – da cittadini italiani. In virtù dell’apertura mentale e del benessere dei cittadini, l’Italia si è confrontata ben prima di altri Stati con la pratica delle adozioni internazionali e ha sviluppato una buona prassi di certezza giuridica, per lo Stato inteso come Paese ricevente, ma di conseguenza anche per i suoi cittadini onde assicurare loro una tutela preventiva dal carcere, ad esempio nello Zambia. Sono particolarmente illustrativi, educativi e stimolanti per l’innalzamento della consapevolezza sui rischi che le adozioni internazionali comportato gli ottimi testi che, seguendo il tema, pubblica nei media italiani Massimo Vaggi.

In molti Paesi africani soltanto il 44 p.c. dei bambini di età inferiore ai 5 anni è iscritto nei registri pubblici, ovvero nell’Anagrafe dei nuovi nati. La Repubblica Democratica del Congo ha vietato le adozioni internazionali il 25 settembre del 2013. La Repubblica di Croazia ha istituito i rapporti diplomatici con la RDC nel 2007, ma in questo Paese non ha né un’Ambasciata né un Consolato. È pertanto strano che cittadini croati si siano azzardati a intraprendere un’avventura dagli esiti legali così incerti, o forse, al contrario, pensavano che proprio in assenza di un “controllo” statale sarebbero riusciti più facilmente a realizzare il loro obiettivo. Sorprende anche l’approccio degli organi statali croati competenti alle “sentenze” e il fatto che non abbiano seguito le esperienze maturate da altri Paesi europei che hanno letteralmente iscritto la RDC nella lista nera stabilendo il divieto di adozione di minori in questo Stato considerato giuridicamente poco sicuro.

In Croazia l’adozione è regolamentata dalla Legge sulla famiglia. L’articolo 186 è riferito alla cittadinanza dell’adottante, ma anche dell’adottato: se l’adottante o il bambino sono cittadini stranieri, l’adozione si può realizzare soltanto previo assenso del Ministero competente in materia di previdenza sociale. È incredibile il silenzio dell’amministrazione croata, c’è da chiedersi se questo Ministero competente abbia seguito le procedure di adozione internazionale e se fossero soddisfatte le condizioni di legge, come ad esempio l’assenso esplicito del Ministero competente in materia di previdenza sociale e la famiglia. La Repubblica di Croazia nonostante il suo status di Paese membro dell’UE sembra ancora arrancare nel tentativo di lasciarsi alle spalle un modello giuridico precedente alla nuova fase dei diritti del bambini iniziata con la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia del 1989. Preoccupano l’incapacità di imboccare la giusta via e il vagabondare delle istituzioni statali competenti in questo ping pong con documenti scritti in lingua (francese!) straniera e molto probabilmente di scarsa credibilità. Un insegnamento sulla tutela dei diritti dell’infanzia è stato impartito dallo Zambia; quali conseguenze si subiscono quando non si conosce la legge lo hanno imparato sulla propria pelle i cittadini croati che hanno trascorso Natale e Capodanno in un carcere africano. Un’esperienza letteralmente indimenticabile! È terribile anche il solo pensiero che forse nella RDC come pure nella democratica Repubblica di Croazia esiste e opera la stessa confraternita di esperti legali che ha come fine aggirare e non attuare puntualmente le norme giuridiche della legislazione di entrambi gli Stati.

Ha dell’incredibile pensare che proprio mentre davanti ai Tribunali in Croazia venivano riconosciuti gli effetti delle sentenze di adozione della RDC nel settembre del 2022 l’ONU pubblicava la Dichiarazione congiunta sulle adozioni interstatali illegali redatta da relatori speciali dell’ONU, esperti indipendenti e gruppi di lavoro. Le vittime che hanno subito un danno come conseguenza diretta delle adozioni interstatali illegali hanno diritto al risarcimento dei danni. La Dichiarazione prevede anche la possibilità del ripristino alla condizione originaria del bambino, la vittima, prima dell’adozione interstatale se la decisione sull’adozione è stata dichiarata nulla, ovvero inesistente. Le adozioni interstatali illegali violano il diritto dei bambini al mantenimento dell’identità, del nome, della nazionalità e dei rapporti familiari. I bambini che sono illegalmente privati della propria identità hanno diritto a un ripristino di quest’identità in tempi celeri. La Dichiarazione primuove la consapevolezza sull’importanza della tutela primaria dei diritti dell’infanzia che in caso di abusi di qualsiasi tipo deve comprendere anche l’approfondita e pubblica ricerca della verità, ma anche le pubbliche scuse.

Ogni persona avveduta, alla pari di ogni Stato che agisce in modo saggio, impara dai propri errori. Stiamo seguendo gli sviluppi di una triste vicenda che rivela la goffaggine degli organi statali che dovrebbero garantire la sicurezza giuridica e la certezza delle norme nella Repubblica di Croazia. Persino il lettore e telespettatore medio che segue ad esempio in Italia le vicende legate alle questioni inerenti le adozioni internazionali nella Repubblica Democratica del Congo era meglio informato a riguardo dei funzionari croati.

*Professore ordinario di Diritto di famiglia; Facoltà di Giurisprudenza; Università di Fiume

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