DIARIO DI UN DIPLOMATICO Quando il patriottismo eccessivo nuoce al proprio Paese

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DIARIO DI UN DIPLOMATICO Quando il patriottismo eccessivo nuoce al proprio Paese

Per un Ambasciatore è certo un’ottima notizia quando viene a sapere che degli artisti del suo Paese vengono invitati a festival e mostre in Italia, in base a criteri molto rigorosi di selezione. Così è successo anche nel caso di Oliver Frljić, un regista di origini bosniaco-croate che si è imposto sui palcoscenici croati ed europei e che il pubblico fiumano conosce bene come regista e per un certo periodo come sovrintendente del Teatro di Fiume. E così il suo pezzo teatrale, “Maledetto sia il traditore della sua patria”, rappresentato dal “Teatro sloveno dei giovani”, era approdato al Festival Fabbrica Europa di Firenze nel 2014, e aveva registrato un grande successo di pubblico e critica. Chi conosce Frljić, sa che il suo è un teatro di impronta prevalentemente politica, postmoderno, che insorge contro la guerra, il nazionalismo, la violenza e la corruzione politica. E in quello stesso anno, il Piccolo teatro di Milano aveva voluto mettere in scena la sua piéce “Odio la verità!”, nella quale il regista esponeva criticamente la sua storia familiare e i nazionalismi che distruggevano le famiglie miste in vista dei conflitti etnici e delle guerre nell’ex Jugoslavia.
Le tendenze artistiche di Frljić, però, non sono condivise da tutto il pubblico teatrale in Croazia. Infatti, egli è stato spesso attaccato come un “dissacratore del patriottismo”, perfino come un anticroato, perché a molti non piacciono i suoi approcci iconoclastici.
E con questo fatto dovetti fare i conti anch’io. Infatti, un gruppo di croati che vive a Milano volle esprimere il proprio disappunto per la messa in scena dell’opera di Frljić, considerando il regista “persona non grata” fra i croati del capoluogo lombardo. Dovetti faticare non poco per dissuaderli a esprimere la loro protesta alle autorità locali e ai dirigenti del Piccolo teatro di Milano. Siamo in una democrazia ora, e per di più membri dell’Unione europea, e il criterio estetico di un opera non può essere sottomesso alla propaganda e neppure può essere soggiogato dallo spirito patriotico. Se si tratta di un opera d’arte genuina, che vuole demistificare i miti della nazione e del nazionalismo, della violenza e del malcostume politico, questo è il miglior modo per far conoscere la ricchezza della cultura pluralista della Croazia odierna. Sarebbe come se la diplomazia italiana protestasse contro la messa in scena delle opere di Dario Fo in Croazia, perchè egli critica aspramente nel suo teatro il potere politico in Italia.
Purtroppo, a farmi queste rimostranze fu anche una persona che aveva dato, durante gli anni, un notevole contributo alla diffusione della cultura croata in Italia. Infatti, Snježana Hefti, la persona chiamata in causa (purtroppo mancata qualche tempo fa), aveva ancora più di una quarantina di anni fa fondato a Milano una piccola casa editrice, la Hefti edizioni, di quel tipo che gli esperti dell’industria e dell’arte editoriale amano chiamare “di nicchia”. Infatti, pubblicava, a quel tempo, traduzioni dal serbo-croato, per poi pubblicare, dopo l’indipendenza della Croazia, testi di autori croati. Ancora negli anni Ottanta aveva pubblicato, in Italia, per la prima volta, il libro di Predrag Matvejević, il famoso “Breviario Mediterraneo”. Non aveva avuto grande eco, ma poi per fortuna era stato il suo collega di penna Claudio Magris a tesserne gli elogi, e le seguenti edizioni del libro avevano visto la luce per i tipi della Bompiani, una casa editrice di grande fama fra gli amanti della letteratura. Che ne fece una decina di edizioni. E poi, stampò anche degli ottimi libri, ad esempio le “Ballate di Petrica Kerempuh” di Miroslav Krleža, un capolavoro scritto nel dialetto kajkavo, magistralmente tradotto da Silvio Ferrari, un genovese con madre di estrazione croata, e senza dubbio il migliore fra i traduttori dal croato in italiano. Quando scoppiò la guerra nell’ex Jugoslavia, la signora Hefti iniziò a perorare energicamente la causa croata e a pubblicare varie opere propagandistiche sulla guerra nel Paese, scritte da patrioti croati – come l’ex primo ministro Ivo Sanader (finito poi in carcere per corruzione) –, dal filosofo francese filocroato Alan Finkelkraut e da altri. Tra le varie iniziative editoriali, le venne in mente anche di far tradurre il libro di Enzo Bettiza, il suo famoso “Esilio”, in croato e diffonderlo in Croazia. E questo fu, certamente, un passo importante, perché il pubblico croato sapeva poco dell’esilio, e così ebbe la possibilità di conoscere un momento drammatico della storia degli italiani della Dalmazia. Alla fine, anche grazie all’operato della Console generale a Milano, una mia giovane collega politologa, siamo riusciti a sventare il pericolo incombente su Frljić a Milano. E questo dimostra come, tra l’altro, l’amore per il proprio Paese possa facilmente slittare in atteggiamenti non tolleranti verso quelli che non condividono il medesimo concetto di patriottismo. Come disse Benedetto Croce, la differenza tra il patriottismo e il nazionalismo è come la differenza tra l’amore e la lussuria…

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