Zoran Žmirić: «Senza la lettura non c’è civiltà»

A colloquio con lo scrittore fiumano insignito del Premio annuale della Città di Fiume per la straordinaria qualità artistica delle sue opere letterarie

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Zoran Žmirić: «Senza la lettura non c’è civiltà»
Zoran Žmirić. Foto: Željko Jerneić

Lo scrittore, poeta e musicista fiumano Zoran Žmirić è stato insignito quest’anno del Premio annuale della Città di Fiume per la straordinaria qualità artistica delle sue opere letterarie che arricchiscono la vita culturale di Fiume e che diffondono il nome della città in tutta l’Europa. Alla sua passione per la scrittura, nata in adolescenza, si erano successivamente aggiunti altri interessi, tra cui la musica e la fotografia, ma è ormai da diversi anni che la parola scritta ha il sopravvento nella vita di Žmirić. Noto soprattutto per i suoi libri “Blockbuster” e “Pacijent iz sobe 19” (Il paziente della stanza 19), considerati alcune delle opere migliori, se non le migliori, nel campo della narrativa antibellica in Croazia e fuori dai suoi confini, lo scrittore fiumano ha pubblicato l’anno scorso il romanzo “Hotel Wartburg”, mentre attualmente è impegnato nella scrittura di un altro libro. Nel corso di una piacevolissima chiacchierata, Zoran Žmirić ci ha parlato dell’importanza del Premio della Città di Fiume e del modo in cui si approccia alla scrittura.

Un lavoro costante
“Considero questo il premio più importante – ha dichiarato –. Nel 2011 avevo già ottenuto questo riconoscimento, per cui per me è incredibile averlo ricevuto per la seconda volta. Le persone che sanno quanta energia investo nella scrittura vedono che lavoro in maniera costante e pubblico un nuovo libro pressappoco ogni due anni. Credo che qui sia essenziale la questione dell’identificazione, in quanto ho sempre avuto un problema con l’appartenenza a un gruppo o a una professione. Infatti, è dovuto passare del tempo prima che iniziassi a considerarmi uno scrittore vero e proprio. L’unica caratteristica con la quale mi identifico da sempre è quella di essere un fiumano, in quanto qui sono nato e ho vissuto praticamente tutta la vita. Tutto quello a cui tengo è qui e Fiume si trova in tutti i miei libri. Questa è, in poche parole, la ragione per la quale questo premio è per me così significativo”.

Da chi è stato proposto per il Premio?
“A candidarmi è stato Borislav Božić, presidente del Fotoklub Rijeka, il quale segue il mio lavoro e lo considera importante, anche perché ritiene che sia necessario dare rilevanza a persone che siano esempi edificanti. L’idea è lanciare un messaggio positivo, di come sia un bene essere buoni e dare il massimo nel lavoro che si fa. Borislav ha voluto candidarmi per il premio anche nel 2020, ma io non avevo accettato perché non ritenevo che ci fosse un motivo valido. Il solo fatto che i miei libri venivano pubblicati, che qualcuno desiderava leggerli, acquistarli e che per qualcuno erano importanti mi bastava. Non ho mai creduto possibile che ciò che stavo facendo avrebbe avuto un tale impatto. Soltanto nel 2014 avevo capito il significato di ciò che scrivo. Un giorno, camminando per il Corso ero stato fermato da una donna che mi aveva riconosciuto e aveva voluto dirmi che dopo aver letto il mio libro ‘Snoputnik’, la prima cosa che aveva fatto era stata quella di chiamare al telefono i suoi genitori per chiedere loro come stessero. Mi erano venuti i brividi dall’emozione e le avevo detto come questo fosse bellissimo, al che mi aveva riferito che prima della sua chiamata non aveva parlato con i genitori da dodici anni. A quel punto mi ero messo a piangere dalla commozione, in quanto avevo capito in che misura ciò che scrivo voleva dire qualcosa alle persone”.

Foto: Željko Jerneić

Un autore doc
Nella motivazione del Premio si rileva anche che tramite il suo lavoro promuove e diffonde il nome di Fiume in tutta l’Europa. Ciò è legato al fatto che Fiume permea tutti i suoi libri?
“Certo, ma anche al fatto che ovunque vengo definito uno ‘scrittore fiumano’. Per anni rifiutavo questa definizione perché nel corso della mia carriera ho ottenuto diversi premi in Croazia e all’estero, per cui ritenevo che la mia scrittura non fosse limitata a questo territorio, che avesse un significato più ampio e che meritavo di essere caratterizzato soltanto come ‘scrittore’ e non come ‘scrittore fiumano’. Con il tempo, però, ho capito che la definizione ‘fiumano’ non era legata a me nello specifico, ma che Fiume nel resto della Croazia viene percepita come una città particolare nel senso positivo della parola. Non ho mai sentito definire, ad esempio il gruppo rock ‘Majke’ di Vinkovci come ‘la rock band di Vinkovci, Majke’, mentre i Let3 vengono sempre chiamati ‘i rockettari fiumani Let3’, Damir Urban viene definito ‘il cantautore rock fiumano’, mentre io sono ‘lo scrittore fiumano Žmirić’. Fiume occupa davvero un posto speciale sulla cartina della Croazia in ogni senso e credo che ‘fiumano’ abbia un significato più profondo. Infatti, a ogni manifestazione ed evento letterario alla quale ho finora preso parte ero stato sempre presentato come ‘autore dalla Croazia/Fiume’. Di recente sono stato al Bookstan di Sarajevo, dove avevo parlato con uno degli scrittori irlandesi più famosi, Colm Tóibín. Mi aveva chiesto da dove venissi e gli avevo risposto ‘Rijeka’, spiegandogli dove si trovasse la città. A quel punto mi aveva chiesto se per caso stessimo parlando di ‘Fiume’, al che gli avevo risposto di sì. Era a conoscenza delle vicende di d’Annunzio e di conseguenza conosceva anche il nome italiano della città, più noto globalmente. Oggi il fatto di venire presentato come uno scrittore fiumano è per me un onore”.

Parlando di Fiume, come vede questa nostra città? Quali sono i suoi lati positivi e negativi?
“Quando penso a questa città vedo due livelli. Il primo livello è quello emotivo perché questa è la mia città, a prescindere dai suoi lati negativi o positivi. D’altro canto, posso dire di aver vissuto praticamente in una bolla fino a quando non mi ero trasferito all’estero, in Irlanda, per alcuni anni. Appena dopo aver lasciato la città avevo capito quali siano i suoi lati negativi, anche se non mi piace parlarne in quanto ci sono persone in seno all’amministrazione cittadina che sono pagate per capire che cosa non va nel funzionamento della città. Mi dispiace che molte di queste persone, nel caso in cui non abbiano le capacità di capire come migliorare la città, non si limitino a prendere un aereo e ad andare a Barcellona o in qualche altra città europea per capire come le cose potrebbero funzionare. Spesso queste persone fanno questi viaggi, ma non applicano nulla di ciò che hanno visto. Nel contesto della Croazia, però, Fiume è considerata un esempio da seguire, soprattutto per quanto riguarda gli investimenti nella cultura. Ritengo, però, che a livello cittadino e nazionale manchi un sostegno concreto ai giovani creativi”.

Foto: Sofya Petrishcheva

Una trama ben pensata
Come nascono i suoi libri? Come parte il processo di scrittura?
“Tutto parte da un’idea. Il mio ultimo romanzo, ‘Hotel Wartburg’, che in questo momento viene tradotto in Italia (adoro la cultura italiana, così grande e antica, dove ci sono tantissimi scrittori brillanti) è incentrato sull’idea del perdono. Questa era stata già abbozzata nel mio romanzo ‘Il paziente della stanza 19’, ma ho voluto espanderla. Attendevo, pertanto, un ‘contenitore’ nel quale avrei potuto elaborarla in maniera più dettagliata e mi è venuta l’idea dell’automobile Wartburg, intorno al quale ruota la storia di una famiglia disfunzionale.
Per quanto riguarda la scrittura, prima di iniziare a scrivere un libro elaboro una sinossi della trama e pianifico tutto in anticipo. So esattamente dove mi porterà la storia, quando introdurrò un nuovo personaggio, come cambierà il protagonista, quale è la morale della storia e via dicendo. Parlando con i colleghi scrittori ho notato che questo modo di lavorare non è molto diffuso”.

Lei porta avanti un corso di scrittura creativa. Che cosa dice alle persone che desiderano scrivere?
“Il primo giorno del corso dico loro che l’unica differenza tra me e loro è che io ho pubblicato alcuni libri, anche se questo non è proprio esatto perché da me vengono anche persone che hanno già all’attivo alcuni libri pubblicati, ma ai quali è stato consigliato dall’editore di venire da me al fine di modificare il modo in cui riflettono sul testo. Il corso comprende dieci lezioni che si svolgono una volta alla settimana, nell’ambito delle quali vengono elaborati dieci capitoli della teoria letteraria, dopodiché si svolgono dei brevi esercizi su un tema assegnato. Il risultato finale sono due storie complete e tutti i racconti vengono pubblicati”.

Di anno in anno vengono realizzate delle inchieste e ricerche legate alle abitudini di lettura nella popolazione e di anno in anno il numero di lettori è sempre più piccolo. Oltre alla tecnologia, che è sicuramente un fattore che influisce sulle abitudini di lettura, soprattutto tra i giovani, ci sono forse altri fattori che potrebbero avere un’influenza negativa in questo contesto?
“Sono convinto che il primo problema siano i genitori, se parliamo dei giovani. Oggi accade molto spesso che un bambino venga a contatto con un libro appena in prima elementare. Non sono uno che insiste sulla necessità che una storia venga ‘consumata’ esclusivamente attraverso la parola scritta – secondo me va bene farlo anche tramite una serie televisiva, un film, un videogioco, un fumetto –, ma è un dato di fatto che la lettura è l’unico modo in cui sia possibile sviluppare l’immaginazione e il pensiero critico. Uno non può sviluppare la fantasia guardando un film perché lì tutto è già ‘creato’, per così dire. Leggendo un libro possiamo creare i nostri personaggi. I bambini imparano attraverso l’esempio, per cui se un genitore non legge, difficilmente lo farà anche il figlio. Certo che nel corso della vita un giovane probabilmente smetterà di leggere perché ci sono tantissime altre cose più allettanti, come lo è ovviamente la tecnologia multimediale, ma avranno una buona base alla quale potranno ritornare in un altro momento nella vita.
Bisogna, però, essere realistici. Anche nella mia generazione era piuttosto esiguo il numero di persone che leggevano. Sono sicuro, pertanto, che la lettura sopravvivrà perché se no, non ci sarà più civiltà”.

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