Via della Seta: una strada sempre meno a doppio senso

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Via della Seta: una strada sempre meno a doppio senso

Marco Polo descrive ne “Il Milione” la regione cinese del Catai come nucleo della produzione di seta dell’Estremo Oriente. La pregiata stoffa partiva dal sud cinese per arrivare in Europa tramite la Via della Seta, ma non è stato il commerciante veneziano a coniarne il nome: è stato Ferdinand von Richthofen nell’introduzione del libro “Diari dalla Cina”, appena nel 1877. Oggi la Via della Seta è più attuale che mai, un percorso commerciale in espansione che unisce da secoli l’Oriente al Vecchio Continente. Ma a differenza della fine del XIII secolo, quando Marco Polo raccontò nel carcere genovese le sue avventure a Rustichello da Pisa, oggi non sono più gli europei a dominare il globo.

Nel 2019 non sono più i veneziani a partire per l’Oriente per instaurare rotte commerciali, ma sta succedendo l’esatto contrario. Anche se i commerci tra l’Europa e l’Asia erano da sempre a doppio senso, basti pensare quanto abbiano influenzato l’Europa due invenzioni cinesi come la carta e la polvere da sparo, possiamo affermare con certezza che nel passato a trarne il maggior vantaggio erano i popoli del Mediterraneo. Basti pensare al declino del potere cinese dopo che l’Impero Ottomano chiuse i collegamenti con l’Occidente nel 1453.

Rapporti commerciali

I rapporti commerciali, dapprima con il Medio Oriente, furono instaurati forse già nel 500 a.C. dall’Imperatore Persiano Dario I, ma si sa che la Dinastia Han nel 130 a.C. avesse già rapporti di scambio con il Mediterraneo. È interessante notare che l’antica parola greca per la Cina è “Seres”, che letteralmente significa “la terra della seta”. Il commercio lungo la Via della Seta includeva frutta e verdura, bestiame, grano, cuoio e pellami, utensili, oggetti religiosi, opere d’arte, pietre preziose e metalli e insieme alle merci si muovevano sia in un senso che nell’altro idee legate alla matematica, all’astronomia e religioni come il Manicheismo e il Nestorianesimo. Questi scambi commerciali e culturali furono determinanti per la nascita e lo sviluppo delle antiche civiltà, ma anche per la nascita del mondo moderno.

Primo documento scritto sulla Cina

“Il Milione” di Marco Polo è il primo documento scritto del mondo occidentale sulla Cina. Si tratta del resoconto del suo viaggio in Asia assieme al padre e allo zio. Prima del viaggio di Marco Polo, comunque, è importante ricordarsi di quello di suo padre Niccolò e di suo zio Matteo, che si recarono in Cina prima della sua nascita, probabilmente per puro caso. I due, infatti, commerciavano a Costantinopoli, che dal 1204 era di nuovo in mani cristiane, per poi recarsi nella città portuale di Soldaia (oggi Sudak in Ucraina). Nel frattempo, i Bizantini riconquistarono Costantinopoli chiudendo il passaggio verso casa alla famiglia Polo. Per poter continuare a commerciare i due decisero di proseguire a est, nell’attuale Uzbekistan. Lì vengono incoraggiati da un ambasciatore mongolo a incontrare Kublai Khan, nipote del famigerato Genghis Khan. L’imperatore dei mongoli incarica i due veneziani di inviare un messaggio di buona volontà al Papa. Per scoprire di più sul cristianesimo e sulla cultura occidentale, Khan li rimanda in Italia con l’incarico di chiedere al Papa 100 scolari occidentali e olio dalla lampada del Santo Sepolcro. Una volta tornati a casa i due riescono a procurare l’olio, i documenti papali e solo due frati, in quanto il Papa riteneva il viaggio troppo pericoloso. Da notare che i due frati non giunsero mai in Cina, ma decisero di tornare in Europa impauriti dai briganti musulmani lungo il tragitto.

La corte di Kublai Khan

Nel 1275, dopo un viaggio di tre anni, la famiglia Polo arriva alla corte di Kublai Khan, nello sfarzoso palazzo estivo a Shangdu situato a circa 200 miglia a nord-ovest dei suoi quartieri invernali nella odierna Pechino. Niccolò presentò all’imperatore cinese suo figlio e gli offrì i servizi di tutta la famiglia. Il giovane Marco si era dimostrato pieno di talenti, aveva imparato diverse lingue lungo il percorso, inclusa quella dei Mongoli, e aveva la padronanza di quattro alfabeti scritti. Due anni prima dell’arrivo di Marco, Kublai Khan aveva completato la conquista di tutte le parti della Cina e aveva bisogno di amministratori non mongoli in aree che resistevano alle autorità. Marco assunse vari ruoli diplomatici e amministrativi per l’imperatore dalla sua base a Dadu, che Kublai Khan costruì accanto a Khanbaliq. Sia Dadu che Khanbaliq si trovano in quella che ora è Pechino. Sembra che Kublai Khan facesse spesso affidamento sugli stranieri per amministrare l’Impero, il che in Europa all’epoca sarebbe stato assolutamente inaccettabile, e sta a indicare un approccio probabilmente più flessibile verso il concetto di etnia. Dopo diversi anni di tentativi di liberarsi dal servizio imperiale, i Polo finalmente ottennero il permesso da Kublai di scortare una giovane principessa al suo presunto marito Arghun, il sovrano mongolo della Persia. Nel 1292 i veneziani si unirono a una flotta di 14 imbarcazioni che partirono da Zaitun (ora Quanzhou, Cina), si fermarono brevemente a Sumatra e approdarono in Persia 18 mesi dopo, solo per scoprire che Arghun era morto. Il problema venne risolto sposando la principessa con il figlio di Arghun. I Polo si diressero verso Venezia attraverso Trebisonda (ora Trabzon in Turchia), Costantinopoli e Negrepont (ora Eubea in Grecia). Arrivarono a casa nel 1295, un anno dopo la morte di Kublai, che portò a un declino irrevocabile dell’Impero mongolo.


Marco Polo

La via più trafficata

La viabilità del traffico tra Asia ed Europa era nel passato, e lo è ancora oggi, dipendente della stabilità delle grandi potenze. Il declino del potere mongolo e il susseguirsi di dinastie cinesi che non potevano garantire la sicurezza e l’integrità dei vasti territori imperiali fecero sì che il traffico della Via della Seta si orientasse verso il mare, scelta facilitata dall’introduzione in Cina del compasso come strumento di navigazione. Ed è rimasta la via più trafficata fino ai giorni nostri. Però qualcosa è cambiato e il riassestamento del Paese del dragone ha riattivato le vie terrestri. Simbolo del vero potere della Cina moderna è ritrovare la strada percorsa dal famigerato Genghis Khan. Solo un vero Impero può garantire l’incolumità della merce su quella rotta.

La nuova Via della Seta, l’ambizioso manifesto della Repubblica Popolare Cinese per il potenziamento dei suoi collegamenti commerciali con i Paesi nell’Eurasia, è partito a gonfie vele. La Via della Seta terrestre attraversa tutta l’Asia Centrale e va dalla Cina fino alla Spagna. I porti del Mediterraneo rappresenterebbero dei terminali importanti per il ramo marittimo della nuova Via della Seta, che la Cina si impegna di tenere ben distinto dalla piattaforma terrestre, intesa come la somma di una serie di “ponti terrestri” autostradali o ferroviari destinati a svolgere il ruolo di rotte commerciali e tratti d’incontro tra i Paesi interessati, tra cui spiccano il China-Pakistan Economic Corridor (Cpec) e il New Eurasian Land Bridge progettato per la Cina e la Germania attraverso la Russia e il Kazakistan. Secondo alcuni studi, la nuova Via della Seta, chiamata anche One Belt One Road, coinvolgerebbe fino a 68 Paesi: più della metà della popolazione mondiale, tre quarti delle riserve energetiche e un terzo del prodotto interno lordo globale. Rappresenterebbe il più grande progetto di investimento mai compiuto prima, superando, al netto dell’inflazione odierna, di almeno 12 volte l’European Recovery Program, ovvero il celebre Piano Marshall.

Strada sempre meno a doppio senso

All’epoca di Marco Polo la Cina era incuriosita dall’Europa, dalle nostre tradizioni e valori. Oggi ci conoscono fin troppo bene. Se 500 anni fa gli europei arrivavano in Cina con lana, oro, argento, cavalli e vetro, oggi più della metà dei container che ritornano dal porto di Düsseldorf, in Germania, sono vuoti. La strada è sempre meno a doppio senso.
La nuova Via della Seta è diversa dalle rotte commerciali del passato in alcuni elementi fondamentali. Le storiche vie commerciali servivano da scambi commerciali e culturali e al massimo fornivano i cavalli per le truppe della dinastia Tang, ma avevano scarso significato politico. Invece la OBOR è un’espressione palese delle ambizioni di potere della Cina nel XXI secolo, con l’obiettivo di rimodellare il panorama geopolitico globale. Questa grossa iniziativa cinese distingue le nuove Vie della Seta dalle vecchie. Se i commercianti percorrevano enormi distanze attraversando deserti e montagne in cerca di profitti, e i monaci in cerca di illuminazione e gente da convertire, il loro viaggio era essenzialmente da ovest a est. I cittadini cinesi (come ha scritto il famoso monaco del VII secolo Xuanzang mentre si dirigeva verso l’India) sono stati esclusi dai viaggi oltre i confini della Cina. Oggi i ruoli si sono invertiti, con il governo cinese insieme a investitori privati che si espandono in Occidente. Come se leggessimo “Il Milione” all’incontrario.

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