Un mosaico di voci che è necessario salvaguardare

Il linguista nonché glottologo udinese Franco Finco ha preso parte al Corso di aggiornamento per insegnanti tenutosi di recente all’Università di Fiume

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Un mosaico di voci che è necessario salvaguardare
Foto: ŽELJKO JERNEIĆ

Tra i tanti illustri collaboratori del Dipartimento di Italianistica della Facoltà di Lettere e Filosofia di Fiume c’è anche il linguista Franco Finco, attualmente professore di Linguistica e didattica delle lingue presso l’Istituto per il plurilinguismo e la formazione interculturale (Institut für Mehrsprachigkeit und interkulturelle Bildung) della Pädagogische Hochschule Kärnten di Klagenfurt, Austria; autore di tre volumi monografici e di oltre novanta articoli e saggi e curatore di cinque volumi miscellanei e atti di convegno. Recentemente i docenti di lingua italiana e gli educatori hanno avuto modo di ascoltare la sua lezione sui materiali didattici da usare nell’insegnamento, tenutasi nell’ambito del Corso di aggiornamento “L’italianistica contemporanea: lingua, comunicazione e cultura italiana”. Abbiamo colto l’occasione per approfondire col professor Finco non solo il tema dell’insegnamento, ma per parlare degli altri suoi studi per quanto riguarda le lingue e soprattutto i dialetti dell’area dell’Alpe-Adria.

Qual è il suo campo di ricerca?
“Mi occupo di linguistica italiana e linguistica romanza in generale, compresa la dialettologia e l’analisi delle varietà locali minori e anche dei rapporti con le lingue e le varietà linguistiche di un’area specifica, che è quella dell’Alpe-Adria. Quindi sono partito come romanista, nel senso che mi occupo anche di altre lingue di origine latina, ma poi, già durante gli studi universitari e in particolar modo col dottorato, mi è sembrato naturale andare a esplorare le lingue dei vicini. Io provengo da Udine come università e sono nativo del Friuli e quindi il rapporto con lo sloveno, con il croato, con il tedesco e le lingue minoritarie che si parlano nel territorio sia della Regione Friuli Venezia Giulia, sia nelle regioni confinanti, mi è sembrato un naturale punto di arrivo di un percorso di ricerca che permette lo scambio di informazioni. Studio, quindi, l’italiano, ma anche i fenomeni che compaiono quando l’italiano incontra altre realtà linguistiche vicine”.

Quali Paesi e regioni comprende l’area dell’Alpe-Adria?
“Esiste una definizione più economica e comprende l’Italia del nord-est, partendo da Veneto, Trentino-Alto Adige e Friuli Venezia Giulia, passando per Slovenia e Croazia, fino ad abbracciare l’Ungheria, l’Austria e la Baviera, quindi la Germania. In realtà, poi, gli scambi culturali e transfrontalieri sono più stretti a livello di Italia nord-orientale, Austria e soprattutto Carinzia, Stiria, Slovenia, Croazia (in particolare il litorale, l’Istria e la Dalmazia) e la parte più occidentale dell’Ungheria per quanto riguarda i rapporti che hanno con le regioni dell’Austria orientale, il Burgenland, ecc”.

Lei attualmente lavora a Klagenfurt?
“Sì, lavoro all’Università pedagogica di Klagenfurt e quindi ho partecipato al Corso di aggiornamento per insegnanti anche grazie al mio interesse applicato alla formazione degli insegnanti di questa vasta area che ora appartiene a diverse nazioni, ma in realtà forma un continuum culturale. Al di là delle lingue questo territorio mostra dei segni di storia comune, che dopo secoli di divisioni nazionalistiche vogliamo mettere in evidenza. Molte volte queste lingue sono interlacciate o conviventi l’una con l’altra e da secoli hanno costituito un naturale dialogo. Il mio passaggio da Udine a Klagenfurt è iniziato come una collaborazione professionale con l’Università della Carinzia, soprattutto legata a corsi linguistici nel semestre estivo. Anche i colleghi della Carinzia cercavano una persona che avesse una conoscenza delle tematiche transfrontaliere perché anche là ci sono minoranze linguistiche, quella slovena in particolare, e contatti transfrontalieri che richiedono una didattica specifica nella formazione degli insegnanti”.

Ha studiato anche gli idiomi dell’Alto Adriatico?
“Sì, mi sono occupato dell’istroromanzo, dell’istrioto, in parte del dalmatico, dei dialetti ladini che erano parlati anche a Trieste e a Muggia fino all’Ottocento e poi naturalmente dell’istroveneto e di tutte le sue diversità. Mi occupo anche del friulano, delle varietà venete del Friuli Venezia Giulia, anche quelle piuttosto arcaiche come quelle di Grado e Marano. Si tratta di varietà linguistiche che fanno parte di un mosaico di voci che sarebbe bene preservare o quanto meno documentare. Nell’ottica dell’ecologia linguistica le lingue non sono solamente strumenti di comunicazione, ma veicolano anche un modo di vedere la realtà e quindi è importante anche questa pluralità di sguardi su una realtà, anche semplicemente limitata a un territorio. Più punti di vista abbiamo, meglio possiamo comprendere la storia e le infinite sfumature culturali di un territorio. Penso che questo sia importante soprattutto in un’epoca di globalizzazione dove c’è una tendenza all’uniformazione”.

Cosa si può fare per preservare queste lingue?
“Bisogna tener conto delle condizioni socio-culturali e linguistiche presenti oggi. Oggi c’è un forte richiamo della lingua globalizzante, in particolar modo l’inglese, mentre le lingue minori sono fortemente legate al territorio e quindi sono intrinsecamente saldate alle comunità che le parlano. Si possono organizzare delle iniziative e personalmente ho partecipato a un progetto di questo tipo realizzato dalla Regione Veneto, che da qualche anno ha avviato una politica di riconoscimento e valorizzazione delle minoranze linguistiche senza finalità politiche o di rivendicazione di qualche genere, ma per ricostituire un dialogo, anche con l’altra sponda dell’Adriatico, in modo da creare delle premesse per restituire prestigio al veneto. Anche se le due sponde parlano dialetti veneti diversi, fanno comunque parte di una koinè culturale linguistica comune. Da parte mia cerco di spingere iniziative simili non limitate al territorio veneto e forse potrebbe esserci la possibilità anche per studenti provenienti dall’Istria e da Fiume di andare a studiare in veneto”.

Come coinvolgere i giovani in queste iniziative?
“Una dimensione importante sono sicuramente i social. Vedo che anche in Istria e nel Quarnero questa dimensione di dialettalità è presente nella Rete. Magari è frammentario e non è un testo completo, ma è presente e veicola una precisa identità. Per i parlanti del dialetto usarlo anche nella comunicazione virtuale rappresenta un’affermazione di identità e da parte dei giovani anche di recupero di questa identità. Magari sentono i nonni in paese usare il dialetto, ma non sono locutori attivi, però nel momento in cui ci si accorge di quel plusvalore che il dialetto dà nell’identificazione della persona, si assiste a un recupero. È un fenomeno che è iniziato da una ventina d’anni”.

Com’è nata la collaborazione col Dipartimento di Italianistica?
“L’inizio risale al 2011 e all’epoca al mio posto c’era Matteo Viale, che poi si è trasferito a Bologna, ma fin da subito c’è stato l’accordo tramite il nostro mentore, Michele Cortelazzo, che sarei subentrato io. All’epoca lavoravo a Udine e inizialmente avrei dovuto tenere le lezioni un paio di giorni alla settimana, ma poco dopo questo si è trasformato in un posto fisso. Mi sono trovato subito molto bene grazie all’accoglienza e all’ambiente stimolante, però non sono mancate le difficoltà dovute alla burocrazia e all’organizzazione. Gianna Mazzieri-Sanković e Corinna Gerbaz-Giuliano hanno puntato sin dall’inizio sulla qualità dell’input linguistico e hanno preteso collaborazioni di madrelingua che avessero anche una capacità di interfacciarsi con le altre realtà linguistiche locali, col croato, col fiumano e con l’istroveneto. Visto che mi occupavo di questo settore per me è stato quasi naturale venire a lavorare a Fiume”.

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