Tanti eventi per capire il Carso

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Tanti eventi per capire il Carso

TRIESTE | Quasi venti appuntamenti per conoscere un po’ del Carso e comprenderne le dinamiche. Un tuffo nel mondo noto, che tanti segreti continua a custodire. Partite ieri sera nel Civico Museo di Storia Naturale di Trieste, le conferenze si susseguiranno nei mesi fino alla fine dell’anno: un’occasione per approfondire temi che sono costante oggetto di ricerca e valorizzano, al contempo, parte delle collezioni che compongono l’ente museale di via dei Tominz. La dinamica si lega, primariamente, alla modifica sostanziale in atto da tempo, degli ambienti naturali carsici dovuta a diversi fattori: l’urbanizzazione, la riduzione delle attività agricolo-pastorali e la loro recente ripresa, la parziale ricostituzione dei boschi originari e, contemporaneamente, il loro abbandono con la fine della pratica del legnatico; senza contare che anche i cambiamenti climatici nei tempi lunghi hanno avuto la loro importanza nell’evoluzione del paesaggio carsico.

Riflettere sulle possibilità di conservazione

“Ecco perché il ciclo di incontri intende presentare al pubblico – affermano gli organizzatori –, ai giovani in particolare, l’evoluzione del Carso e la complessità dei suoi ambienti, indicativamente negli ultimi 100 anni, dopo il rimboschimento con il pino nero”.
Le conversazioni sono affidate a importanti specialisti, e sono volte anche a riflettere sulle reali possibilità di conservare quanto ancora rimane del patrimonio vegetale, faunistico e paesaggistico del Carso. L’iniziativa si deve al Comune di Trieste e a Italia Nostra, come Associazione per la tutela del patrimonio storico, artistico e ambientale della nazione, che “conferma, anche con quest’iniziativa, l’importanza di promuovere la conoscenza di questi specifici ambienti naturali (caratteristiche, origine, evoluzione, criticità) anche fra coloro che frequentano poco il Carso o che non hanno mai visto un Carso diverso da quello attuale”, sottolineano gli esponenti del Museo, i quali hanno affidato gli incontri a specialisti del settore, professori e ricercatori.
Ieri sera, il primo appuntamento a cura di Livio Poldini era dedicato a “Lo stato precario dei boschi”. Seguiranno: il 9 maggio, “Il declino del pino nero: un effetto dei cambiamenti climatici?” con Andrea Nardini; il 16 maggio, “Gli habitat dei laghi carsici” con Miris Castello; il 23 maggio, “Cittadini scienziati: la “citizen science” e lo studio della biodiversità” con. Stefano Martellos; il 30 maggio, “Acqua e Carso: uno strano binomio” con Luca Zini; il 6 giugno, “Passato, presente e futuro degli stagni carsici” con Gaia Fior; il 17 ottobre, “I nuovi carsolini: novità più o meno positive tra la fauna carsica” con Nicola Bressi, anche direttore del Museo dal 2010; il 24 ottobre, “Gli insetti del Carso, una fauna meno nota” con Andrea Colla; il 31 ottobre, “Cambiamenti climatici nell’area carsica: quali evidenze?” con Renato Colucci; il 7 novembre, “Cambiamenti climatici e biodiversità vegetale: l’invasione degli alieni” con Giovanni Bacaro; il 14 novembre, “La situazione sotto il Carso” con Sergio Dolce, già direttore del Museo; il 21 novembre, “Chiacchierata sulla Val Rosandra” con Nicola Bressi e Sergio Dolce.

La cronistoria

Il Museo, nel maggio del 2008 vide chiudere la sede storica in piazza Hortis 4, che aveva ospitato l’importante Museo Civico per più di 150 anni; il trasferimento nella nuova sede in via dei Tominz 4, è del 2010. Il Museo vanta quindi una lunga storia, che inizia nel 1846 quando, per volontà e a spese di privati cittadini, sorge a Trieste una Società per lo studio della Storia Naturale, con particolare interesse per la fauna del mare Adriatico, e il 17 agosto dello stesso anno, con la prima adunanza dei soci fondatori, viene istituito il Museo Zoologico denominato “Gabinetto Zoologico Zootomico”.

Continuità e sopravvivenza

Qualche anno più tardi, e più precisamente, il 9 febbraio 1852, l’Istituto, con tutti i suoi reperti e collezioni, passa al Comune di Trieste, che lo annovera nei Civici stabilimenti, garantendone continuità e sopravvivenza. Le sedi del Museo si alternano, viste le difficoltà di esposizione e deposito per le continue donazioni di privati che fanno aumentare non poco le collezioni e i reperti di quest’istituto. Il Comune decide così di determinare la spesa per l’innalzamento di un piano della Biblioteca Civica, situato in Piazza Lipsia 1015 (oggi piazza Hortis, 4) per poter sistemare in modo definitivo il Civico Museo. Nel 1855 il Consiglio Comunale chiede all’arciduca Ferdinando Massimiliano di accoglierlo sotto l’alto suo protettorato, e il 6 novembre dello stesso anno l’Arciduca concede al Comune di chiamare il Civico Museo Zoologico “Civico Museo Ferdinando Massimiliano”.
Nella nuova sede, il Museo ebbe la possibilità di sistemare in modo adeguato le collezioni che via via si arricchivano, per le numerose donazioni, per i frutti di particolari spedizioni, come quello della fregata “Novara” intorno al mondo, e per la collaborazione con il Gabinetto dell’I.R. Accademia di Commercio e Nautica, che fece pervenire molti reperti. Il Museo pertanto, pur conservando un indirizzo zoologico, s’arricchisce anche di reperti floristici, geologici e paleontologici e di una Biblioteca specializzata con opere in molte lingue.
Nella storia del Museo, i direttori che si sono succeduti alla sua guida sono stati molti e soprattutto personaggi importanti, a partire da Heinrich Koch 1846-1852, svizzero, al quale venne affidata la direzione scientifica di quel Gabinetto zoologico – zootomico, di cui è fondatore, assieme ad altri illustri studiosi, e che costituirà il primo nucleo del Museo di Storia Naturale. Altro nome importante è quello di Carlo de Marchesetti, 1876-1921, medico con lo spirito del naturalista e nei suoi viaggi e nelle sue escursioni appunta osservazioni supportate da raccolte che gli consentono di pubblicare molti lavori sul Bollettino della Società Adriatica di Scienze Naturali. Aveva un grande interesse per la Paleontologia e i suoi studi lo portarono a moltissime scoperte; sono famose le sue ricerche e i suoi scavi a S. Lucia di Tolmino, dove scoprì una necropoli con ben 210 tombe, i reperti trovati nella grotta di Gabrovizza denominata poi “Grotta dell’Orso”, e proprio qui furono trovate ossa di molti mammiferi del quaternario e oggetti che confermavano la presenza dell’uomo del paleolitico. Nel 1896 pubblicò “Flora di Trieste e dei suoi dintorni”, opera fondamentale per gli studi botanici regionali, e nel 1903 illustrò i Castellieri preistorici di Trieste e della Venezia Giulia.

Ampliamento

Nel 1921, avendo superato l’età prevista dai regolamenti comunali (a tutt’oggi fu il direttore che rimase in carica più a lungo), fu nominato direttore onorario e prefetto del Civico Orto Botanico, che era stato annesso al Museo nel 1903 sotto la sua direzione; nello stesso anno depose la carica di presidente della Società Adriatica di Scienze Naturali che gli era stata conferita nel 1901. Morì nel 1926 lasciando incompiuta la sua opera “La flora della Provincia delle Alpi Giulie”, che si era impegnato di condurre a termine. Durante la direzione di Carlo de Marchesetti, il Museo ebbe come conservatore Antonio Valle, il quale arricchì le collezioni marine; da ricordare la raccolta di Capepodi, parassiti dei pesci marini, da lui determinata. Da segnalare, anche, la direzione di Giuseppe Muller, 1928-1945, perché nato a Zara e formatosi a Graz con laurea in Filosofia nel 1902. Il suo interesse per lo studio delle materie naturalistiche gli valse una pubblicazione, ancora studente, per una sua interessante ricerca sulle radici di un’orchidea sugli Atti dell’Accademia di Vienna. Dopo la laurea si stabilì a Trieste. Iscritto alla Società Adriatica di Scienze, fondò subito la sezione di entomologia dando un notevole impulso allo studio dei Coleotteri del Friuli Venezia Giulia, Istria e Dalmazia. Nel 1914, allo scoppio della Prima guerra mondiale fu chiamato alle armi nell’esercito austriaco, fu assegnato a una stazione antimalarica e poi fu trasferito a Vienna nel Laboratorio batteriologico dell’esercito. Frutto di quel periodo furono una serie di ricerche sul Pidocchio dei vestiti (Pediculus humanus corporis L.), vettore del tifo petecchiale, che allora mieteva numerose vittime nell’esercito. Tornò a Trieste e nel 1921 fu assunto dal Comune come conservatore presso il Museo Civico di Storia Naturale dove cominciò a mettere le basi per una sezione di entomologia ampliando così il campo di ricerca dell’istituto. Nel 1928 fu nominato direttore del Museo e dell’annesso Orto Botanico. 
Nel 1932 progettò il Civico Acquario Marino, che fu inaugurato nell’ottobre del 1933, dimostrando capacità, non soltanto scientifiche, ma anche organizzative e tecniche risolvendo non pochi problemi legati all’adattamento degli impianti all’edificio. 
Giuseppe Müller lasciò la direzione del Museo per raggiunto limite di età nel 1945, proseguendo tuttavia gli studi e le ricerche perché ricevette l’incarico di dirigere il Centro Sperimentale Agrario e Forestale di Trieste. Morì a Trieste il 24 settembre 1964 donando al Museo la sua collezione entomologica e la sua ricca biblioteca.

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