«Una vita in secca» presentato a Capodistria

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«Una vita in secca» presentato a Capodistria

CAPODISTRIA | A Palazzo Gravisi è stato presentato il nuovo romanzo di Aljoša Curavić “Una vita in secca”, pubblicato dalla Casa editrice ligure “Oltre”. Nell’occasione l’autore ha colloquiato con Diego Zandel e Irena Urbič sulle tematiche, sulle origini e sull’universo di frontiera in generale, che riguarda la sua produzione letteraria.

Anche in “Una vita in secca” è presente quella che lo stesso Curavić, caporedattore dei programmi italiani di Radio Capodistria, definisce “psicopatologia dell’identità di frontiera”, che prende forma attraverso il viaggio di un medico veneziano, di origini istriane, sparito in un incidente aereo. Lo sfondo della storia di Davide Santin, l’alter ego inventatosi dal medico, è appunto la frontiera che “tira fuori il meglio e il peggio. Nel romanzo ne vengono affrontate diverse, come quelle con le quali i medici si confrontano quotidianamente, quella tra la vita e la morte o la salute e la malattia”, ha precisato l’autore. Il mondo di Davide non può esistere senza questa, ma il vero filo conduttore del libro è l’acqua. Il mare con le sue maree e i disagi di chi vive l’attrito con il diverso, che caratterizza tutte le frontiere.

Tutta «colpa» dell’acqua

Il titolo del libro ne rileva il paradosso, come nel caso dell’uragano Katrina, che causò la maggior parte di perdite di vite umane nel capoluogo della Louisiana, New Orleans, constatato anche di persona dello scrittore, per mancanza di acqua potabile. L’editore e curatore della collana “Confini” Diego Zandel, scrittore di origine fiumana, esule, con specifica sensibilità verso contenuti del genere, ha ammesso di essersi identificato parecchio con il racconto e ne ha elogiato la prosa, a tratti davvero intensa. “È l’unico modo in cui riesco a esprimermi in forma di romanzo. Quando scrivo qualcosa che dovrebbe trasformarsi in racconto mi chiedo cosa voglio comunicare. Ma il primo pensiero alla pubblicazione di questo romanzo è stato: verrò sfrattato da Capodistria…”, ha confessato l’autore con una nota di ironia, visto che la roccaforte di frontiera ex-jugoslava e ora slovena, chiamata Castello-Kaštel, è proprio il capoluogo del Litorale.

Piccola, grande Capodistria

“Capodistria è il prototipo della città ex… tante cose. Nel suo piccolo è ricchissima di testosterone, viene promossa come il più grande porto della Slovenia, ma è anche l’unico. Ogni città ha un cuore pulsante, però quello di Capodistria stento a trovarlo. La Comunità Nazionale Italiana fa da cordone ombelicale tra l’attività portuale, che la caratterizza oggi, e la storia”, sostiene Curavić.
L’operatrice culturale Irena Urbič ha colto l’occasione per sottolineare che nell’opus del territorio mancava ancora un romanzo “urbano”, all’interno del quale primeggiasse la città di Capodistria, come aveva fatto Marjan Tomšič con l’entroterra istriano oppure Tomaž Šalamun con la poesia. Vuoto che potrebbe venire colmato dall’ultima fatica letteraria del giornalista e scrittore. Puntualizzando di non avere esperienze con la critica letteraria e di potere, di conseguenza, esporre solamente le proprie impressioni, la co-conduttrice dell’evento ha tenuto a encomiarne la prosa nella quale Aljoša Curavić spazia dal poetico all’amaro con un ritmo sincopato. “Si legge tutto d’un fiato e il lettore si identifica con il crudele mareggiare dello spazio e del tempo nel quale viviamo – ha detto a proposito di “Una vita in secca” la Urbič. La presentazione ha incuriosito e interessato senza dubbio il numeroso pubblico presente, tra cui il deputato al seggio specifico al Parlamento sloveno, Felice Žiža, il direttore della Biblioteca centrale “Srečko Vilhar”, David Runco e la consigliera comunale, Ondina Gregorich Diabaté.

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