RACCONTI FIUMANI TRA FANTASIA E REALTÀ Godzillino chersino

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RACCONTI FIUMANI TRA FANTASIA E REALTÀ Godzillino chersino
Foto Florinda Klevisser

Ogni volta era la stessa storia: sembravano tutti pronti e quasi fuori dalla porta quando lei si ricordava di una cosa, poi di un’altra e poi dell’ultima visita al bagno perché prima di intraprendere un viaggio, anche breve, bisognava assicurarsi di aver fatto la pipì. Il marito,sul pianerottolo, sbuffava.

“Dov’è Marco?”

“Andiamo dai, è sceso da un po’. Sta sicuramente giocando con la posta.”

Trovarono il bambino intento a far volare una flotta composta da aerei di compagnie diverse:Lidl, Coop, pizza a domicilio… Si era fatto davvero tardi. Grazie al nuovo tratto di tangenziale che collegava Fiume all’isola di Veglia e all’abolizione del pedaggio sul ponte dedicato per decenni a Tito, raggiunsero Valbisca in soli 45 minuti. Presero il traghetto al volo.

Marco era un bambino curioso, ma anche responsabile e i suoi genitori gli lasciavano un margine di libertà. In un attimo era sul ponte più alto della nave, intenzionato a provare il suo nuovo binocolo. Se l’era comprato con i risparmi di mesi di paghette. Lo trovarono concentratissimo a contemplare un punto preciso dell’isola di Cherso, nei pressi dello scalo di Merag. Era talmente assorto che non sbatteva nemmeno le ciglia, né si accorgeva di quelbel cono gelato che la mamma gli sventolava davanti.

“Cosa stai guardando?” disse lei incuriosita. “Hai visto un grifone? Nidificano qui vicino…”

“No mamma. Guarda anche tu. C’è un buco nella terra. Un grande buco!”Prese il binocolo e osservò attentamente. Il buco c’era per davvero. Sentì come un brivido. La terra sembrava scendere bruscamente in una voragine a imbuto di dimensioni colossali.Eraricoperta dalla vegetazione,con fitti arbusti e profumate piante medicinali che arrivavanofino al mare.

“Questa è una zona carsica e la terra crea avvallamenti dovuti all’erosione della roccia calcarea. Ma una forma così particolare può anche essere opera dell’uomo, un’antica cava.”

Restituì il binocolo al bambino che lo ripose sulle ginocchia e si mise a mangiare il gelato. Più si avvicinavano all’isola e meglio si poteva osservare lo strano fenomeno geomorfologico. Madre e figlio ne erano rapiti.

In soli venti minuti erano già sull’isola di Cherso,che li accoglieva con il suo profumo di salvia. Era aprile, il periodo ideale: iniziava a fare caldo e non c’erano turisti. Decisero di dare un’occhiata da vicino al buco. Roberto decise di aspettarli al bar. Proprio da lì partiva un vecchio sentiero che saliva sul colle. Il percorso era impervio e difficile da seguire. Marco aveva portato la bussola, dalla quale non si staccava mai. Insieme al binocolo e al berretto a campana, gli dava la tipica aria da esploratore. Puntava il suo infallibile strumento e sembrava molto convinto di dove andare. La madre lo lasciava fare. Quella era una delle loro avventure e non sarebbero andati lontano.

Arrivarono in un punto di cui si vedeva nuovamente il mare e gli arbusti avevano lasciato spazio a salvia e timo.

“La terra è così rossa…?”

“…per il contenuto di ferro, mamma!”

Lo guardò soddisfatta per la risposta esatta e quasi non si accorse che stava per mettere il piede in fallo. Il terreno non andava più in salita. Anzi, stava scendendo bruscamente. Di fronte a loro si apriva una grande voragine. Il buco! Laura abbracciò Marco. Era stato veramente bravo a guidare la spedizione. Erano entrambi molto eccitati dalla scoperta. Marco tirò fuori la macchina fotografica che aveva ricevuto per Natale. Era piccola, ma aveva uno zoom potente. Cominciò a scattare. Sembrava voler immortalare ogni millimetro dell’area, forse per poterla studiare meglio dopo. A Laura sembrava un’idea saggia. Anche lei trovava strano quel posto. Non ricordavauna morfologia del genere nei suoi libri e si chiedeva quale ne fosse l’origine.

“Forse questo buco lo ha fatto una palla gigante”, disse Laura.

“Si, una palla gigante, ah ah, e da dove verrebbe questa palla?”

“E se venisse dallo spazio?”, disse Laura divertita.

“Portata dai marziani. Sì, come no.” aggiunse Marco che continuò con le sue ipotesi: “Per me, un fulmine ha colpito un serbatoio di benzina, uno di quello per i traghetti, ed è esploso tutto! Buuum!”.

La sua ipotesi era per ora quella più realistica. Controllando le fotosi fermò a osservarne una in particolare. Divenne insolitamente serio e silenzioso.

“Mamma, credo che hai ragione tu. Sono stati i marziani. Guarda. Ce n’è uno qui. Anzi, un loro uovo. È come quello che ho visto nel film Alien”.

“Ma se ti ho detto che non devi guardarli quei film!”

“Si scusami, l’ho visto con papà…”, e si tappo la bocca con le mani.

“Mi sentirà! Ma fammi vedere piuttosto. Cos’hai visto?”

Il bambino le passò la macchina fotografica e portò agli occhi il binocolo. Sembrava un uovo pure a lei, ma era troppo grande. Si alzò in piedi, scattò un altro paio di foto e guardò l’ora. La fame si stava facendo sentire edovevano andare.

Mezz’ora dopo erano già a Loznati, al ristorante a gustare il famoso agnello chersino, dalle carni profumate dalle erbe dell’isola. Avevano preso il tris, checomprendeva agnello cotto alla brace, al forno e impanato.Avrebbero soggiornato aValunper poi proseguire per Lussinpiccolo e visitare il museo dell’Apoxyomenos, il giovane atleta in bronzo ritrovato nelle acque dell’arcipelago. Unneverìn, un forte temporale che non avevano previsto, anche perché inconsueto in quella stagione, gli guastò i piani. Dovettero rientrarein anticipo, ma con l’idea di ritornare due settimane dopo per la felicità diMarco.

Le due settimane passarono in fretta. I libri di geomorfologia di Laura avevano un posto fisso sul tavolo della cucina e venivanoconsultati assiduamente da madre e figlio. Il padre si divertiva a vederli discutere di geo-marzianologia, come avevano denominato la nuova branca della scienza di cui erano gli iniziatori. Il gioco piaceva a Laura, perché le permetteva di insegnargli molte cose su quel territorio carsico pieno di grotte e doline.

Si ritrovarono sullo stesso traghetto e ripercorsero il sentiero sull’isola, con Roberto che li aspettava al bar. Marco arrivò per primo alla meta. Laura lo trovò con il binocolo puntato, immobilee con la bava colante. Gli succedeva quando era particolarmente concentrato. Gli mise una mano sulla spalla, dolcemente, per fargli sapere che era lì. Le porse il binocolo. Lei mise a fuoco,ma non riuscì a trovare l’uovo. Prese la macchina fotografica e cercò le foto per un confronto. Qualcosa era cambiato. Decisero di andare a vedere da vicino. Arrivarono al punto in cuipensavano di trovare l’uovo e al suo posto c’erano pezzettini di guscio, di varie dimensioni.

“Era veramente un uovo venuto dallo spazio!”, disse il bambino.

“Ma che dici!Ci sarà una spiegazione più razionale!”

“Ah si? E quale?”

Marco era molto divertito ed eccitato. La madre, invece, era sempre più preoccupata. Da dietro a una roccia spuntò un rettile grande quando suo figlio. Laura afferrò il bambino per proteggerlo.

“Ma-ma-mamma, ma cos’è questo?”

“Non lo so. Scappa!”

Iniziarono a correre, ma la pendenza li faceva avanzare lentamente. Marco era davanti. Mise un piede in fallo e iniziò a scivolare verso il basso. Un attimo dopo il rettile era già sopra di lui. La madre si girò temendo quello che avrebbe visto. Sentiva singhiozzava sempre più forte. Doveva fare qualcosa. Senza il suo bambino niente più importava. Si lasciò scivolare anche lei su quella terra rossa e piena di sassi appuntiti. In un attimo gli fu vicino. Ora doveva solo liberarlo da quel mostro. Lo prese per il collo squamoso e cominciò a tirare.

“Lascialo mamma, ah ah, mi fa il solletico, ah ah, posso tenerlo?”

Mollò la presa. A guardarlo bene il super-rettile aveva un’aria simpatica.

Il draghetto si girò e con la testa le diede un colpetto sul petto. Lei istintivamentelo accarezzò.

“Ma cosa stiamo facendo! Dobbiamo chiamare qualcuno. Andiamo da papà. Lui saprà cosa fare.”

Prese il figlio per un braccio e lo trascinò verso la cima della voragine senza mai voltarsi. Le sembrava pesante, ma non ci fece caso. Raggiunto il sentiero prese fiato e si girò. Oltre a Marco si trovò davanti anche il suo nuovo amico, che le diede una leccata dal mento alla fronte.

“Aaaaaa! Ma che ci fa lui qui?”

“Viene con noi! Gozzillino è mio amico!”

“Gozzillino?”

In effetti,ricordavaGozzilla, ma in miniatura. Pensando al film le venne un’idea. Gozzilla era una creatura marina ed era proprio lì che lo dovevano portare. Non sapeva in che altro modo sbarazzarsi di lui e viste le circostanze ogni idea bizzarra poteva funzionare. Ed era l’unica che le era venuta in mente.

“Forza ragazzi, avanti marsch. Uno, due, andiamo!”

Grazie al ritmo incalzante arrivarono rapidamente al bar, dove Roberto li accolse con l’aria irritata di chi ha aspettato troppo. Non appena vide una lunga coda verde sbucare da dietro il figlio,si irritò ancora di più.

“Ma che ci fa Marco con quel costume di Carnevale? E io che vi aspetto …!” “Costume? Quale costume?”, disse Laura.

Marco saltò in braccio al padre gridando: “Papi, posso tenerlo?”

Gozzillinoli osservavamuovendo a destra e sinistra la lunga coda appuntita.

Roberto fece un balzo all’indietro trascinando anche Marco. Gozzillino non si mosse, ma guardò Laura che lo accarezzò in modo rassicurante.

“Ti racconto tutto dopo. Ora dobbiamo convincerlo a fare un tuffo in mare e a rimanerci. Non lo vorrai portare mica a casa!”

“Ma mamma…”

“Discussione chiusa. Roberto prendi i costumi da bagno dalla macchina” “Ma è aprile. Non abbiamo…”

“Certo che si. Li porto sempre. Se hai un’idea migliore…”

Non riusciva nemmeno a pensare e non gli sembrava il momento in spiegazioni. Per quanto gli sembrasse innocuo,quel bestione rimaneva imprevedibile. Tornò con i costumi e un paio di teli da spiaggia. Si avvicinarono alla fine del molo e appoggiarono le loro cose sul cartello che vietava la balneazione. Per fortuna, vista la stagione,non c’era nessuno. Laura infilò un piede nell’acqua:era gelida.

“Sei sicur…” Roberto non aveva nemmeno finito la frase che lei si era già tuffata.

“Vieni Marco. Vieni anche tu Gozzillino. Che frajeta.”

Cominciò a nuotare e a schizzare acqua da tutte le parti per farlo sembrare più divertente. Marco, che era fatto della stessa pasta della madre, la seguì. Gozzillino si trovò sul molo con Roberto. I due si guardarono e, rassegnato,anche l’uomo si lanciò in acqua. A quel punto Gozzillino era rimasto solo. Sembrava pronto a tuffarsi quando si girò e iniziò a correre nella direzione opposta. Laura era stupita e delusa per il fallimento del suo piano, sul quale nessuno avrebbe in effetti scommesso. Iniziarono a nuotare verso riva,quando videro arrivare in volo il misterioso essere, che con un fragoroso tuffo si inabissò proprio in mezzo ai tre. L’acqua era profonda e non riuscivano a vederlo. Passarono alcuni secondi, che diventarono presto minuti e Gozzillino non si vedeva. In silenzio, uscirono dall’acqua e andarono sul molo a scaldarsi un po’.

“Mamma. Gozzillino non sa nuotare…”

Marco continuava a fissare il mare con le guance rigate dalle lacrime. La madre lo abbracciò. Si sentiva in colpa. Tutto d’un tratto videro un branco di pesci saltare fuori dall’acqua,comein fuga. Poi la superficie del mare si increspò. Tutto quel movimento attirò la loro attenzione. Vicino al molo emerse la testa di Gozzillinoche aveva in bocca un bel branzino. Lo porse a Marco, che accettò con piacere il dono.E poi, con una giravolta all’indietro riprese a nuotare verso il largo. Quello era il suo mondo e Laura era molto compiaciuta dal successo insperato del suo improbabile piano.

Gozzillino da allora divenne una delle principali attrazioni del golfo del Quarnero, come prima di lui Nessie per il lago di LochNess, e godette di pesca illimitata e nuoto libero per tutta la sua lunghissima vita. Non si dimenticò mai del suo amico Marco e della sua famiglia, che erano gli unici a riuscire veramente a vederlo.

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