«Pinocchio». Entusiasmo e rispetto

A colloquio con Michele Pastorini, autore della coreografia, del concetto e della regia dello spettacolo per bambini che debutta oggi al TNC «Ivan de Zajc» di Fiume

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«Pinocchio». Entusiasmo e rispetto
Michele Pastorini. Foto: RONI BRMALJ

Per la gioia di grandi e piccini sulle tavole di legno del TNC “Ivan de Zajc” di Fiume andrà in scena oggi a mezzogiorno l’attesa première di “Pinocchio” di Carlo Collodi, la cui coreografia, il concetto e la regia portano la firma di Michele Pastorini, la musica quella di Marin Butorac, i costumi e la scenografia di Aleksandra Ana Buković e la cura delle luci sono siglate Kristian Baljarewski. Un gruppo di lavoro prestigioso, affiancato da coloro che hanno fisicamente dato una spumeggiante ed emozionante vita a una delle favole più belle di sempre, gli eccellenti ballerini del Corpo di ballo dello “Zajc”. Abbiamo incontrato il sensibile artista per farcelo raccontare ed è stato impossibile non venir coinvolti dal suo entusiasmo, dalla preparazione e dall’amore che ci ha messo nel crearlo. Non potevamo non chiedergli come mai abbia scelto di narrare in danza proprio la storia del noto personaggio-burattino.

“Proposi di farlo già alcuni anni fa, rendendomi conto che i bambini erano una fetta di pubblico sulla quale puntare. L’esperienza di ‘Hansel e Gretel’ non fu un esperimento necessariamente riuscito e oggi, dopo questa vissuta con ‘Pinocchio’, ne capisco la ragione. In effetti, ai coreografi inizialmente viene chiesta una cosa e poi, probabilmente per un’esigenza artistica, o anche forse un po’ per ego, si staccano da quello che è l’obiettivo principale, per il quale si era iniziato un certo tipo di discorso di lavoro, teso a coinvolgere il pubblico dei bimbi. Per quanto possa essere divertente e bello, se si è dannatamente innamorati del proprio lavoro, a volte si vorrebbe scappare da qualsiasi tipo di storia e fare altro”.

Conquistare i più piccoli
Quale tipo di responsabilità comporta l’occuparsi della coreografia e della regia rispetto alla danza?
“Si tratta di un onere completamente diverso, in quanto ci si occupa di ciò che andrà in scena. Da ballerino invece si è in una posizione in cui bisogna capire quello che il coreografo vuole, alla quale sono più abituato per un’occorrenza di proporzioni. In merito allo spettacolo odierno, penso di aver chiuso bene il quadro completo e sono molto contento. So che tipo di lavoro ho fatto e sono convinto e felice delle scelte compiute, come pure dell’approccio che ho avuto, sia dal punto di vista fisico con i ballerini, che nei confronti di chi lo verrà a vedere, che per me è l’elemento più importante in assoluto. A differenza di altre cose che ho realizzato, in cui mi sono preso la libertà di essere più egoista, non ho mai perso di vista l’obiettivo, teso a conquistare il pubblico giovane, nello specifico i bambini. Il mio desiderio è farli sorridere e dargli modo di vivere un’avventura insieme ai protagonisti”.

In passato aveva già realizzato qualcosa per questa fascia di pubblico?
“Dieci anni fa, in Germania, mi cimentai in un’esperienza diversa, molto più ridotta, che consisteva anche nella rappresentazione di un ‘Pinocchio’. In quella situazione a dei giovani coreografi fu data la libertà di creare un qualcosa e io portai in scena una quindicina di minuti del capolavoro collodiano, il quale in seguito piacque e venne inserito nel contesto delle scuole. A parte un Michele giovanissimo, il pensiero e la struttura che vi stavano dietro erano completamente differenti. Era chiaramente rivolto ai bimbi, ma conteneva un grande messaggio per i genitori e per le persone adulte. ‘Pinocchio’ effettivamente racconta tante cose, bisogna solo scegliere la prospettiva giusta con la quale guardarlo”.

Le bugie dette dal burattino
Come ha affrontato quello fiumano?
“Con una grande sensazione di libertà e gratitudine verso coloro che hanno creduto in me. Nel 2023 è stato celebrato il 140.esimo anniversario di questo personaggio senza età, il quale, a pensarci bene, continua a parlare ai cuori da sempre e non vi è nessuno che sia vissuto prima di lui, per cui la sua storia è la più vecchia di tutte. Infatti, penso sia difficile trovare qualcuno che non ne abbia quantomeno sentito parlare. Rifletto spesso su quelli che sono i luoghi comuni rispetto a diversi personaggi e narrazioni. Anche se Collodi nella favola originale mente una sola volta, il che io rispetto nello spettacolo, paradossalmente Pinocchio è conosciuto per le bugie e per la magia della crescita del suo naso. La cosa bella della storia, nota a tutti, ma non necessariamente in maniera approfondita, dà la possibilità di prendersi la libertà di giocare. In tale contesto, me ne sono prese alcune piccole, che ho voluto esternare e che sono palesi e chiarissime anche a chi non la conosce”.

Quando ha letto/incontrato la prima volta il personaggio di Pinocchio?
“A livello letterario, in qualità di lettura appartenente a un discorso scolastico, veniva da me evitato, anche se molto tempo dopo lo apprezzai tantissimo. Da bambino crebbi con la miniserie ‘Le avventure di Pinocchio’ del 1972 di Luigi Comencini, che reputo fantastica, come pure il Pinocchio’ di Roberto Benigni (2002), uno dei primi film visto al cinema con mamma e papà, un’altra bella esperienza”.

In quale modo ha pensato ai bambini e a come coinvolgerli?
“Ovviamente c’è un grande lavoro dietro a livello di struttura. In merito ai bambini, però, mi avvalgo delle esperienze di tutti gli anni di animazione con loro. Ne sono follemente innamorato e penso sia un’attrazione abbastanza reciproca. Quando lavoro, quando sono in sala con i ballerini, ho bisogno di un momento in cui posso diventarlo nuovamente anch’io e di guardarli con gli occhi del piccolo Michele”.

Trovare il giusto equilibrio
È soddisfatto della scelta di Thomas Krähenbühl e Federico Rubisse nelle vesti di Pinocchio?
“Penso di aver trovato due Pinocchi fantastici. Lo spettacolo può essere discutibile o meno, ma sta di fatto che abbiamo realizzato una produzione di 55 minuti, quindi in un arco di tempo che è inferiore rispetto a molti altri coreografi che hanno lavorato più a lungo per cose che duravano meno e con un solo cast, laddove noi ne vantiamo due. Non voglio peccare di presunzione, ma avevo voglia di aprirmi a più persone e osservavo troppa bellezza in giro per non abbracciarla tutta. Questo era quello che mi premeva, tantoché faccio fatica ad avere una preferenza. Ripensando al Pinocchio di Comencini, la somiglianza con Thomas è straordinaria, il che mi diverte molto, come pure quella di Giorgio Otranto nei panni di Lucignolo con quello interpretato da Kim Rossi Stuart nel film di Benigni. In generale, i ballerini sono eccezionali, bravissimi, molto professionali e rispettosi di questo lavoro. Penso abbiano colto sin da subito quale fosse la mia intenzione e di essere riuscito a trovare un equilibrio giusto tra la mia stima nei loro riguardi e il desiderio di creare un qualcosa che sia accessibile anche ai bambini. Se risulterà semplice significa che è stato fatto bene, però è stato difficile”.

Le è mai dispiaciuto non aver interpretato lei il ruolo di Pinocchio?
“Assolutamente no. Mi sono goduto questo momento di pura creazione coreografica. La cosa bella è che cambio parecchio in quanto, a differenza di quando danzo e sono molto partecipe, nel ruolo di coreografo devo sempre essere un passo avanti, ma essere anche pronto a farne uno indietro. Paradossalmente, una volta proposti i passi coreografici e suggerita la qualità di movimento, anche se è stato un bellissimo momento, non mi sono ritrovato davanti allo specchio a fare le piroette, a ripetere i movimenti o altro. Si ricercava un’immagine e, avendo la fortuna e il vantaggio di lavorare con dei Signori ballerini, veloci, attenti e intuitivi, tutto mi è stato permesso”.

Alla ricerca dell’identità
Come ha elaborato e proposto l’idea?
“Innanzitutto ho cercato di fare chiarezza in me, nel senso che non volevo lasciare nessuno con dei dubbi. Con le dovute consapevolezze delle varie scelte che ho effettuato penso di esserci riuscito, di aver risposto a tutti e di essermi occupato dei loro caratteri. Inoltre, al fine di non venire influenzato da altre realizzazioni e in qualche modo di distanziarmi dal mio ruolo di ballerino attivo, in maniera molto intima e mentale mi sono ritagliato un periodo per assimilare chi fossi, prodigandomi a cercare una mia identità. Per avere una struttura chiara e considerati i tempi a disposizione, ho iniziato a pensare al mio ‘Pinocchio’ già a ottobre, ma il lavoro fisico è stato avviato all’inizio di febbraio”.

In che modo ha costruito lo spettacolo?
“Piano piano. Una volta saputo che il progetto sarebbe andato in porto ho cominciato a studiare. Ho riletto lo scritto intero tre volte, mentre alcuni spezzoni o capitoli una miriade di altre. Successivamente ho comprato un audiolibro che ascoltavo in macchina e ho rivisto i film. Devo dire di aver anche ‘colloquiato’ tanto con Collodi e, nel toccare il suo lavoro, mi ha aiutato in modo significativo l’aver collaborato con il regista Luciano Delprato. Egli mi ha insegnato che quando si ha a che fare con il lavoro di un’altra persona bisogna chiedere il permesso e intrattenere una conversazione giusta, intensa e chiara con la stessa. In concomitanza con ciò mi sono chiesto chi fosse Collodi e ho capito che, a volte, i geni involontariamente finiscono per fare delle cose molto belle e importanti. ‘Pinocchio’ nasce dall’esigenza di monetizzare, per poi perdere e sperperare quel denaro. La cosa meravigliosa è che, per fortuna, vi siano stati degli autori che ci hanno visto lungo e che i bambini abbiano voluto il suo ritorno. Ho amato molto Collodi e penso sia contento.
Per ciò che concerne la costruzione dello spettacolo, nella prima fase ho spiegato ai ballerini l’idea generale, ho raccontato loro del modo in cui m’immaginavo i vari personaggi, dopodiché siamo partiti con la realizzazione. Considerato che tutti noi siamo il frutto di ciò che viviamo e delle persone che incontriamo, a mio avviso è importante che in ogni cosa che si fa si metta qualcosa di nostro. In tale contesto, se ad esempio avessi avuto un padre diverso, probabilmente il sapore sia di Pinocchio che di Geppetto sarebbe stato diverso. A dire il vero, ho fatto fatica a coreografare quel duetto in quanto non smettevo di avere il magone. Dall’altro lato, il rapporto con la Fata turchina è diverso, fatto di silenzi. Lei comunica attraverso la magia e attraverso una sensazione più materna tra madre e figlio, è meno chiara e paradossalmente meno fisica rispetto a quella di Geppetto. Per ciò che riguarda lo spettacolo, sia a livello di musica che di scene, l’ho pensato velocissimo e molto dinamico, come se si guardasse la televisione. Penso che il segreto sia scegliere che cosa consegnare ai bimbi e decidere noi i motivi per i quali sorrideranno, piangeranno, si commuoveranno. Infine, sempre in tema di costruzione, devo dire di essere stato un vero rompiscatole per il compositore delle musiche, Marin Butorac, che per me è stato una meravigliosa scoperta, di una disponibilità impressionante. La mia idea era di avvalermi della musica tradizionale di Pinocchio, presente in più momenti in chiavi diverse e lui è riuscito a realizzare tutto”.

Come è invece pensata l’ambientazione?
“Lo spettacolo si svolge tra le pagine di un libro, il quale rappresenta visivamente ciò che accade e, nel girarle, cambieranno le scene. I personaggi entrano, vanno avanti e indietro, ne diventano parte ed escono dallo stesso. Vi è la casa di Geppetto, la scuola, il Campo dei Miracoli, la balena, nonché il Paese dei balocchi e il Teatro dei burattini. Anche Mangiafuoco è una bella sorpresa per i pargoli”.

È un pochino geloso del Pinocchio che ha creato, sente che in qualche modo le appartiene?
“Ho dovuto fare pace con l’idea di condividerlo con gli altri e penso che ci dovrò ancora lavorare su. Non è semplice accettare il fatto che qualcuno lo guarderà con superficialità, ma mi rendo conto che si tratta di qualcosa che non posso pretendere. So, però, con certezza che nel mio ‘Pinocchio’ c’è tanto amore, apertura e rispetto”.

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