«Non è tempo di muri, ma tempo di ponti»

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«Non è tempo di muri, ma tempo di ponti»

TRIESTE | Questa sera nel castello di San Giusto di Trieste musiche tratte dalle pellicole dei Fratelli Taviani, Roberto Benigni e Federico Fellini. Film in concerto con l’orchestra e il coro della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste, diretti dal Maestro Nicola Piovani.

Lo incontriamo nella pausa di una mattinata di lavoro, ma riuscendo a rubare qualche momento della sua prova d’orchestra che permette di pregustare quella che sarà una grande serata.

Messaggi da cogliere

A Trieste Porta d’Oriente, città di forti simbolismi che ne pervadono la storia, l’arrivo di personaggi importanti lasciano sempre il segno. Quale il messaggio di un Maestro come Nicola Piovani, premio Oscar per le musiche de “La vita è bella”, noto in tutto il mondo per le sue colonne sonore, le composizioni, le sinfonie?

“Messaggi più che darne vorrei coglierne – risponde, seduto al centro della platea deserta – se c’è qualcuno che possa illuminarmi sulla linea da avere in questo momento, ne sarei felice. Quello che sento è che sono tempi in cui le lontananze sono ravvicinate e quindi barriere e confini sono più sfumati. Ha molto meno senso parlare di nazionalità di quanto ne avesse cento o duecento anni fa quando non esistevano l’aeroplano o il telefono o la televisione e le identità, in quel periodo, erano forti. Ora l’identità che mi piacerebbe trovare è quella di un’unità in cui tutto il patrimonio che rappresenta le radici del singolo, venga messo a disposizione degli altri, di altre radici. Non credo che l’identità culturale s’affermi negando le culture altrui, ma proprio confrontandosi. Su questo tema io cito sempre l’incontro storico fra la musica africana e quella delle bande militari nord americane: quando gli eserciti in ritirata lasciavano gli strumenti, clarinetti, sassofoni, bassi, percussioni, questi venivano raccolti da cittadini di origine africana, schiavi o ex schiavi e due mondi musicali di partenza lontanissimi all’improvviso si fondevano facendo scoccare una scintilla che chiamiamo jazz, una lingua totalmente rivoluzionaria che nasce proprio dallo sposalizio di due identità. Per quanto riguarda il presente, permettetemi di ripetere una frase diffusa: non è tempo di muri, ma tempo di ponti. Devo dire che mi convince molto, nella speranza che diventi realmente patrimonio di tutti”.

In questo discorso quale ruolo può avere la musica?

“Enorme, basta guardare le orchestre multietniche, basta osservare l’orchestra di Daniel Barenboim, che mette insieme palestinesi e israeliani ma soprattutto quelle del Mº Riccardo Muti quando fa incontrare giovani giapponesi con giovani italiani. Si scopre che nel suonare, questi musicisti che con la lingua hanno poco da dirsi, e probabilmente usano un inglese di mediazione fatto di un numero limitato di vocaboli, di costruzioni povere ed elementari, con la musica trovano un’intesa. Quando vedo un ragazzo coreano, con un africano e un altro ancora di Ravenna che stanno lì con l’archetto a guardarsi per scendere giù insieme nell’intonazione e nel ritmo, in quel momento capisco che la musica nell’unificare può fare molto di più della parola. Se estendiamo il concetto all’Europa, secondo me, uno degli errori che sono stati fatti, sin dalla fondazione, è di avere dato molto spazio all’aspetto economico e politico legale, ma poca attenzione all’aspetto culturale. Eppure basta poco, (le armi costano molto, ma molto di più) per costruire un’orchestra europea, una compagnia di teatro europea, dei gruppi da camera europei, un circuito di concerti europei. Mi piacerebbe che si facesse di più”.

La musica rappresenta un linguaggio universale che però a scuola non viene considerato in questo modo, non gli viene data la giusta dimensione. Perché?

“Che le devo dire, mi sembra che il nostro Paese stia cavalcando un’orgogliosa vocazione all’analfabetismo, siamo pieni di persone che si vantano di non leggere libri, di non ascoltare musica da camera o sinfonica, di non andare all’opera, di non andare a teatro perché hanno cose più serie da fare. Se per caso vincesse questa frase, ci sarebbe da spararsi tutti quanti”.

Nella sua attività ha avuto modo d’incontrare il cinema ex jugoslavo o croato?

“Non ho mai avuto la fortuna di incontrarli anche se ho molto ammirato quel tipo di cinema. Il cinema è un’altra arte che, essendo legata anche alla lingua e naturalmente alle immagini, può fare moltissimo per avvicinare. Quando vedo narrata una storia che mi traghetta nelle case di popoli geograficamente lontani, ambientata nell’Estremo Oriente o nel profondo Nord, io entro dentro un’espressione di civiltà che fa conoscere usi e costumi e li fa anche trasmettere, li fanno diventare nostri, così come mezzo mondo si è appropriato della ricetta dell’amatriciana, così ci si può appropriare di tradizioni, poesia, teatro, civiltà”.

Oggi l’antitrust affronterà il discorso dei diritti d’autore, di che cosa “le menti creative” si sentono derubate?

“La nostra voce oggi sarà quella del Mº Morricone, che leggerà una lettera per noi tutti. Il diritto d’autore è una conquista della rivoluzione francese. Una conquista di civiltà che rischia di essere minata dalla rivoluzione digitale in cui aumentano i consumi dei contenuti, ma diminuiscono i diritti di chi crea, compone, firma. Chiediamo innanzitutto il rispetto delle leggi. E poi è necessario che l’Unione europea manifesti un interesse legislativo per la ripartizione dei grandi proventi che vengono dallo sfruttamento in Rete che stanno in mano alle multinazionali che lasciano agli autori, cioè a quelli che hanno fabbricato i contenuti che loro sfruttano, le briciole”.
L’arte da difendere, a tutti i livelli, contrastando le lobby, riconoscendo il merito, la competenza. Pensieri da mescolare con le emozioni nel sentire grande musica, come succederà stasera, al Castello di San Giusto o, in caso di pioggia, al Teatro Verdi. Inizio dello spettacolo alle ore 21.

Suite in forma di concerto

Il programma prevede nove suite sinfoniche di musiche nate per il cinema e qui ripresentate in forma di concerto.

“Nel totale rispetto delle partiture originali – conclude il Maestro Piovani –, ho ricomposto e assemblato i brani in modo da renderli più adatti a un’esecuzione in teatro. Quando lavoro per il cinema, in una prima fase compongo le partiture musicalmente in sintonia con la poetica del film. In una seconda fase, queste stesse partiture le scompongo e le ricompongo sul montaggio del film. Perché in una tal sequenza c’è bisogno della sola frase melodica, in un’altra della sola trama armonica, in altra del solo ritmo. In certi casi può servire un intervento brevissimo, icastico, e allora bastano poche battute di quella partitura per rendere il senso emotivo di tutta una scena. In altri momenti invece, c’è bisogno della frase lunga che si faccia sentire nella sua complessità timbrica. Ma poi, nella sala da concerto penso sia opportuno presentare le partiture nella loro interezza originaria, nella veste in cui di solito si ascoltano solo in alcune sequenze e nei titoli di coda. Mi auguro che, a chi conosce già i titoli cinematografici in programma, possa accendersi la memoria emotiva del film, riascoltandone le musiche. E, a chi non li ha mai visti, la musica possa indurre la curiosità e voglia di andare a vederli”.

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