L’INTERVISTA Pamela Villoresi: «Il teatro è la casa di tutti»

Durante il suo incontro con gli attori e il direttore del Dramma Italiano, Giulio Settimo, sono stati accordati i dettagli sullo spettacolo «Kamikaze», l’allestimento che andrà in scena nel 2024

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L’INTERVISTA Pamela Villoresi: «Il teatro è la casa di tutti»
Foto: IVOR HRELJANOVIĆ

Negli ultimi anni, il Dramma Italiano si è aperto alle collaborazioni con artisti e compagnie dall’Italia e ha realizzato delle splendide coproduzioni apprezzate dal pubblico. In questi giorni ha fatto visita a Fiume l’attrice palermitana, nonché direttrice del Teatro Biondo di Palermo, Pamela Villoresi, che ha incontrato gli attori e il direttore del DI, Giulio Settimo, per accordare i dettagli della coproduzione dello spettacolo “Kamikaze (Assocerò la tua faccia a tutte le cose che esplodono/ Povezat ću tvoje lice sa svim stvarima koje eksplodiraju)” con la regia di Marco Lorenzi. Villoresi ha approfittato della sua visita fiumana non solo per concederci questa interessante intervista, ma anche, essendo sia lei che il direttore del Dramma Italiano appassionati di canottaggio, per fare un allenamento nel club di canottaggio “Jadran”, con sede in Delta.

Può raccontarci qualcosa di sé?
“Io sono prevalentemente un’attrice, da 51 anni (ride). Ho alle spalle più di mezzo secolo di teatro e da quattro anni e mezzo sono direttore del Teatro Biondo stabile di Palermo. Diciamo che la mia formazione teatrale è stata molto europea, perché quando ero al Piccolo Teatro di Milano con Giorgio Strehler abbiamo fondato nel 1990, assieme all’allora Ministro della Cultura francese Jack Lang, l’Unione dei Teatri europei. Molto prima dell’Unione commerciale degli Stati europei. Mi ricordo la meraviglia dell’andare in tanti Paesi, dove si parlavano anche lingue diverse, proprio come oggi, ma ci univa un’unica lingua teatrale. Questo naturalmente è sempre rimasto nel mio DNA teatrale. Infatti, a Palermo quest’anno, a parte quella col Dramma Italiano di Fiume, abbiamo altre due coproduzioni internazionali, sia con Irina Brook con ‘Seagull dreams’, uno spettacolo che è in parte in inglese, che uno spettacolo con Aurélien Bory, questo grande regista e coreografo, che avrà nel cast tutti artisti siciliani e farà il giro d’Europa”.

In mezzo secolo di carriera, che cos’è cambiato nel teatro italiano ed europeo?
“Secondo me il teatro oggi come sempre offre qualcosa di eterno e immutabile. Ce ne siamo resi conto bene durante la pandemia da Covid-19: quanto più vengono impiegate delle tecnologie sofisticate per fare qualcosa di irreale col video e con l’immagine, tanto più si ha voglia di un gruppo di umani che si rivolgono ad altri umani dal vivo e dove ogni sera è inimitabile, perché non sarà mai uguale alla sera successiva. Anche noi attori che ripetiamo il testo ogni giorno non lo facciamo mai in maniera identica, ma l’esibizione dipende anche dal pubblico, da come ci sentiamo quel giorno e da altri fattori. Mentre il cinema sta vivendo una grossa crisi, lo spettacolo dal vivo, e lo stiamo vedendo con i numeri, sta vivendo un grandissimo ritorno, almeno in Italia. In particolare a Palermo abbiamo registrato un aumento del 25 per cento degli abbonamenti rispetto all’anno preCovid.
Il teatro ha sempre offerto novità, pensiamo soltanto a Eleonora Duse, che ha cominciato a recitare in modo più interiore, psicologico, quando tutti si attaccavano alle tende. Poi c’è stata la scuola di Strasberg, i testi di Ibsen che hanno cominciato a parlare delle donne, Bergman, Cechov che ha rivoluzionato la sua epoca, come l’hanno rivoluzionata Shakespeare o Goldoni, che dalle maschere passa alla commedia degli umani stringendo l’obiettivo sull’animo umano. Il teatro ha sempre avuto nella storia una costante innovativa e ce l’aveva anche negli anni Settanta, quando ho cominciato, con le cooperative e il teatro sociale. Pensiamo soltanto a ‘Hair’ della compagnia americana The Living Theatre. Io penso che sia bello che il teatro possa offrire l’arte dei grandi classici e un grande pensiero classico, perché si lancia la freccia più in avanti quanto più si tende l’arco all’indietro. Dobbiamo conoscere ciò che ci precede, però poi la nostra freccia supera questi classici, abbiamo un linguaggio diverso, più contemporaneo. Io come attrice sono molto felice quando posso lavorare con linguaggi più contemporanei perché vuol dire che mi tolgono il mestiere di mano e mi costringono a mettermi in gioco. Lo ha fatto anche Irina Brook in ‘Seagull dreams’, cambiando radicalmente approccio. Non abbiamo iniziato col copione, lo abbiamo scritto strada facendo. Brook ci faceva improvvisare per ore e a me non era mai successo, ma ciò mi è molto piaciuto”.

Come ha influito la pandemia sul teatro?
“Diciamo che la pandemia ha evidenziato una pigrizia dei teatranti rispetto alle tecniche contemporanee e sicuramente ci si lamenta un po’ dappertutto che i giovani non si appassionano al teatro, però per appassionarsi al teatro bisogna conoscerlo. I giovani vanno coinvolti, ma ciò deve venir fatto con il loro linguaggio, facendo uso dei mezzi di comunicazione contemporanea come il cellulare o il computer. Su questo siamo stati molto pigri noi in Italia e la pandemia ci ha costretti ad aprirci ai social. Noi abbiamo fatto un grandissimo lavoro, perché abbiamo raccolto gli scritti di 450 studenti dei licei, chiusi in camera, e li abbiamo fatti elaborare dai drammaturghi e li abbiamo fatti interpretare dai nostri allievi. Poi, con il materiale più selezionato abbiamo fatto due testi che abbiamo messo in scena. Il tutto in collaborazione con la Facoltà di Psichiatria dell’Università di Palermo, perché abbiamo affrontato anche il problema degli hikikomori, che sono i ragazzi che non riescono più ad uscire dalle stanze. I sogni e i desideri di questi nostri ragazzi, aspiranti attori, sono stati raccolti da Irina Brook da Londra e sono stati inseriti nello spettacolo ‘Seagull dreams’, ispirato al ‘Gabbiano’ di Cechov. È questa la ragione per la quale abbiamo ottenuto il Segal Award di New York”.

Come siete riusciti ad aumentare la vendita degli abbonamenti?
“Grazie agli studenti e al lavoro che abbiamo fatto con i giovani. In generale, però, anche il pubblico regolare, salvo qualche anziano che fa più fatica a tornare, dopo la pandemia è tornato a teatro. Prima del Covid avevamo sui 400 studenti, mentre oggi ne abbiamo 3.400 ed è questo il numero che fa schizzare la percentuale. Reputo che i giovani debbano capire che il teatro è anche casa loro, ma glielo dobbiamo dimostrare con i fatti. Spetta a noi trovare i linguaggi e i modi per far sentire il teatro la casa di tutti”.

Come nasce la collaborazione con il DI?
“La collaborazione con il Dramma Italiano nasce da un’iniziativa di Giulio Settimo, al quale devo la mia gratitudine, che ci ha contattato. Abbiamo letto il testo di Emanuele Aldrovandi che ci era stato proposto e abbiamo pensato che fosse una buona idea, ma non è stato facile capire come portarlo in scena perché non è che le leggi sul teatro (soprattutto quello italiano) ci aiutino tanto nelle coproduzioni internazionali. Anzi, ci creano dei problemi perché non ci sono tanti fondi per le collaborazioni internazionali, che spesso hanno costi molto alti. Il nostro spettacolo, ad esempio, ce l’hanno chiesto anche in altre città, però spostarsi con i camion, le navi, gli aerei fa alzare i costi in maniera significativa e gli incassi dello spettacolo non riescono ovviamente a coprirli. In questo senso noi non abbiamo grandi aiuti. Abbiamo dovuto trovare, dunque, un po’ una quadra di questa nostra coproduzione e ce l’abbiamo fatta”.

Cosa ci possiamo aspettare dallo spettacolo “Kamikaze”?
“Ritengo che il testo sia estremamente attuale e interessante perché quando c’è qualcosa che ci sconvolge nella società bisogna cercare di capire cos’è e perché. Credo che questo sia il primo passo. In questo testo capiamo bene già dal titolo di che cosa parla. Il regista, Marco Lorenzi, è uno dei registi emergenti in questo momento in Italia”.

Quando è in programma?
“A Fiume dal 16 di marzo e a Palermo a inizio aprile 2024”.

Di che tipo di kamikaze parla?
“Di quelli che ci immaginiamo quando sentiamo questo termine. Comincia con l’episodio del Bataclan, ma tratta anche il tema dei campi nei quali si formano i ragazzi che poi diventano degli estremisti. Non solo è un tema di attualità, ma è un tema che giustamente ci sconvolge e quindi la cultura ha anche il dovere di riflettere sulle cose, sui temi della ‘polis’, come ai tempi della nascita del teatro. È questa la funzione originaria del teatro, che era uno strumento per riflettere insieme sui temi della polis, della società civile. Abbiamo pensato che questo testo fosse molto interessante perché sviluppa una serie di domande non indifferenti e ti fa entrare dentro un processo e un pensiero”.

Si potrebbe tracciare un parallelo tra Fiume e Palermo?
“Sono entrambe dei centri multiculturali e da noi non ci si passa. Da Palermo non ci si passa, ci si arriva. Ciò è uno svantaggio per quanto riguarda le tournée teatrali perché una compagnia che va da Milano a Napoli, ad esempio, può sempre fare tappa a Firenze e inserire delle date senza complicazioni, ma sia a Fiume che a Palermo ci devi venire con l’intenzione, non per caso. Questo non solo complica gli spostamenti, ma fa aumentare i costi”.

Come si svolgeranno le prove per “Kamikaze”?
“Degli attori dalla Sicilia verranno a Fiume per una prima settimana di prove per conoscerci e per scegliere l’ensemble, dal momento che alcuni attori del Dramma Croato parteciperanno al progetto. Quindi alla realizzazione della messinscena prenderanno parte non solo gli attori siciliani, ma anche alcuni attori da Caserta. A fine gennaio verranno nuovamente tutti a Fiume e tutta la produzione, fino alla prima, si terrà a Fiume. Dopo la prima a Fiume, il 16 marzo, è in programma una tournée in Istria e in Slovenia, per un totale di nove repliche, mentre le repliche a Palermo saranno dieci”.

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