L’impatto dell’urbanistica nel cambiamento dei confini

Si è svolto ieri il convegno internazionale «Nelle città della Venezia Giulia - Piani, progetti, fatti urbani (1924-1954)», organizzato dall'IRCI di Trieste

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L’impatto dell’urbanistica nel cambiamento dei confini

È stato un convegno ad alta specializzazione quello organizzato dall’IRCI di Trieste in collaborazione con Comuni e associazioni del territorio regionale che hanno avuto insediamenti di genti giuliane dopo l’esodo. Il titolo “Nelle città della Venezia Giulia – Piani, progetti, fatti urbani (1924-1954)” del convegno internazionale richiama, come ha avuto modo di introdurre Franco Degrassi, presidente dell’IRCI, ha proposto lo studio del cambiamento dei confini attraverso le modificazioni urbane, delle architetture e dei monumenti. A Degrassi hanno fatto seguito indirizzi di saluto delle autorità, tra questi il sindaco di Trieste, Roberto Dipiazza, quello di Montereale Valcellina, Igor Alzetta, e l’assessore regionale, Tiziana Gibelli.

Le terre di confine

Ad introdurre i lavori, iniziati con la sessione dedicata a “Trasformazioni urbane e nuove architetture”, è stato Ferruccio Canali che, facendo riferimento alla costituzione delle Società geografiche alla fine dell’800, ha ricordato il loro avvio alla disciplina urbanistica in tutti gli Stati europei. Queste società rispondevano alle esigenze della politica a livello locale e nazionale. Per le terre di confine si svilupparono anche aspetti internazionali. I modelli del nord-est ebbero caratterizzazioni molto diverse soprattutto in Istria e a Zara. Per costringere infatti in schemi rigidi una realtà che aveva un’identità fluida furono chiamati architetti, geografi e ingegneri che provenivano da altri contesti: operatori di scuola romana, tra questi Piacentini, Giovannoni, Michelucci e Lenzi, per citarne alcuni. L’urbanistica di un territorio pensato, pianificato e realizzato è l’aspetto che maggiormente incide sulla vita dei cittadini, i monumenti sono solo emblematici.

Sullo schermo Ferruccio Canali

La pianificazione delle città

Gli austriaci ritennero, dopo il patto della Triplice alleanza, che i confini dovessero essere di natura politica, perché non funzionava lo studio delle acque nei territori carsici. Con l’avvento dell’Italia dopo il 1918, la regione storica romana diventò regione geografica e la Venezia Giulia si configurò in province. Si rese necessaria la pianificazione delle città. Queste dovevano individuare una nuova gerarchia: i porti di Venezia, Trieste e Fiume, che avevano destinazioni diverse, entrarono in competizione. Zara era l’unica città italiana della Dalmazia, con problemi territoriali, isolata e dipendente dal contado jugoslavo. Dalla piccola Zara si mirava a passare, attraverso un nuovo piano regolatore, alla grande Zara. Il fascismo chiederà poi che le città siano corporative, cioè con una loro funzione. Venezia sarà strutturale alle zone industriali di Marghera e Padova, Pola manterrà la funzione militare che aveva sotto l’Austria, Monfalcone sarà dedita alla costruzione di navi civili e militari, mentre Trieste e Fiume saranno porti specializzati in merci diverse. Nasceva allora il termine “allotri”. Con allotri si definisce una popolazione che vive da secoli in un luogo, ma che si vuole considerare estranea. Fu un fenomeno diffuso in tutti i Paesi europei che gli allotri venissero considerati cittadini stranieri a casa propria. Nell’area orientale il tema dell’urbanistica si concentrò sulla loro assimilazione o espulsione.

Competizione tra Fiume e Sušak

Julija Lozzi Barković nella sua relazione, dedicata alle trasformazioni urbane tra Fiume e Sušak nel periodo interbellico, ha ricordato, come già nel precedente convegno dell’IRCI, la competizione urbanistica tra le due realtà, attraverso le residenze abitative, le strutture culturali, istituzionali, sanitarie ed economiche, richiamando i movimenti architettonici dell’epoca: il classico metafisico, il razionalista, legato al purismo e alle proporzioni matematiche, e il littorio che creava un originale compromesso tra i due precedenti.

Jasna Rotim Malvić, non presente all’incontro, ha inviato comunque un interessante messaggio dedicato ai tre professionisti che meglio interpretarono l’architettura razionalista a Fiume: Enea Perugini, Giulio Duimich, Yvone Clerici. Mentre il primo conobbe una carriera politica affianco a quella di architetto, gli altri due furono impegnati esclusivamente negli uffici pubblici del comune e furono intellettualmente indipendenti nelle loro progettazioni.

L’opera di Umberto Nordio

Diana Barillari ha sottolineato nel suo intervento la particolarità dell’opera di Umberto Nordio, in particolare per i grattacieli che l’architetto realizzò a Trieste, rivestiti di mattoni rossi, influenza diretta dell’architettura di Amburgo. Il grattacielo di Fiume fu struttura di avanzatissima tecnologia e design, capolavoro per l’abilità di Nordio di spingersi oltre le proprie tradizioni.

Paolo Tomasella ha concluso i lavori della mattinata parlando di Alfeo Pauletta, Enrico Trolis e Ottomaro Heiningher, i più importanti architetti italiani di Pola nel periodo tra le due guerre. Tutti e tre furono profondamente influenzati dal futurismo di Filippo Tommaso Marinetti, che visitò la città nel 1930. Pauletta e Trolis lasceranno Pola nel ‘46, mentre Heiningher morirà sul fronte russo.

Il grattacielo di Fiume

Rapporto tra Mussolini e Chiesa

Il pomeriggio è stato dedicato ai luoghi della fede e della memoria. Marko Medved ha relazionato sul fenomeno della costruzione delle chiese nel ventennio fascista a Fiume, ricordando che le nuove edificazioni venivano finanziate dal governo per consolidare il rapporto tra Mussolini e la Chiesa. Nella città ci furono tensioni tra la gerarchia cattolica italiana e il clero misto. La dedicazione delle chiese era spesso lontana dalla devozione del popolo come nel caso del sen. Borletti, finanziatore dell’impresa fiumana, che, alla morte del padre Romualdo, vide la chiesa di Cosala dedicata a San Romualdo.

La chiesa di San Romualdo a Fiume

Sempre su Cosala e il suo cimitero, Daina Glavočić ha ricordato come avesse un campo per i defunti ebrei, per i protestanti e per gli ortodossi. Ha ricordato i tanti architetti che vi progettarono e realizzarono monumenti funebri, tra questi Filiberto Bazarig, Giacomo Zammattio, fino a Bruno Angheben che fece il progetto del concomitante tempio votivo. Angheben, come ha sottolineato Ivan Jeličić, realizzò anche il monumento a Bruno Mondolfo, ucciso nei fatti di Porto Baross. Mondolfo, di famiglia ebraica, era vicesegretario e tesoriere del gruppo nazionalista, venne sepolto nel cimitero ebraico e definito martire fascista. Essendo ebreo non sarà traslato nell’ossario di Cosala, ma qui vi si pose un monumento a lui dedicato che reca la scritta, “Si morì non per la fede cristiana, ma per la fede italiana”. Le leggi razziali del 1938 non cancelleranno la sua memoria.

Il cimitero ebraico di Cosala

Parchi della rimembranza

La conclusione del convegno è stata dedicata da Monica Priante a una delle prassi consuete nella memorializzazione dei caduti italiani nella Prima guerra mondiale, che prevedeva la costruzione dei parchi della rimembranza con gli alberi a rappresentare la comunione virtuale tra vivi e defunti, ai piedi dei quali una lapide reca il nome di un caduto. A Pola questo non avvenne e fu sostituito con la scritta “ricordare i morti per la patria” sul Duomo, ricostruito tra il 1925-27 dopo l’incendio che l’aveva distrutto. Luka Skansi ha parlato dei monumenti e memoriali del dopoguerra in Istria e Quarnero e della reinvenzione della loro tipologia, attraverso la percezione che l’architetto ha creato tra l’osservatore e l’opera.

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