Joško Ćaleta. «Il canto delle klape ha ammaliato il mondo»

L’etnomusicologo Joško Ćaleta spiega le particolarità dell’espressione canora originaria della Dalmazia, che oggi viene praticata in tutta la Croazia e anche fuori dai suoi confini

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Joško Ćaleta. «Il canto delle klape ha ammaliato il mondo»
Foto: HELENA LABUS BAČIĆ

Anche se piccola per estensione, la Croazia vanta una ricchissima e variegata cultura popolare. Nell’arco di pochi chilometri si riscontrano espressioni di musica e tradizioni completamente diverse tra di loro, di cui alcune sono diventate talmente popolari da fare il loro ingresso anche nella musica leggera. Una di queste è senza dubbio il canto delle klape, tipico della Dalmazia, che con l’indipendenza della Croazia è diventato un autentico fenomeno, tanto da venire praticato anche nel resto del Paese e addirittura fuori dai suoi confini. Le klape, ossia compagini che praticano il canto “a cappella” a più voci, quindi senza l’accompagnamento strumentale, si sono diffuse fuori dai confini della Dalmazia in maniera prepotente negli ultimi tre decenni, dando vita a formazioni la cui qualità è stata riconosciuta pure nell’ambito del Festival delle klape dalmate di Omiš, la manifestazione più prestigiosa per quanto riguarda questo tipo di canto e una specie di conferma della qualità delle compagini che vi si esibiscono.

Un progetto di diffusione
Al fine di diffondere questa particolare espressione canora e di dare un contributo al suo apprendimento agli interessati in tutta l’Europa e anche nel mondo, il 15 febbraio 2022 è stato avviato il progetto “Scuola di canto tradizionale – cantiamo come ci hanno insegnato” per adulti nell’ambito del programma Erasmus+, portato avanti dall’associazione “Kanat” di Castua, della quale fanno parte le klape maschile e femminile Kastav. È un fatto curioso che a guidare un progetto legato al canto delle klape siano due compagini che operano fuori dai confini della Dalmazia, ma questa è soltanto un’altra conferma di quanto questa espressione canora sia diffusa e amata.
Come più volte rilevato su queste pagine, nella realizzazione del progetto partecipano cinque associazioni e organizzazioni: nel ruolo di coordinatore, ovvero direttore del progetto, si trova, come detto più sopra, l’associazione Kanat di Castua, mentre al progetto partecipano anche il Kulturverein Schandorf – Società culturale Čemba con la klapa maschile Dičaki (Austria), l’Undi Horvát Egyesület con la klapa femminile Biseri (Ungheria), il Chorvátsky kultúrny zväz na Slovensku – L’Unione culturale croata in Slovacchia con la klapa maschile Ravnica e la klapa femminile Rožica (Slovacchia) e la società Klapa Mali grad Kamnik con la klapa Mali grad (Slovenia).
Finora si sono svolte diverse riunioni tra i partner del progetto al fine di realizzare un curricolo e un manuale che tratta il canto delle klape, mentre nei giorni scorsi a Kamnik, in Slovenia, si sono svolti laboratori nell’ambito dei quali le compagini coinvolte hanno imparato a cantare insieme alcuni brani dalmati e li hanno registrati.
I laboratori sono stati guidati da uno dei maggiori esperti del canto delle klape, l’etnomusicologo Joško Ćaleta, illustre studioso, direttore artistico e collaboratore musicale di numerose klape ed ensemble croati, nonché membro di varie giurie e commissioni nell’ambito di diversi Festival basati sulla musica tradizionale.
Joško Ćaleta è nato a Traù nel 1964, mentre nel 1988 si è diplomato in cultura musicale all’Accademia di Belle arti dell’Università di Spalato. Nel 1994 ha conseguito il master in etnomusicologia all’University of British Columbia di Vancouver nel Canada e nel 2012 il dottorato all’Accademia di Musica di Zagabria nella medesima disciplina. Dal 1997 è assistente e in seguito collaboratore esperto all’Istituto di etnologia e folklore di Zagabria.
In una breve intervista, Joško Ćaleta ci ha parlato delle particolarità del canto delle klape nell’intento di svelarci il suo fascino e il motivo per il quale è diventato così popolare anche fuori dalla sua terra d’origine.

Il canto delle klape fa parte del suo bagaglio culturale, in quanto è cresciuto nel suo ambiente d’origine e ha contribuito e continua a contribuire alla sua diffusione. Come ci si sente a vedere tanta passione per questa espressione canora in diversi Paesi del mondo, anche oltreoceano?
“È una sensazione unica, anche se ne sono diventato pienamente consapevole soltanto dopo aver iniziato a lavorare in seno all’Istituto di etnologia e folklore di Zagabria come ricercatore, occupandomi anche di altre espressioni di cultura tradizionale presenti nel territorio della Croazia. Mi sono reso conto di avere sia un vantaggio, che è una conoscenza più approfondita di questa tradizione, che un difetto, in quanto facendone parte non percepisco alcune sue caratteristiche come qualcosa di speciale. Uno dei vantaggi è pure che, quando tramando questa tradizione lavorando con le varie compagini, so esattamente in che modo presentarla in modo da renderla comprensibile. Una delle mie prime esperienze nell’ambito dei laboratori educativi risalgono agli anni in cui studiavo alle Università nel Canada e negli Stati Uniti, dove lavoravo con gli americani che erano appassionati di questo tipo di canto. Questa è una conferma che qui non è importante soltanto la musica, bensì un contesto più ampio in cui l’aspetto dello stare in compagnia e socializzare è fondamentale. Le persone che fanno parte di una klapa devono nutrire un legame che le unirà, se non altro, durante il tempo in cui cantano insieme”.

Le origini
“È proprio così che il canto delle klape è iniziato – prosegue Ćaleta -, in quanto le prime formazioni erano compagnie di amici che passavano il tempo cantando. Le prime fonti relative alle klape risalgono al XIX secolo e riguardano i cori cittadini che cantavano a tre o quattro voci. Gran parte di questi canti vengono eseguiti anche oggi. Va sottolineato che questa è una tradizione urbana, in quanto quando si parla di musica tradizionale pensiamo automaticamente a un ambiente rurale. Il canto delle klape è nato nelle cittadine dalmate in cui vivevano più strati sociali, dalla nobiltà, al ceto dei commercianti, ai contadini. Tutti, però, si trovavano contemporaneamente in chiesa, ed è proprio da qui che si diffonde questo particolare modo di cantare.
Nella metà del XIX secolo in Europa e anche dalle nostre parti si diffonde un grande interesse per il canto corale e di conseguenza vengono fondate numerose Società corali e bande d’ottoni. L’influenza dei cori si nota anche nel canto delle klape, in quanto vi viene introdotta la voce del baritono, oltre al tenore e al basso che già componevano la compagine. A qualcuno che suonava uno strumento in una banda d’ottoni era probabilmente rimasta impressa una componente dell’omofonia (una voce, spesso la più alta, canta una melodia e le voci di accompagnamento articolano un’armonia sottostante, nda) e ha cercato di ‘riempire’ la lacuna nell’armonia aggiungendovi la parte del baritono.
La base del canto delle klape è l’intervallo di terza, mentre il modo di cantare è caratterizzato da una voce (prevalentemente il primo tenore, o, nelle klape femminili, formatesi appena negli ultimi decenni del XX secolo, il primo soprano, nda) che inizia a cantare, mentre le altre voci si aggiungono a metà del verso. La capacità di armonizzare ed equilibrare le voci è una competenza in parte ereditaria, ma si può conseguire anche praticando il canto. Le prime klape non si esercitavano nel canto, esse socializzavano e cantavano. Oggi, invece, le klape si esercitano per potersi esibire in pubblico. La funzione di direttore artistico di una klapa è nata con la fondazione del Festival di Omiš nel 1966. Il direttore artistico lavora con la klapa e scrive nuovi brani e arrangiamenti di canti tradizionali”.

Qual è il segreto del fascino di questa espressione canora, che si è diffusa in maniera esponenziale negli anni Novanta del secolo scorso anche fuori dai confini della Croazia?
“Prima degli anni Novanta, le klape si potevano trovare fuori dalla Dalmazia, in primo luogo a Zagabria, soltanto sporadicamente. Proprio nella capitale inizia un’attività organizzata di queste compagini, in quanto con la produzione di dischi in vinile nel secondo dopoguerra diventano molto popolari le canzoni dalmate, ovvero un repertorio che contiene il caratteristico intervallo di terza. Questa tradizione veniva in questo modo diffusa e accettata da un vasto pubblico. Questo è appunto uno dei vantaggi del canto delle klape: esso non è atonale e arcaico, bensì moderno e in linea con i tempi. L’amore è il tema principale di questi canti, mentre a partire dagli anni Sessanta vengono spesso utilizzati testi di scrittori croati per comporre nuovi brani e questi occasionalmente trattano anche altri temi”.

Nell’ambito del progetto Erasmus+, lei ricopre il ruolo di collaboratore esperto. Com’è stato lavorare con le varie compagini, di cui nessuna proviene dalla Dalmazia?
“Non sapendo quale sarà il profilo delle compagini coinvolte, avevo preparato un repertorio un po’ più impegnativo, non pensato per principianti. Le klape maschili hanno avuto bisogno di un po’ più di tempo per imparare questi brani, ma hanno pure appreso tre canti con il metodo ‘na uvo’ (letteralmente ‘all’orecchio’, nda), che è il modo tradizionale di apprendere ascoltando e ripetendo la propria parte, senza l’aiuto di una partitura. In questo modo ho voluto rimarcare l’importanza dell’ascolto e del rispetto dei cantori che sono coinvolti nel canto. È assolutamente indispensabile ascoltarsi perché soltanto così si può trovare un equilibrio tra le voci.
Ho avuto la fortuna di crescere in questa tradizione e di cantare fin da piccolo, per cui per me si è trattato di un processo naturale, ma per molte persone questo non è il caso. Per questo motivo, questo progetto è un’occasione perfetta di comprendere come si cantava in passato e come un brano può venire eseguito. Oggigiorno, il canto delle klape è un termine molto vasto, direi anzi che si tratti piuttosto di un movimento di ensemble vocali che eseguono diversi tipi di musica. Nella maggior parte di questa musica domina l’intervallo di terza, ma differiscono nel ritmo dal canto tradizionale, nel quale troviamo il tempo ‘rubato’, un’interpretazione più libera, caratteristica per le klape tradizionali”.

Qual è il suo ambito di ricerca in etnomusicologia?
“Mi occupo della tradizione musicale dell’area etnografica dinarica, che non comprende soltanto il canto delle klape, bensì anche lo ‘ojkanje’, il ‘kanat’ e altre forme di espressione canora. Non mi interessa soltanto la musica profana, ma anche quella sacra. Ho pubblicato diversi studi legati alla musica religiosa popolare, tra cui spicca il canto glagolitico, che è ancora possibile trovare nelle piccole comunità locali. Ho scritto pure libri sulle tradizioni carnascialesche. Ho svolto ricerche anche in Istria. Occupandomi di musicologia applicata, come ricercatore giungo in una comunità e cerco di sensibilizzarla sul prezioso patrimonio che possiede. In questo contesto ho realizzato diversi concerti di Quaresima dell’Istria a Zagabria, avendo collaborato con numerosi ensemble folkloristici istriani e diversi Festival della penisola. Ho svolto ricerche anche sulle isole di Arbe e Veglia. Anche se numerosi contenuti di queste tradizioni locali sono andati persi in seguito al drastico cambiamento dello stile di vita, il compito dei musicologi è quello di riconoscere, salvare e diffondere ciò che ancora rimane. Purtroppo, molte persone non sono consapevoli della ricchezza che possiedono e spesso addirittura se ne vergognano. Soltanto quando spiego loro che possiedono qualcosa di unico che non esiste in nessuna altra parte del mondo, questi si sorprendono e ne diventano orgogliosi. Ci sarà sempre qualcuno che riconoscerà il valore di questo patrimonio e che si impegnerà a promuoverlo e a strapparlo dall’oblio”.

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