Jan Bolić, lo scrittore dal dito d’oro

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Jan Bolić, lo scrittore dal dito d’oro

Creare delle frasi armoniche, sensate e strutturate in modo da destare piacere e interesse nel lettore non è da tutti. I computer ci hanno permesso di rivedere i testi, riscriverli, cancellare gli errori e modificare le nostre idee in maniera veloce ed immediata senza dover per forza costruire interi periodi mentalmente, prima di metterli “su carta”. Nonostante la facilità della scrittura o almeno della trasposizione delle parole dalla nostra mente, ad un qualsiasi media (carta, computer, cellulari, sms o altro), diventare uno scrittore e veder pubblicate le proprie opere è un traguardo importantissimo nella vita di un artista della “penna”.

Jan Bolić, scrittore fiumano, alle prime armi, è riuscito a conquistare il pubblico con due raccolte di poesie e il romanzo “Težina stvarnosti“ (Il peso della realtà).
Ad avvicinarlo al pubblico, oltre all’avvincente mistero di un killer particolarmente atroce, pure il fatto che Jan soffre di una patologia neuromuscolare caratterizzata dalla progressiva morte dei motoneuroni, le cellule nervose del midollo spinale che impartiscono ai muscoli il comando di movimento. Si tratta della SMA o atrofia muscolare spinale, della quale si è parlato tanto in relazione alla decisione del Ministero della Sanità di non sovvenzionare più il farmaco salvavita Spinraza per i maggiorenni o per i bimbi attaccati ai respiratori.
Jan Bolić ha deciso di affrontare la vita a testa alta e pur essendo costretto in una sedia a rotelle e pur avendo difficoltà a parlare e muovere il suo corpo, si è dedicato anima e corpo alla letteratura, scrivendo le sue poesie e il romanzo autonomamente, usando un solo dito.
Il suo primo libro, la raccolta di poesie “Trenuci” (Attimi) è uscito nel 2016, seguito dalla raccolta di poesie e racconti “Može biti lijepo“ (Può essere bello). Nel suo romanzo giallo “Težina stvarnosti“, che potrebbe, volendo, diventare il primo tassello di un grande mosaico, seguiamo l’investigatore John Monroe, una sorta di Montalbano americano, che a dispetto delle prove e delle pressioni dei giornalisti, segue una pista dettata dal suo sesto senso e che lo porterà a identificare l’assassino. Il romanzo tiene in sospeso il lettore fino alla fine, non solo per quanto riguarda il nome dell’assassino di un rinomato medico di un tranquillo quartiere di Princeton, ma anche per i motivi che possono averlo spinto a un omicidio così atroce (non vi sveliamo i dettagli). Credo che per molti lettori, però, il fascino della scoperta stia pure nella consapevolezza che un romanzo così complesso, ben strutturato e con così numerosi personaggi, sia stato redatto con infinita pazienza dallo scrittore, che per ore e ore si è concentrato sulla tastiera e ha premuto lettera per lettera alcune centinaia di pagine con un solo dito. Jan Bolić ci ha concesso un’intervista e ci ha svelato come nascono le sue opere, dove trova le idee e cosa tiene in serbo per il futuro.
Purtroppo non è possibile parlare delle tue opere senza soffermarsi sulla malattia dalla quale sei affetto sin dalla nascita. È sicuramente un fattore limitante, ma pensi che in un certo senso ti abbia spronato a dare di più e a sfruttare al meglio il tempo a disposizione?
“Se non fosse per questa malattia sarei sicuramente una persona molto diversa, con una visione completamente differente della realtà. Dubito che a 18 anni mi sarei dedicato alla poesia piuttosto che giocare a calcetto o fumare di nascosto. La SMA mi ha permesso, o meglio dire costretto, a rivalutare il mio posto nel mondo. La scrittura è diventata un bisogni primario che forse non avrei se fossi sano. Quando scrivo mi sento meglio anche fisicamente e per questo motivo ho il terrore di perdere la motilità nella mano e non poterlo più fare, ma per il momento cerco di non pensarci e tirare avanti. A causa della SMA non sono mai riuscito a camminare e dipendo da sempre dall’aiuto degli altri. Qualche anno fa stavo meglio, ma col passare del tempo la situazione sta peggiorando e sinceramente preferisco non pensare al futuro perché per me tutti i cambiamenti possono solo portare dei peggioramenti delle mie condizioni. Il Ministero della salute croato, con a capo il ministro Kujundžić, mi ha negato il farmaco Spinraza che forse avrebbe arrestato la malattia e forse mi avrebbe permesso di muovere più di un solo dito, che per me sarebbe già un passo da gigante. A causa del regolamento e della mia età, però, mi è stata negata questa ancora di salvezza e un giorno potrei svegliarmi e scoprire di aver perso la motilità anche in questo ultimo dito che sto usando per scrivere. Pensando agli ultimi anni, però, sono contento di aver realizzato il mio sogno di diventare un vero scrittore e vedere pubblicate le mie opere. È sicuramente un traguardo che molte persone affette da SMA non possono vantare di aver raggiunto.

Quando hai iniziato a occuparti seriamente di scrittura e deciso di voler pubblicare le tue opere?

“Credo che le mie prime poesie le abbia scritte quando avevo 15 anni. All’inizio ho scelto la lirica perché mi sembrava più semplice della prosa, ma ben presto mi sono accorto che non è facile scrivere una poesia che io reputi degna di venire condivisa con gli altri. Nonostante la difficoltà non mi sono scoraggiato e ho continuato a fare pratica nel genere. Mettevo spesso su carta i miei pensieri e le mie emozioni riguardo a ciò che secondo me andrebbe cambiato o che mi destava rabbia. Dopo la pubblicazione della prima raccolta mi sono lanciato a capofitto pure nella prosa e ho iniziato a scrivere i primi racconti brevi, all’inizio legati alla mia quotidianità e successivamente anche racconti fantastici. Il passaggio è stato abbastanza brusco e ammetto che la decisione di scrivere un romanzo sia stata forse un po’ avventata all’inizio, ma sono riuscito comunque a ottenere un buon risultato.

Dove trovi l’ispirazione per i personaggi?

“Tutti i personaggi sono frutto della mia immaginazione ma hanno delle caratteristiche delle persone che mi circondano. Come per esempio le guardie giurate imbranate dei centri commerciali, oppure gli impiegati agli sportelli, che non sono sul posto di lavoro, ma ridacchiano nel retro e quando vedono che c’è qualcuno che sta aspettando guardano l’orologio e sbuffano. Non credete che sono situazioni sin troppo comuni? E se li cercate a pochi minuti dalla fine dell’orario di lavoro o nel periodo di pausa è ancora peggio.

Hai dedicato il tuo primo romanzo a tua madre, ma nel libro i personaggi sono particolarmente legati alla famiglia. Che cosa rappresenta per te la tua famiglia?

“Diciamo che questo aspetto non è legato strettamente a me, bensì ho usato l’elemento familiare per dare corposità ai personaggi, farne dei membri di una comunità legati strettamente ad altre persone, come nella vita reale. La famiglia per me è essenziale e per me arriva al primo posto, prima della scrittura. Sono infinitamente grato a tutti non soltanto per l’impegno dimostrato nella cura quotidiana, ma anche per il sostegno morale in tutto quello che faccio”.

Come funziona per te il processo di creazione di un romanzo? Quanto tempo hai impiegato a scrivere “Il peso della realtà”?

”Non ci sono delle regole prefissate e ognuno scrive come meglio crede. Io ho trascorso molto tempo a pensare e costruire mentalmente il racconto. Nella mia mente ho plasmato i personaggi, le scene e la dinamica tra gli stessi, prima di iniziare a scrivere. Appena dopo aver costruito una solida base, ho iniziato ad aggiungere i mattoncini della storia. Prima di entrare nei dettagli, però, ho fatto uno scheletro della vicenda sotto forma di bozze, per avere un’idea della direzione in cui volevo andare. Quando ho iniziato a esporre la vicenda ho iniziato ad avere altre idee, che mi hanno portato ad aggiungere delle scene e cancellarne della altre. Diciamo che il mio primo romanzo l’ho scritto in un anno, di cui i primi sette mesi erano di sola scrittura e il resto del tempo l’ho trascorso a rileggere e correggere. Cerco di scrivere quotidianamente perché mi aiuta a seguire il racconto e a non dimenticare i dettagli. Se faccio delle pause rischio di avere un blocco creativo. Se, invece, mi tengo attivo, succede che mi sopraggiungano delle idee geniali anche mentre prendo un caffè, esco all’aria aperta o faccio compere. L’ispirazione la trovo pure nei libri, di cui sono un assiduo lettore. A volte capita di dover riscrivere un intero capitolo che reputo sgraziato o mal riuscito, ma anche questo fa parte del mestiere dello scrittore e non ci vedo niente di male”.

Nel tuo romanzo i giornalisti svolgono in parte il ruolo di antagonisti. Sono immorali e intralciano le indagini. A che cosa è dovuta quest’ostilità?

“Non ho assolutamente niente contro la professione dei giornalisti. Anzi, spero che un giorno avrò la possibilità di collaborare con qualche testata. Il loro ruolo nel romanzo è fittizio, ma è comunque legato ad alcuni comportamenti presenti nel giornalismo moderno d’assalto. Esistono giornalisti freddi, poco empatici o arroganti. Personalmente ho avuto la fortuna di non incontrarli mai, però hanno fatto da base al personaggio di Linda nel romanzo, che di cognome fa Stone (in inglese sasso, pietra). Lei è fredda come una pietra e in un certo senso si è meritata l’attacco subito, in seguito al quale ha avuto la possibilità di redimersi. Se abbiamo la giornalista “cattiva”, guardando meglio troverete pure quella “buona”.

Quali sono i tuoi idoli?

“Adoro Jo Nesbo e i suoi romanzi. Posso dire che lui sia il mio idolo, anche perché da quanto ho potuto vedere, si tratta di una persona con i piedi per terra, nonostante abbia venduto 30 milioni di libri. Nutro sincera ammirazione anche per gli autori croati, ma preferisco non fare nomi”.

Hai annunciato un nuovo romanzo. Puoi darci in anteprima qualche assaggio o dirci almeno di che cosa parlerà?

“Sto scrivendo la continuazione de “Il peso della realtà” incentrato sul detective John Monroe. La novità è che la vicenda non si svolgerà a Princeton o New York, bensì a Fiume! Il Ministero degli Interni avrà per le mani un caso intricato legato a corruzione, prostituzione e droga al centro del quale c’è una donna violentata ed uccisa. I nuovi colleghi si ribelleranno a Monroe e lui non potrà contare sul loro sostegno. Riuscirà a ripulire la città e a risolvere il crimine? Sta a voi scoprirlo!”.

Di cosa ti occupi nel tempo libero quando non scrivi? Incontri spesso i tuoi fan? Che effetto fa venire riconosciuto?

“Nel tempo libero alterno la scrittura e la lettura. Adoro i libri e continuo ad acquistarne dei nuovi. Ho la casa ingombra di romanzi. Mi piace trascorrere del tempo pure con mia madre e la mia famiglia, uscire con loro per un caffè o una passeggiata. Durante l’inverno, quando fuori fa freddo, optiamo per i centri commerciali, anche se preferiamo l’estate e le uscite all’aperto. Succede spesso che qualcuno mi rivolga la parola oppure che mi osservi cercando di capire se sono io o meno. Una volta appurato che si tratta del sottoscritto, si avvicinano e mi dicono qualche bella parola di sostegno. Sul mio profilo Facebook ricevo ogni giorno dei messaggi di persone che mi spronano a continuare così o mi dicono di considerarmi un idolo e di ammirarmi per la mia forza di volontà o di essere un’ispirazione per loro. Sono sempre messaggi bellissimi e positivi e mi rendono estremamente felice, soprattutto quando mi scrivono di aver iniziato a scrivere loro stessi, dopo aver letto le mie opere. Questo per me rappresenta una grande soddisfazione ed è il motivo principale della mia scrittura. Sono molto grato a tutti quelli che mi seguono e che sono al mio fianco, anche solo virtualmente, nei momenti belli e in quelli brutti”.

Hai un sogno nel cassetto? Un piano particolare da realizzare?

“Un traguardo importante da raggiungere per ora è terminare il mio secondo romanzo entro l’estate e vederlo pubblicato a tempo debito, spero entro febbraio o marzo dell’anno prossimo. Un altro mio sogno nel cassetto è vedere approvato il farmaco Spinraza per tutte le persone affette da questa malattia, perché noi non abbiamo più tempo da perdere. Un desiderio per il futuro? Mi piacerebbe poter vivere di scrittura ed essere indipendente, almeno economicamente, dagli altri. È da un po’ di tempo che ci sto pensando e in questo momento lo considero un traguardo importante verso cui spostarmi”.

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