Ivan Rendić e la bellezza della scultura funeraria

Al Museo civico di Fiume ha avuto luogo una conferenza dedicata allo scultore dalmata e alla sua produzione presente lungo tutta la costa orientale dell’Adriatico

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Ivan Rendić e la bellezza della scultura funeraria
Una scultura di Ivan Rendić esposta al Museo civico. Foto: IVOR HRELJANOVIĆ

Al Museo civico (Cubetto) di Fiume, nell’ambito della serata dedicata allo scultore Ivan Rendić (Imotski, 1849 – Spalato, 1932), si è tenuta un’interessante conferenza della storica dell’arte Daina Glavočić. Il tema della lezione erano tre tipi di sculture funerarie – “Vestale”, “Fede” e “Meditazione” – che Rendić realizzò e quindi riprodusse per diversi mausolei disseminati lungo la costa orientale dell’Adriatico, da Trieste a Cavtat (Ragusavecchia).

Realizzò circa 200 opere
Dopo il saluto di Velid Đekić a nome del Museo civico, a introdurre la figura dell’artista croato è stata l’architetta e studiosa Nana Palinić, la quale ha spiegato che Rendić si formò come scultore sull’isola di Brazza, a Trieste, Firenze e Venezia, specializzandosi per la scultura funeraria. Nel corso della sua carriera realizzò circa 200 opere, mentre sul territorio quarnerino ne viene conservata una ventina.
Il primo studio approfondito della sua vita e opera fu scritto dallo storico dell’arte Duško Kečkemet per la sua tesi di dottorato nel 1969. Lo studio di Kečkemet è stato inoltre la base del progetto di ricerca di Ingrid Jerković “Alla ricerca delle opera di Ivan Rendić”, durato un anno e mezzo, nel quale l’autrice ha fatto tappa in diverse località della costa adriatica orientale per documentare le opere dello scultore dalmata. Nel progetto sono stati coinvolti, tra gli altri, anche l’archeologo del Museo di Marineria e di Storia del Litorale croato, Ranko Starac, Nana Palinić e Daina Glavočić, autrice di un libro sulla scultura e architettura funeraria di Rendić a Fiume e ad Abbazia pubblicato nel 1995.

Un artista molto ricercato
Daina Glavočić ha esordito dicendo che Rendić fu uno scultore molto prolifico che, però, molto spesso riprodusse le sue sculture diverse volte. “Si tratta di una pratica molto insolita nella scultura e nella pittura, ma lui non ebbe nessun problema a riprodurre la medesima scultura per diversi committenti su loro richiesta – ha rilevato la storica dell’arte –. Si tratta di sculture di grandi dimensioni che non è facile realizzare, trasportare e nemmeno collocare al loro posto. Dalla ricerca di Kečkemet abbiamo appreso che Rendić fu una persona molto particolare che amava gli scherzi, ma non soffrì mai le conseguenze di questo suo comportamento in quanto le persone lo accettavano per quello che era. Era sempre allegro e sorridente, anche se non ebbe una vita facile. Nel corso della sua carriera viaggiò spesso lungo tutta la costa orientale dell’Adriatico, anche se trascorse la maggior parte della sua vita a Trieste”, ha spiegato Glavočić, la quale si è quindi soffermata sulla scultura della Vestale (le “virgo vestalis” – si legge su Wikipedia – erano sacerdotesse vergini consacrate alla dea Vesta il cui compito era custodire il Sacro Fuoco e mantenerlo sempre acceso), che Rendić riprodusse per ben sei mausolei diversi.

La morte come sonno eterno
“Rendić realizzò la Vestale addormentata dapprima in gesso nel 1896 a Trieste, dove la sua fama fu tale che decine e decine di persone aspettavano in fila per entrare nel suo studio e vederla – ha proseguito la storica dell’arte –. Questo fu un gesto propagandistico atto a fare sì che la scultura venisse prodotta anche in bronzo. Ma perché proprio la figura della Vestale addormentata? A quei tempi, la morte veniva associata al sonno eterno e questo a sua volta voleva dire che i corpi venivano rappresentati come morbidi, languidi e avvolti in ricchi drappeggi che però ne scoprono una notevole parte. Siamo alla fine del XIX secolo e lo storicismo sta retrocedendo per dare posto allo stile Liberty, caratterizzato da linee sinuose che dalle decorazioni passano anche ai corpi umani, soprattutto quelli femminili”, ha spiegato Daina Glavočić, aggiungendo che Rendić andava molto fiero della sua terra d’origine ed era un “grande croato e jugoslavo”, per cui usava introdurre nei suoi progetti di tombe e mausolei degli elementi del folklore (inoltre, le sue figlie e figli portavano i nomi Sava, Drina, Dunav e Velebit). La Vestale addormentata è sistemata su una specie di grande trono in marmo, coperto da un tappeto in mosaico variopinto sul quale è quindi adagiato il corpo della Vestale. Il mosaico si ispira ai tappeti usati nelle zone rurali della sua patria e riproduce degli elementi tipici di quel folklore.

La Vestale addormentata nel cimitero di Cosala.
Foto: ŽELJKO JERNEIĆ

Riprodotta sei volte
“La Vestale addormentata fu una scultura molto popolare all’epoca, anche se è effettivamente molto difficile vederla nel suo insieme in quanto è sistemata molto in alto. Ciò che si vede bene sono le gambe e i piedi. Nonostante ciò, questa scultura venne riprodotta ben sei volte e la troviamo nel mausoleo a Orebić (1897) – caratterizzato da una cupola a cipolla, tipica delle chiese russe, che stona un po’ nell’ambiente mediterraneo (il fascino dei cimiteri sta proprio nel fatto che qui troviamo ogni sorta di stili architettonici e scultorei in quanto a dettare le regole sono i committenti e il loro gusto personale) –, quindi nel cimitero di Sant’Anna a Trieste (1907), nel mausoleo della famiglia Cossovich. In tutti questi mausolei accanto alla Vestale si trovava anche un candelabro che, purtroppo, nella maggior parte dei sepolcri non c’è più perché arrugginito e andato perso. Una Vestale si trova anche a Salona, sulla tomba di Matija Glavan (1910), mentre a Drniš (1910) la tomba (intestata ad Antonio Vucassovich) è stata devastata, tanto che la scultura della Vestale non c’è più e il trono di marmo è demolito. Questo è uno scioccante caso di devastazione del patrimonio storico-culturale, probabilmente accaduto durante la Guerra patriottica, ma il motivo è inspiegabile. Le ultime due Vestali addormentate le troviamo ad Abbazia (1914), sulla tomba della famiglia Tomašić, e nel cimitero di Cosala a Fiume (1916), sulla tomba della famiglia di Josip Smokvina. Purtroppo, nella maggior parte di questi sepolcri il tappeto in mosaico sta progressivamente perdendo i tasselli e così scomparendo, il che è un gran peccato perché si tratta di un intervento di restauro che non risulterebbe molto costoso e contribuirebbe a mantenere la bellezza di queste tombe”, ha rilevato la storica dell’arte.

L’allegoria della Fede
Un’altra scultura che Rendić replicò diverse volte fu quella della Fede, un’allegoria che raffigura una donna in grandezza naturale che stringe al petto una grande croce, simbolo della fede. Questa scultura si trova nel mausoleo della famiglia di Ivan Šabec-Foerster (1902) nel cimitero di Sant’Anna a Trieste; nel mausoleo della famiglia Katalinić (1901) a Spalato, nel cimitero di Lovrinac (originariamente il mausoleo si trovava nell’ex cimitero di Sustipan, distrutto dopo la Seconda guerra mondiale, dal quale venne in seguito trasferito); nel cimitero di Tersatto, nel mausoleo della famiglia Ružić (1901-1904), commissionato da Gjuro Ružić. Purtroppo, a Tersatto la scultura della Fede ha il naso rotto, in quanto ebbe un “incidente” già durante il lavoro di costruzione del mausoleo: venne danneggiata mentre veniva collocata al suo posto sotto il baldacchino. L’ultima scultura della Fede si trova nel cimitero di Grisignana e fa parte del mausoleo della famiglia Laurencich.
Daina Glavočić si è infine soffermata sulla scultura della “Meditazione”, una ragazza seduta sulla tomba con lo sguardo assorto, che Rendić realizzò per la tomba della famiglia Prister (1896) nel cimitero di Mirogoj a Zagabria; a Trieste (1897) e a Spalato (1908).
La storica dell’arte ha concluso la sua lezione constatando che, nonostante l’artista avesse realizzato più di 200 sculture nel corso della sua vita, non esiste alcuna scultura che raffiguri Ivan Rendić.

Il destino mutevole dei cimiteri
La lezione è stata seguita dalla proiezione del filmato di Ingrid Jerković “Alla ricerca delle opera di Ivan Rendić”, al che ai presenti si è rivolto l’archeologo Ranko Starac, il quale ha parlato della storia dei cimiteri e delle tradizioni sepolcrali del passato. “I cimiteri che conosciamo oggi risalgono all’inizio del XIX secolo, quando in seguito alle nuove regole igienico-sanitarie venne vietata la sepoltura nelle chiese e all’interno dei centri abitati – ha spiegato –. Infatti, prima del XIX secolo, a Fiume ad esempio, i defunti venivano sepolti per secoli intorno all’ex Duomo. I cimiteri sono luoghi affascinanti perché riflettono l’anima della città, i suoi cittadini, la sua cultura, la tradizione, i suoi culti, mentre la parte più interessante sono gli epitaffi”, ha osservato l’archeologo, aggiungendo che il destino dei cimiteri è sempre mutevole e dipende dal gusto dei cittadini e committenti. “Purtroppo, spesso penso che non meritiamo la bellezza degli antichi mausolei nei nostri cimiteri quando vedo in quale misura questi vengono saccheggiati e danneggiati. È importante conservare e curare il tesoro che ci è stato tramandato”, ha puntualizzato Starac.

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