I colori della voce: comunicare con armonia e coerenza

Intervista con Antonio Monizzi, esperto di marketing, coaching e storytelling, ma anche uno spumeggiante comunicatore, su un tema «che può cambiarti la vita»

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I colori della voce: comunicare con armonia e coerenza
Foto gentilmente concessa da Antonio Monizzi

“Non è ciò che dici, ma come lo dici che conta”. Dale Breckenridge Carnegie, illustre pioniere statunitense nel campo dello sviluppo personale e della leadership, già negli anni ‘30 aveva compreso appieno l’importanza e la necessità di una comunicazione attiva, che ponesse al centro un ascolto autentico ed empatico verso l’interlocutore.

Comunicare in modo sano e limpido, infatti, può essere vitale come l’acqua.
A giocare un ruolo chiave nell’interazione sociale, così come tra due singoli individui, sono innumerevoli fattori: qualcuno manifesto, qualcuno meno. I veicoli a nostra disposizione, per arrivare all’altro, si alternano tra un mondo fisico e uno spazio che racchiude percezioni, stati d’animo e segnali visibili che, abbandonando un piano superficiale, si fanno messaggeri di informazioni preziose e, talvolta, intime. È un interpretare dati che rimbalzano da vita a vita, un decodificare continuo. L’efficacia, la qualità e lo stile delle interconnessioni dipendono dal livello che ciascuno decide di adottare, sia questo un atto volontario o inconscio.
La comunicazione non è semplicemente una notifica da un mittente a un destinatario, piuttosto un passaggio di elementi, verbali, non verbali e paraverbali, che abbracciano l’intera persona, permettendo di creare raccordi umani e, per essere fedeli alla sua origine semantica, di “mettere”, appunto, “in comune”.

Vasta campionatura di tonalità cromatiche
Timbro, volume, intonazione e ritmo non sono gli unici strumenti che la voce possiede per esprimersi e inserirsi nel tessuto delle relazioni. Come un pittore si diletta nell’uso di una tavolozza per tracciare giochi di luce, ora accesi ora tenui, così la voce (espressione paraverbale), offre una vasta campionatura di tonalità cromatiche che incidono enormemente nei quadri realizzati dalle parole. La coerenza fra le tinte vocali e la scelta del linguaggio determina una comunicazione limpida, sgombra da intasamenti verbali e mentali, spesso origine di frequenti e pericolose incomprensioni.
Ho in mente un fagotto, un involucro di stoffa pieno di ingredienti che ciascuno di noi porta con sé nel corso della vita e dal quale estrapola ciò che gli occorre nelle modalità e nei tempi che meglio conosce.
Ma in cosa consistono i colori della voce? Quanto è importante conoscerli per migliorare la nostra abilità comunicativa? Interrogativi che hanno dato inizio a un viaggio nato da un incontro durante il quale, a mia domanda precisa, è stato risposto: “Si parte da qui! Poi, approfondiremo”.
Un libro di 256 pagine intitolato: “La tua voce può cambiarti la vita” di Ciro Imparato, uno straordinario doppiatore italiano, scrittore, ricercatore specializzato negli aspetti psicologici della voce e della comunicazione, studioso della semantica paraverbale, voice & communication coach, scomparso prematuramente nel 2015. Il volume si è rivelato un sorprendente punto di osservazione, da cui scorgere le potenzialità della voce e scoprirne i sottili meccanismi, protagonisti di una comunicazione fedele all’intento e in perfetta armonia con l’obiettivo da raggiungere.
Grazie a un linguaggio diretto, frutto di anni di esperienza e di studio, si affrontano con immediatezza tematiche altrimenti complesse. Non si tratta di un corso di dizione, bensì di una ”rieducazione della nostra comunicazione basata sulle emozioni della voce. Un codice che riconduce alla vera essenza di ognuno”, Ciro Imparato.

Meccanismi virtuosi
In sostanza, una riprogrammazione di abitudini vocali che, iniziando dal singolo, si estende alla collettività, in un meccanismo virtuoso. Un’eredità significativa che l’autore ha equamente affidato ai professionisti e alle persone comuni, desiderose di migliorarsi e migliorare l’ambiente in cui vivono.
Nel metodo “FourVoiceColors®”, da lui ideato, vengono associati quattro colori, ovvero il giallo, il verde, il blu e il rosso, a quattro corrispondenti tipi di voci ed emozioni, mentre, per esempio, si consiglia di evitare i colori riconducibili all’apatia, il grigio, e alla negatività, il nero. A questi si aggiunge il sorriso, una componente fondamentale. Il primo passo è riconoscere quali sensazioni siano presenti nella nostra voce per poi riuscire a utilizzarle in modo consapevole e preferirne alcune invece di altre, al fine di trasmettere le sensazioni più appropriate. Una combinazione di fattori che conduce la persona a sviluppare la comunicazione in senso dinamico e responsabile.

Ma è davvero possibile?
Per trovare una risposta, la strada da percorrere è stata necessariamente a ritroso. Come in un loop temporale, mi sono ritrovata al punto di partenza e, precisamente, all’istante in cui Antonio Monizzi, anzi @ntonio, in quanto ama utilizzare la chiocciola al posto della “A”, sia come segno distintivo, sia perché riferito all’animale chiocciola, lento ma perseverante (anche se il simbolo della “a” commerciale è legato a una curiosità che spiegherà lui stesso), mi aveva rimandato alla lettura del libro, tradottosi in una scoperta succosa e stimolante.

Ogni persona possiede una storia unica
È difficilissimo sintetizzare in poche righe una persona che della comunicazione ha fatto la propria missione di vita. D’altronde, lui stesso, raccontandosi, è solito precisare: “Il mio mestiere è aiutare persone e professionisti a raccontarsi, usando l’arte della narrazione e le potenzialità del public speaking”. È fermamente convinto che ogni persona possieda una storia unica, degna di essere condivisa e ascoltata; con estrema competenza e umanità, permette all’ordinario di trasformarsi in qualcosa di straordinario. @ntonio Monizzi è un esperto di marketing, coaching e storytelling ma è anche uno spumeggiante comunicatore, un poliedrico per natura che spazia da argomenti settoriali a quelli filosofico-letterari, dal cinema alla musica, in particolare al jazz. Il suo motto è: “Insegno quando imparo e imparo quando insegno!”.
Da qualche anno, ha avviato un interessante progetto: “@ntonio Monizzi racconta”, una rubrica settimanale trasmessa in rete, sui canali Facebook e Youtube, che si occupa di tematiche eterogenee, proposte con versatilità e analisi sorprendenti, sia per il pubblico che per gli ospiti in puntata. Segue il “flow” – dice – un flusso continuo di energia creativa, ispirandosi allo psicologo Mihály Csíkszentmihályi, nato a Fiume, che per primo delineò il concetto di “flusso”, uno stato in cui una persona è completamente immersa in un’attività con un coinvolgimento positivo e costruttivo. Nel caso di
@ntonio Monizzi, aggiungerei anche con un pizzico di intelligente estemporaneità, esattamente come la sua passione musicale gli suggerisce.

Ciò che conta è arrivare all’altro
Mi sono chiesta con quale colore avrei potuto iniziare la nostra conversazione. La risposta è stata: tutti e quattro! Effettivamente, da ognuno di loro emerge qualcosa che lo contraddistingue: il giallo, per la simpatia (accentuata anche dalle origini campane!), il verde, per la fiducia e la sincerità che infonde, il blu, per la calma e l’empatia, il rosso, per l’entusiasmo con cui fa le cose. C’è però un colore da lui prediletto, ma lo scopriremo fra un po’.

Cosa ha spinto una persona, un esperto di comunicazione come lei, a voler esplorare le sfumature cromatiche della voce? Come è iniziata la sua navigazione tra i colori vocali?
“Quando decisi di diventare un libero professionista, l’idea iniziale fu di focalizzarmi sul marketing, che tutt’ora rimane parte della mia forma mentis, e successivamente di dedicarmi anche al branding e allo storytelling. Anni fa, collaboravo come formatore presso un’accademia per manager e imprenditori che organizzava vari master diretti a un pubblico di professionisti. All’inizio dell’anno accademico era previsto un corso di public speaking e mi fu chiesto di partecipare da uditore. Io, in realtà, non volevo andarci, mi guadagnavo da vivere parlando in pubblico ormai da quasi dieci anni, mi pareva una perdita di tempo. Ma quel corso cambiò la mia prospettiva, facendomi riflettere su un aspetto essenziale del mio modo di parlare in pubblico: lo facevo ‘per bene’ ma lo facevo seguendo l’istinto. Non ho mai provato tensione nell’espormi davanti a una platea. Tuttavia, in quell’occasione, compresi che avrei potuto sviluppare un ulteriore livello di consapevolezza. Ero bravo, ma non sapevo perché, non sapevo cosa fosse efficace e cosa non lo fosse”.
“Diversi eventi successivi mi hanno condotto alla lettura del libro di Ciro Imparato, persona che avrei voluto conoscere ma, purtroppo, è venuto a mancare poco prima che potessi incontrarlo. Avevo lavorato molto sulla postura del corpo, sul come costruire un discorso ma ciò che proponeva l’autore de ‘La tua voce può cambiarti la vita’ era qualcosa che semplificava la complessità in modo straordinario. Mi sono innamorato della spontaneità, dell’immediatezza e della praticabilità contenuti nel metodo, usufruibile da tutti. Ciò che conta è come arrivare all’altro. Molte persone hanno problemi nell’esprimersi in maniera corretta. La maggioranza di loro possiede storie bellissime, ma non sa come raccontarle. Una convinzione che ho costruito nel tempo è che il mondo dei social network, anziché migliorare le nostre capacità comunicative, abbia prodotto l’effetto contrario, banalizzando la comunicazione stessa. È come se, data la facilità con la quale oggi possiamo interagire con gli altri, non si ponesse più attenzione alla qualità dei contenuti. Al di là di questo, devo considerarmi estremamente fortunato, poiché durante un periodo complesso come quello della recente pandemia, ho conosciuto una persona eccezionale, Andrea Bordin, che proprio con Ciro Imparato ha studiato la metodologia FourVoiceColors®, divenendone un trainer certificato e autorizzato a svolgere formazione. Tra l’altro, ha ulteriormente sviluppato questo stesso metodo, creandone uno nuovo dal nome NeuroVoiceColors®. Con Andrea Bordin, a Padova, ho intrapreso un percorso che tuttora considero tra i più belli e rilevanti. Di quei giorni trascorsi insieme conservo delle sensazioni intense e profonde”.

Il meglio di noi stessi
Come è cambiata la sua vita?
“Ha spalancato il mio karma. I colori hanno rinnovato radicalmente la mia vita, permettendomi di essere la parte migliore di me stesso, più sereno e autorevole. Partire dal public speaking e arrivare alla narrazione dei colori mi ha portato a capire che l’elemento mancante alla mia proposta di valore professionale era, per assurdo, proprio il come raccontare una storia. Per cui i quattro colori, menzionati da Ciro Imparato, si sono trasformati in quattro passaggi della narrazione: ‘Inizio la mia storia’, il colore giallo; ‘Momento di riflessione, di presa d’atto di una difficoltà’, il colore verde; ‘La consapevolezza di ciò che si fa’, il colore blu e ‘Da domani farò qualcos’altro’ oppure ‘Da questo ho capito…’, il colore rosso. È come se avessi scoperto uno schema dove ogni cosa può trovare finalmente una collocazione”.

Chiunque è, potenzialmente, in grado di distinguere la tipologia di emozioni presente nella propria voce?
“Ovviamente, laddove siano presenti limitazioni psico-fisiche oggettive, dovute a deficit o patologie, esse devono essere affidate alla competenza di esperti. Puoi essere te stesso al meglio, ma non meglio di te stesso. Abbiamo un meglio di noi stessi che non è quello deciso dagli altri o che è identico a quello degli altri. Devo cominciare dalla mia natura, da dove mi trovo. Conobbi una persona che quando iniziò a cimentarsi nella pratica del public speaking, a tratti visse un vero dramma. Io per primo pensai che non ce l’avrebbe mai fatta, eppure lui fu talmente caparbio che, dopo due anni di esercitazioni, studio e tanta fatica, concentrandosi seriamente sul suo obiettivo, riuscì meglio di altre persone. Decisamente, al suo meglio! Purtroppo, attualmente, tendiamo a disperdere i nostri propositi, volendo diventare tante cose e subito. In pochi talenti riescono a farlo. Abbiamo bisogno di metodo, di ritmo e di costanza. Quindi, per rispondere alla domanda iniziale, sì, tutti possono imparare, essendo però consapevoli del proprio punto di partenza”.

Il «daltonismo vocale»
Esistono colori prevalenti che le persone usano, inconsapevolmente o volutamente, nelle varie circostanze della vita senza alcuna distinzione?
“La maggioranza delle persone, tendenzialmente, o ha un colore spontaneo o, a volte, non ne possiede neanche uno. Il grigio è, di solito, il colore di fondo più diffuso. La mia esperienza personale mi porta a sostenere che in tanti hanno delle storie entusiasmanti sulla propria vita, ma le raccontano come se fossero la cosa più banale del mondo. Se non siamo noi stessi a valorizzare la nostra narrazione, non lo faranno di certo gli altri. Se non hai tu il fuoco interiore, gli altri non si accenderanno mai. In generale, il colore di fondo, a cui prima accennavo, ha delle assonanze con la personalità, per esempio: il giallo indica una persona entusiasta, il verde una persona più intima. Tra l’altro, come lo stesso Ciro Imparato aveva sottolineato il verde è piuttosto carente, quello che si utilizza in misura ridotta. Lui diceva: ‘manderei tutti a scuola di verde, in particolare, i politici che parlano in grigio’. Vorrei però sottolineare che i colori sono qualcosa da cui si parte, non dove si arriva. Magari, si inizia senza sentire alcun colore, e, a un certo punto, se ne conquistano le sfumature. Però, è importante anche liberarsene. Per esempio, io non mi dico: ‘Ora, parlo in giallo!’. Semplicemente, mi rendo conto in automatico, nel vivere quel momento. Cerco di non seguire uno schema, è lo schema a essere parte di me. Non ho più bisogno di dirmi di cosa ho bisogno (perdonate il gioco di parole!). Non è magia ma solo questione di moltissimo allenamento”.

All’interno del libro si parla di “daltonismo vocale”, cosa è esattamente? E l’alessitimia su cui spesso si sofferma?
“Il daltonismo vocale, menzionato da Ciro Imperato, è stata una bella intuizione. Fa riferimento all’emissione di una comunicazione. Tuttavia, io parlerei più di alessitimia, in quanto il daltonismo si riferisce alla capacità, di colui/colei che osserva e che ascolta, di percepire un colore (in entrata), ma in tal caso parliamo dell’incapacità di esprimerlo (in uscita). Restando in una sfera non patologica, il termine ‘alessitimia’ esprime meglio l’idea di una comunicazione monocorde. Se riuscissimo seriamente a usare i colori in mondo opportuno, innescheremmo una vera e propria rivoluzione. Nei miei corsi, per spiegare cosa si intende con il termine ‘alessitimia’, descrivo la scena di Marina Massironi nel circo bulgaro de ‘I Tiranos’ (reperibile su Youtube) in cui, da brillante attrice, evidenzia la distonia tra il voler condividere la felicità di trovarsi in un dato luogo e la forma deprimente, estremizzata, con la quale la esterna. Purtroppo, ci stiamo abituando a esprimere noi stessi e a ‘leggere’ l’altro sempre meno bene”.

Scegliere su cosa investire
Si può parlare di un atto di consapevolezza da parte delle persone che decidono di intraprendere un cammino nei colori della voce?
“Il difetto di base è che le persone si innamorano, oggi, dei colori della voce, domani della tecnica ‘xy’, dopodomani del blockchain e quindi non arrivano a ottenere dei risultati concreti nella realtà. Pur insegnando anche public speaking, io continuo ad allenarmi costantemente con i colori della voce. L’eccellenza è qualcosa che va coltivata. Dobbiamo scegliere su cosa investire le nostre energie. Ho un capitale di ventiquattro ore al giorno e devo per forza di cose compiere una selezione accurata. Per esempio, sto sempre più approfondendo le neuroscienze, fortemente collegate al public speaking e allo storytelling”.

Con la voce, potremmo essere in grado di prevenire anche conflitti o attriti interpersonali e, a raggiera, sociali? È uno strumento molto potente, non crede?
“Sembra che Cleopatra, di cui ovviamente non abbiamo registrazioni! (e qui, entra in gioco la vena ironica di @ntonio Monizzi), per i canoni e le dinamiche sonore dell’epoca, avesse una voce alquanto accattivante. In quel periodo storico, esisteva un gusto diverso per la voce e anche per gli alimenti, considerati delle prelibatezze allora e che oggi ci disgusterebbero. La voce può essere utile a prevenire. Proviamo a immaginare quelle professioni in cui si vivono situazioni di crisi, di tensione o di emergenza, in trattative delicate come per esempio quelle per gli ostaggi. È cruciale utilizzare i giusti toni, volumi, ritmi e pause. La voce può indurre a un miglioramento nei conflitti. Vorrei rimarcare però una cosa importante. Siamo nell’era dell’autoaiuto, della PNL e ‘dell’impara a dominare qualsiasi cosa…’, i colori della voce sono un modello, in linea di massima, semplice da portare con noi a casa, ed è questa la sua potenza”.
“Ma da qui ad affermare che leggendo solo il libro si riesca a usare i colori, non sarebbe corretto. Ripeto, è necessario molto allenamento. Per esempio, la PNL è una materia complicatissima, per usarla bene bisogna conoscerla alla perfezione e ci si deve esercitare. Trovo che in molti la usino in modo sciatto. Io stesso in primis, pur avendola studiata a lungo, non la spaccio come arma segreta. Cioè, non basta imparare le regole del tennis per diventare Jannik Sinner, devi essere anche un po’ Jannik Sinner, che tra l’altro si allena trentamila ore a settimana. Secondo me, è una tendenza pericolosa odierna. Non siamo tutti pronti a diventare campioni del mondo, ma si può diventare campioni, per esempio, di un club sciistico regionale, e comunque, anche in questo caso, occorrerà tanto esercizio quotidiano. Sono necessari il talento, la dedizione, il fervore, l’impegno. Ciò contempla anche un altro aspetto con cui fare i conti: quello della noia. Ripetere ottanta volte lo stesso esercizio, non è affatto divertente. È faticoso, ma necessario. Piuttosto, dovremmo chiederci quale sia l’esercizio più adatto a noi, quello per cui non proveremmo pesantezza e noia. Se fai qualcosa con amore, non avverti alcuna fatica”.

Liberarsi dagli schemi
Le diverse origini culturali possono influenzare i colori della voce? Penso alla lingua cinese. Il termine “voce” è tradotto con il carattere
“声音” Shēngyīn, nel quale 声Shēng indica il suono, il tono, ma anche la reputazione. È come se attraverso l’emissione vocale decidessimo l’impatto della nostra persona sull’ambiente. La voce è il canale mediante cui il prestigio individuale cammina tra le persone. Tra l’altro, nella sua forma tradizionale prevedeva anche il carattere di “orecchio”, ovvero dell’ascolto, da noi verso l’altro e viceversa. Cosa ne pensa?
“È un argomento molto interessante, anche se non sono un linguista, direi che indubbiamente la cultura e la storia di un Paese influenzano la percezione dei colori e della voce. Immagino che in Oriente bisognerebbe trovare sfumature diverse, più adatte ai parametri culturali e alla linguistica di quei luoghi. ‘La tua voce può cambiarti la vita’ (attualmente, di difficile reperibilità) nasce per la lingua italiana, ma credo che possa adattarsi ad altre lingue europee, anche se per il tedesco potrebbe essere più complesso. In Italia, perfino da regione a regione, riscontriamo differenze. Non voglio però ragionare per stereotipi, per cui ‘i napoletani sono così, i milanesi sono colà’. Sicuramente, ci sono dei colori prevalenti al sud e altri al nord. Per esempio, è probabile che un calabrese sia più giallo, un napoletano più rosso. Nell’utilizzo spontaneo di uno o vari colori incidono anche altri aspetti: la professione, i trascorsi, la persona che si è. La cosa interessante dei colori è usarli come un algoritmo che permette di allineare il desiderio interiore di ciò che si vuole comunicare alla percezione che si fa arrivare all’altro. Dovremmo imparare a far sì che ci sia congruenza tra ciò che desideriamo esprimere e il come comunicarlo. Se io so che il giallo è il colore dell’amicizia, il rosso il colore della passione, il verde della riflessione, il blu dell’autorevolezza questo mi porterà a tenere in mente certi tipi di passaggi e a esserne maggiormente consapevole. Comunque, ribadisco, alla fine, bisogna liberarsi dei modelli studiati”.

Tutti a scuola di “verde”!
Suggerirebbe un colore in particolare? Perché?
“Sono d’accordo con Ciro Imparato quando diceva che avrebbe mandato tutti a scuola di ‘verde’. Io aggiungo che è il colore del disinnescare. Ahimè, è assente nella società contemporanea, mentre dovremmo utilizzarlo abitualmente”.

Qualche consiglio di lettura per l’estate?
“Di certo, ‘La tua voce può cambiarti la vita’ di Ciro Imparato, ‘Come si dice péne. Manuale minimalista di dizione e sviluppo della voce per non attori’ di Andrea Bordin, ‘Il gioco interiore nel tennis’, di Timothy W. Gallwey, ‘Fuoriclasse’ di Malcolm Gladwell, ‘Come parlare in pubblico e convincere gli altri’, ‘Come trattare gli altri e farseli amici’, entrambi di Dale Carnegie e ‘Public speaking per tutti’ di Max Formisano”.

L’improvvisazione è una cosa seria
Vorrei che approfondissimo la curiosità legata all’utilizzo della chiocciola nel suo nome a cui abbiamo accennato qualche riga fa.
“Adoro leggere, i libri sono parte irrinunciabile della mia vita e, perlustrando, ho scoperto che ha origini antiche legate alla città di Venezia. Addirittura, risalirebbe ai tempi dell’impero romano d’Oriente, quando la città lagunare era il centro di attività commerciali per le quali fu inventata la ‘@’, un parametro che consentiva equità durante le operazioni di compravendite e che simboleggiava l’anfora, un tempo unità di misura universale di peso e di capacità. Il Prof. Giorgio Stabile (Roma 1939 – ivi 2022), storico e filosofo, docente di Storia della Scienza presso l’Università La Sapienza di Roma, aveva dedicato una ricerca minuziosa alla sua origine. La chiocciola come unità di misura è stata utilizzata nel commercio per tantissimi anni fino a quelli più contemporanei, quando il tasto ‘@’ era incluso nelle macchine da scrivere per indicare ‘al prezzo di…’. Incredibile, no?”.

Quale è il suo colore preferito? Ora, possiamo svelarlo.
“Il Viola, che senza neanche farlo apposta è formato da due colori primari, il blu e il rosso. Inoltre, è il colore del settimo chakra, per chi ci crede. Qualcuno dice che non esista perché è extracorporeo mentre i chakra sono corporei. E questo aspetto contraddittorio mi stimola. È il colore dell’elevazione spirituale, della trascendenza, e mi piace l’idea di valorizzare un colore che alcuni detti popolari vorrebbero foriero di sfortuna”.

Ha a che fare anche con la sua passione per il jazz?
“In realtà, non saprei di preciso. Sicuramente anche nel jazz, quando si parla di improvvisazione, non si intende il fare senza conoscere, anzi! Bisogna essere preparatissimi, talmente preparati da permettersi di poter uscire dai binari, come dicevo prima. Improvvisare con cognizione e fare le cose a caso sono due concetti nettamente distinti. Potremmo affermare che l’improvvisazione ‘seria’ è la più alta forma di una regola. I più grandi improvvisatori jazz erano talmente rigorosi nell’applicazione di un metodo che potevano bypassarlo, o meglio, potevano essere liberi all’interno di schemi. Mi viene in mente Pablo Picasso, una sua celebre frase: ‘A quattro anni dipingevo come Raffaello, poi ho impiegato una vita intera per imparare a dipingere come un bambino’”.
E con questa frase, mi saluta sfoggiando un sorriso che riordina i tasselli scoordinati di un puzzle e indossa virtuosamente i quattro colori. Non ignorarli, è una sfida che ognuno di noi dovrebbe, poter o voler, accettare!

Foto gentilmente
concessa da Antonio Monizzi

*Referente Senior per Progetti Commerciali e Culturali Sino-Europei

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