Marijan Jelenić, 60 anni al servizio della Chiesa

Dignano. Nell’incontro di commiato con la stampa il sacerdote ha esposto le attività indirizzate alla conservazione del luogo di culto e del suo reliquiario

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Marijan Jelenić, 60 anni al servizio della Chiesa
Il parroco Marijan Jelenić in conferenza stampa insieme al sindaco Edi Pastrovicchio. Foto: DARIA DEGHENGHI

“Miei carissimi fedeli e dignanesi tutti: correva l’11 novembre del 1972 quando varcai la soglia di Dignano come assistente pastorale al fianco dell’allora parroco don Vinko Pereša. All’epoca mi chiamavano il ‘prete giovane’ mentre oggi sono diventato, di nome e di fatto, il ‘prete vecchio’”. Con queste parole (non senza la punta d’ironia che gli è solita e che diverte oltre a richiamare all’ordine), il Parroco di Dignano, don Marijan Jelenić ha esordito la sua orazione di commiato nella conferenza stampa convocata ieri mattina nell’Ufficio parrocchiale. Nell’occasione il sacerdote ha esposto per filo e per segno le attività indirizzate alla conservazione dell’edificio di culto e del suo prezioso reliquiario.

Due cenni biografici a titolo introduttivo: Marijan Jelenić è stato parroco di Dignano dal 1975, l’anno scorso ha festeggiato i sessant’anni di sacerdozio, mentre quest’anno in occasione dell’Assunta lascia il servizio con tanto di benedizione del vescovo per “raggiunta maturità pensionabile”. Gli subentrerà il sacerdote Damir Štifanić, che lascia a sua volta il ruolo di vicario parrocchiale a Rovigno. Che i sacerdoti con cinquanta anni di servizio siano merce rara negli annali della Chiesa cattolica, è risaputo. A maggior ragione lo sono quelli con sessant’anni di servizio, che infatti sono da considerarsi mosche bianche. Soprattutto quando sono stati titolari di parrocchia per 47 anni. Don Jelenić lascia dunque la sua parrocchia nell’anno del suo giubileo d’oro della prima venuta a Dignano. Inutile dire che la commozione è tangibile.

L’immensa opera di recupero
Marijan Jelenić ha dedicato la sua vita e il suo sacerdozio a salvare la chiesa di San Biagio dal degrado del tempo e dell’incuria. Per dire quanto sia stata immensa quest’opera di recupero, ne ha ripercorso le tappe salienti, citando le date fondamentali dei restauri e degli sforzi sovrumani impiegati per avere i finanziamenti, (spesso “estorti” con un’insistenza che ha lasciato senza parole anche la Conferenza episcopale e le autorità della Repubblica). Nel 1975 don Jelenić ha dichiarato guerra alla pioggia e all’umidità che stavano per distruggere l’interno dell’edificio e la sua collezione d’arte sacra. Ma si è trattato ancora soltanto di “tappare i buchi” del tetto e delle facciate: tuttavia il parroco ha avuto la vittoria contro le infiltrazioni e l’umidità. Nel 1976 ha provveduto a sostituire il portone della navata centrale al costo di due milioni e mezzo delle vecchie lire. Lo stesso anno ha sostituito mille metri di grondaie e due anni dopo il parafulmine del campanile, il più alto in Istria. Nel 1980 ha portato a termine l’elettrificazione della chiesa e della sede parrocchiale, con la posa di ben quattro tonnellate di cavi dell’impianto elettrico.
“Nel 1982 abbiamo iniziato a verniciare gli interni della chiesa che sappiamo essere grande quanto la Cattedrale di Zagabria. Ci abbiamo messo otto anni. Vi risparmio le insidie, ma per amor del vero dirò che per non farci abbindolare dalle varie aziende che si sono contese l’appalto dell’opera, ho dovuto studiare a dovere la matematica per farmi un’idea delle misure delle pareti e delle cupole da verniciare. Oggi preferirei morire che ripartire da zero per dare il bianco”. Come se non bastasse, nel 1998 è tornato a perdere acqua il tetto rappezzato alla bell’e meglio e a quel punto ebbe inizio una nuova crociata di don Jelenić contro l’ordine naturale delle cose: gli sono serviti 200.000 marchi tedeschi ed è stata una nuova corsa ad ostacoli per avere il finanziamento bancario. Per non parlare della sostituzione delle finestre, delle vetrate (disegnate di suo pugno), insomma: la chiesa è stata ed è tuttora un pozzo senza fondo.

La conservazione dei corpi santi
Questo per dire solo delle condizioni materiali che è stato necessario assicurare prima di cominciare a preparare la massiccia opera di conservazione dei corpi santi, che il sacerdote dice essere un insieme unico al mondo visto che include tre corpi mummificati naturalmente e parti dei corpi conservati di San Sebastiano e Santa Barbara, e di altri cinque Santi meno conosciuti o venerati. Per capire l’importanza di questa collezione il parroco ha affermato di aver dovuto lottare anche con gli increduli tra gli stessi superiori della Chiesa cattolica. Non è stato facile convincerli del suo valore. Ma ha fatto testo il giudizio di un chimico quale Nazareno Gabrielli, già direttore dei Laboratori scientifici dei Musei vaticani, esperto di conservazione delle opere pittoriche, lapidee, bronzee. Nazareno Gabrielli ha visitato Dignano su invito del parroco nel 1998 e il suo verdetto aprì gli occhi a molti: a suo dire, il reliquiario dignanese con i resti mummificati era di un valore inestimabile mentre il suo stato di degrado era da considerarsi una “vergogna per la Chiesa e per la nazione”. Ma le stime erano enormi e la Parrocchia povera. Non ha potuto fare altro che aspettare i soliti venti propizi.

Un’opera… incompiuta
Frattanto si sono dati una mossa gli esperti dell’Istituto nazionale di restauri e finalmente l’opera generale dello studio, delle perizie, della datazione e della classificazione dei resti poteva avere inizio, ma questa è già storia dei giorni nostri. Oggi la collezione è salva e costituisce un polo d’attrazione per il turismo religioso europeo per cui la Pastorale del turismo della Conferenza episcopale se n’è occupata con grande slancio, sempre sotto la spinta e l’insistenza tenace di don Jelenić, il quale spera la sua opera abbia un seguito, perché a suo giudizio è “incompiuta”. Ci vorrebbero un Museo parrocchiale e una cripta che contenesse tutta la collezione dei corpi sacri, ma in questo caso, gli investimenti sarebbero letteralmente milionari. La sfida sarebbe pane per i denti del parroco, ma ormai è ora di andare in pensione. Da qui il suo appello al sindaco Edi Pastrovicchio, presente alla conferenza stampa, ad “assistere la chiesa nei suoi progetti”, per raggiungere anche i traguardi che per forza di cose restano incompleti.

Le vesti di Papa Innocenzo XII
Per la cronaca, ieri in chiusura di conferenza stampa il parroco prossimo al pensionamento ha esposto alla stampa le vesti di Papa Innocenzo XII, al secolo, Antonio Pignatelli di Spinazzola, il 242º papa della Chiesa cattolica (dal 1691 alla sua morte, nel 1700). La veste è stata rinvenuta nel 2017 con l’apertura degli ultimi cinque sarcofagi del contingente veneziano. Inutile dire che il bagaglio è stato nuovamente più ricco di quanto si sperasse, e prova ne siano questi panni pontificali che sul dorso recano appunto l’intitolazione al Santo padre della Chiesa cattolica.

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