Torre. Tombe ed epigrafi testimoni del tempo

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Torre. Tombe ed epigrafi testimoni del tempo
Una tomba rinnovata. Foto: DENIS VISINTIN

I cimiteri testimoniano la storia e la cultura d’un territorio e la sua continua evoluzione. Il significato della parola cimitero va ricercata nel greco koimēterion o “luogo di riposo”. È giunto a noi tramite il vocabolo tardo latino coemeterium.

Fino agli inizi del XIX secolo gran parte dei morti venivano tumulati in fosse comuni, ma esistevano pure cimiteri esterni ai perimetri abitati che consentivano sepolture singole. I nobili e benestanti avevano le loro tombe nelle chiese. Con il Codice civile di Napoleone Bonaparte del 1804, furono vietate le sepolture all’interno degli abitati.
Nei cimiteri si completano i riti funebri, che variano a seconda delle abitudini e del credo. Secondo l’usanza, molte tombe sono ornate di segni indicanti la fede nella resurrezione o il mestiere praticato dal defunto, insieme all’epigrafe e all’immagine dello scomparso. Ci sono poi ceri e fiori che indicano il segno di vita oltre la morte.
Con il passare del tempo, cimiteri e tombe cambiano aspetto: le nuove epigrafi sostituiscono o affiancano le vecchie, cambiano le scritte, i materiali di costruzione. Alla pietra qualche volta si sostituisce il marmo. Le vecchie epigrafi sostituite vengono sistemate in lapidari o prendono altre strade.
Abbiamo visitato il cimitero di Torre in compagnia del vicesindaco connazionale di Torre-Abrega Gaetano Benčić. Abbiamo trovato molte sepolture familiari che occupano da decenni la stessa posizione, con qualche tomba rifatta a nuovo, ma nella stragrande maggioranza dei casi accanto alle nuove sono rimaste le vecchie epigrafi, che testimoniano la plurisecolare presenza in loco di famiglie e di cognomi, quali Radoicovich, Gasperini, Micatovich, Bernazza, Palma, Daris, Cossetto, Cociancich e altri. I Radoicovich, per esempio, hanno mantenuto la grafia originaria del cognome, anche se qualcuno l’ha mutata. Il cognome Radovini probabilmente ricorda l’italianizzazione dei cognomi d’epoca fascista.
“Nel cimitero di Torre – così Benčić – non ci sono tombe monumentali, come nel caso, per esempio, di Momiano, Portole, Grisignana o della vicina Parenzo. La cittadina è stata meno toccata dall’esodo del secondo dopoguerra e qua e là ci sono degli esempi di tombe com’erano prima e come lo sono oggi. Qui è rimasta più gente, che quindi ha avuto cura e riparato le rispettive tombe di famiglia. Il primo grande assetto del cimitero risale agli anni Novanta del secolo scorso, quando è stata costruita la cappella mortuaria e all’epoca, purtroppo, qualche danno è stato fatto. Numerosissime sono ancora le scritte in lingua italiana e piuttosto che seppellire i propri cari in altre parti del cimitero, la gente del luogo ha preferito mantenere e riparare le rispettive sepolture familiari”, ha concluso Benčić, indicandoci i numerosi tumuli che presentano il vecchio e il nuovo.

Gaetano Benčić nel cimitero di Torre.
Foto: DENIS VISINTIN
La tomba familiare della famiglia Radoicovich.
Foto: DENIS VISINTIN
Foto: DENIS VISINTIN

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