Parenzo, in piazza Marafor riportati alla luce resti di un tempio romano sconosciuto

La scoperta arricchisce il patrimonio culturale locale e apre nuove prospettive di ricerca

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Parenzo, in piazza Marafor riportati alla luce  resti di un tempio romano sconosciuto
Foto Denis Visintin

Piazza Marafor nei tempi antichi rivestiva una funzione centrale, con il foro, gli edifici pubblici e i tempi. Sotto l’attuale pavimentazione si trova quella antica, riportata alla luce l’anno scorso. All’estremità settentrionale sono visibili i resti dei tempi: quello più piccolo, presumibilmente quello di Nettuno, parti di tre pareti monumentali e il frammento del frontone del presunto tempio di Marte. Da qui probabilmente il nome di Marafor, piazza di Marte, anche se ci sono altre interpretazioni, come Forum maximus, ovvero piazza grande. I documenti scritti non indicano a quali divinità i templi di Parenzo erano dedicati; menzionano solo il fatto che nel I secolo il viceammiraglio della flotta di Ravenna Tito Abudio Vero fece costruire il porto di Parenzo e ricostruire il tempio.
Qualche settimana fa era stata indagata la zona del tempio dedicato Nettuno, che hanno consentito di comprendere l’organizzazione dell’area. Ora i curatori del Museo del territorio parentino hanno spostato le ricerche nell’area del presunto tempio di Marte. Abbiamo interpellato a proposito lo studioso connazionale Gaetano Benčić.

Foto Denis Visintin

Il tempio maggiore

“Il tempio maggiore di Parenzo è definito così perché non sappiamo a chi era intitolato, anche se ci sono varie ipotesi. A suo tempo si riteneva fosse dedicato a Marte, a Nettuno, alla Triade Capitolina, ma per ora non ci sono iscrizioni o testimonianze certe. Esiste la famosa iscrizione di Tito Abudio Vero, che parla della restituzione o di un lavoro fatto su un tempio. Gli scavi che stiamo svolgendo hanno confermato dei lavori su questo tempio maggiore, che era stato oggetto di ricerche per la prima volta alla fine del 1800 da parte di Antonio Pogatschnig. Purtroppo, però, la sua documentazione è andata parzialmente perduta. Ciò che ne rimase fu raccolto dal Degrassi e pubblicato nel 1926 negli AMSI (Atti e memorie della Società istriana di archeologia e storia patria), però senza gli schizzi di quello che era stato trovato.

Foto Denis Visintin

Negli anni Cinquanta, dopo i bombardamenti della Seconda guerra mondiale, Ante Šonje aveva indagato il tempio maggiore, ma anche in questo caso la documentazione scarseggia. Ora siamo tornati a scavare e abbiamo scoperto una cosa molto bella. Prima di tutto abbiamo trovato un tempio più antico rispetto a quello che vediamo, che potrebbe essere tardo repubblicano o forse precedente la fondazione della colonia di Parenzo, ma comunque d’epoca romana, di notevoli dimensioni, di cui stiamo seguendo il muro perimetrale settentrionale, ma abbiamo individuato anche quello meridionale. Era largo più o meno come il tempio attuale, ma era un po’ più corto. Appena ora stiamo definendo questo tempio di cui non si sapeva assolutamente niente.

Al momento della fondazione della colonia, quando fu sistemato il capitolium, nella zona dei tempi fu costruito, come detto, il tempio grande, che era poderoso, aveva più o meno le dimensioni di quello attuale in larghezza, mentre per quanto riguarda la lunghezza era più corto di un metro e mezzo, quasi due. È molto interessante perché abbiamo potuto seguirlo dalle fondamenta fino all’alzato. In una zona mantiene una tecnica detta opus mixtum, che alterna conci di pietra a tegole, in modo regolare, come si può vedere. È una tecnica che arriva dal centro Italia, molto presente nel Bel Paese, che ci dimostra la presenza di maestranze che operano in quel momento in città e costruiscono un solido muro che nella parte delle fondamenta ha quasi due metri di larghezza. Era veramente un tempio imponente che dominava sul foro.

Foto Denis Visintin

La nuova fase

Poi abbiamo la terza fase, che probabilmente risale alla seconda metà del primo secolo, alla sua fine o al massimo agli inizi del secondo secolo, in cui c’è un prolungamento di questo secondo tempio, in direzione del mare. In questa fase vengono costruiti gli elementi decorativi che ancora noi vediamo, come lo stilobate esterno con i parapetti in pietra, le mensole, il podio scolpito, che appartiene a questo terzo tempio, che l’architetto Berlam aveva misurato e disegnato. Ora siamo naturalmente soltanto a delle ipotesi, che si fanno solo a titolo di lavoro, senza certa conferma. Potrebbe essere che la terza fase sia la fase abudiana, quella che appunto ci racconta l’iscrizione di un tempio restituito, restaurato, ripresentato, prolungato e arricchito da un nuovo decoro plastico. È una storia molto affascinante perché i tempi ci raccontano della vita della colonia, quella artistica, politica e del momento, per cui gli scavi che stiamo svolgendo contribuiranno a mettere in luce questa zona che era rimasta un po’ trascurata, anche se si vedeva il basamento del tempio, ma non si sapeva bene cosa fosse. Ora allestiremo una zona di visita anche per la cittadinanza e per i turisti, con delle ricostruzioni e indicazioni.

Foto Denis Visintin

Dal punto di vista scientifico e della conoscenza delle antichità romane dell’Istria abbiamo fatto un salto di qualità. Dobbiamo concludere lo scavo tra poco, perché i mezzi sono limitati, anche se godiamo del supporto della Città e del sindaco, che ha incoraggiato quest’indagine. Sono molto soddisfatto che sia stato possibile effettuarla, assieme alla collega Klaudija Bartolić, che sta facendo un bellissimo lavoro di documentazione. Il che significa che disporremo di una documentazione molto precisa, dei rilievi e dei disegni di ogni parte scavata e di tutte le parti superstiti del tempio”.
Lo scavo, oltre che a migliorare la conoscenza storica di Parenzo e dell’Istria romana, ha arricchito il patrimonio culturale cittadino e apre nuove prospettive di ricerca.

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