Quarantena? La paura delle donne in casa con il loro carnefice

Il lockdown può aumentare i potenziali casi di violenza in famiglia

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Quarantena? La paura delle donne in casa con il loro carnefice

Stare chiusi in casa per quasi un mese, è difficile per tutti. Figuriamoci poi se si è costretti a trascorrere 24 ore su 24 sotto lo stesso tetto con un coniuge o un familiare violento, senza alcuna possibilità di uscire e chiedere aiuto. Per questo motivo il Ministero per la Demografia, la Famiglia, i Giovani e le Politiche sociali ha inviato un appello a tutti i cittadini, membri dello stesso nucleo familiare, amici e conoscenti, a farsi avanti, chiedere aiuto e denunciare eventuali casi o presunti tali, di violenza tra le mura domestiche. Infatti, con l’introduzione del lockdown si è ridotta anche le possibilità di muoversi più frequentemente. Ci troviamo di conseguenza a dover osservare anche una specie di isolamento… sociale, che può avere effetti negativi in particolar modo sulle donne, sui bambini e sugli anziani, che solitamente sono sottoposti ad aggressioni in seno alle quattro mura. L’attuale situazione in cui siamo costretti a restare a casa per contenere i rischi di contagio, è sufficiente per aumentare i rischi di violenza, non soltanto in quelle famiglie in cui essa sussisteva da prima, ma anche in altre, in cui non c’è mai stata. Lo stress, la paura di contrarre la malattia, di perdere il lavoro e l’eventuale abuso di alcol, possono portare a casi del genere anche in quei nuclei familiari nei quali fino a poco tempo fa regnava l’armonia.
I casi aumenteranno nel dopo virus
Curiosi di conoscere l’odierna situazione per quanto concerne Fiume e circondario, abbiamo interpellato la psicologa Paola Bogović, a capo dell’Associazione per la tutela della famiglia U.Z.O.R e del rifugio per donne e bambini. “Fortunatamente al momento non abbiamo registrato un aumento di richieste d’aiuto rispetto al solito, nemmeno in relazione alle persone che si rivolgono direttamente alla Polizia. Credo, però, che il numero aumenterà sensibilmente una volta rientrato il lockdown. Una cosa simile si è verificata anche in Cina. Infatti, molte donne sono praticamente segregate in casa con il partner o il marito anch’egli impossibilitato a uscire, non hanno la possibilità di chiedere aiuto. A molte di queste viene vietato l’uso di telefoni o cellulari. Devono, però, capire che tutte le istituzioni di competenza sono pronte ad aiutarle. Dal momento in cui i contatti diretti sono vietati, lo facciamo per telefono, mail o Skype. Siamo sempre a disposizione, e in caso di bisogno interviene pure la Polizia che effettua un sopralluogo. Bisogna pertanto far capire loro che non sono sole e che possono, anzi devono, farsi avanti e richiedere aiuto. Se al momento non possono uscire, una volta rientrata l’emergenza coronavirus ci saranno persone pronte e disposte a venire loro incontro. Tante di queste donne vivono da anni un isolamento ben peggiore di quello dettato dal Covid-19, alle quali il loro aggressore vieta di vedere e sentire i loro cari. Vengono maltrattate psicologicamente, subiscono restrizioni di vario tipo. Purtroppo, nella nostra società non esiste l’abitudine da parte di conoscenti, amici o vicini di casa, di denunciare casi del genere, nemmeno quando sono sicuri al cento per cento che tra determinate mura domestiche succeda qualcosa. Esiste però un’uscita. Sempre! Le vittime devono soltanto trovare la forza e il coraggio di contattare una delle numerose istituzioni competenti, la Polizia, il Centro per la previdenza sociale. Giorni fa ho sentito dire che i rifugi e le case sicure non lavorano in questo periodo di crisi sanitaria, al fine di evitare la diffusione del virus. Non è assolutamente vero. Operano eccome, rispettando le misure decretate dal Ministero di competenza. Al momento è libero circa il 50 p.c. delle capacità di cui disponiamo e quindi, se le vittime hanno la possibilità di contattarci, lo facciano pure. E quanto prima”, conclude Paola Bogović.
Reagire se si sentono urla o schiamazzi
Anche se spesso si preferisce non reagire per non sembrare impiccioni, quando c’è di mezzo la violenza sarebbe invece il caso di reagire.
Da che cosa possiamo capire che i rumori che sentiamo dall’altra parte delle mura siano violenza vera e propria? Innanzitutto, se si sentono schiamazzi, pianti, rumori di oggetti lanciati contro le pareti e per terra o persone che invocano aiuto; se le persone in questione ci sembrano molto più impaurite o sconvolte del solito; se ci sembra che la persona venga controllata e non abbia il permesso di comunicare con il resto del mondo.
Che cosa, invece, viene consigliato alle vittime?
Se si ritrovano in pericolo di vita, telefonino immediatamente al 112 o alla Polizia, tenendo sempre conto del comportamento del loro aggressore per evitare che il conflitto diventi più frequente del solito; abbiano sempre pronto un piano B che includa i vicini di casa, i familiari o altre persone vicine; trovino con gli altri membri di famiglia una ‘parola chiave’ come segnale di pericolo, abbiano sempre pronta una borsa con tutto il necessario, il telefonino e i documenti identificativi se ci fosse il bisogno di fuggire da casa.
Tutti i centri e le istituzioni di Fiume sono sempre a disposizione delle vittime e anche se attualmente sussistono restrizioni per il Covid-19, in caso di necessità reagiranno subito.
A chi rivolgersi?
Le vittime o tutti coloro i quali vogliono ottenere informazioni a proposito, possono telefonare ai seguenti centri: Centro per la famiglia 338-526, e-mail: [email protected]; Difensore civico 563-786, e-mail [email protected]; Difensore per le pari opportunità 01/4848-100, e-mail: [email protected]; Difensore dei minori 311-121, 311-110, e-mail: [email protected]; Difensore per le persone portatrici di handicap 01/6102-170, e-mail: [email protected]; Casa dei bambini “Tić” 215-670, e-mail: [email protected]; Centro per la partecipazione della donna nella vita sociale 315- 020, 095/315-0200, e-mail: [email protected]; S. Anna – Casa della Caritas per donne e bambini vittime della violenza in famiglia /672-607, 098/852-633, e-mail: [email protected], [email protected], [email protected], [email protected]; SOS RIJEKA – Centro per la non violenza e i diritti umani 211-888, 091/2118-882, e-mail: [email protected]; Associazione per la tutela della famiglia (U.Z.O.R.) 673-649, SOS tel: 0800 333 883, e-mail: [email protected]; Centro regionale per lo psicotrauma (presso il CCO) 658-339, e-mail: [email protected].

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