Pola, 9 gennaio 1944: il giorno più triste della storia cittadina

Esattamente ottant’anni fa venne effettuato il primo bombardamento degli Alleati sulla città dell'Arena, sicuramente il momento più buio nel tempo di guerra, impresso per sempre nella memoria collettiva: il raid causò oltre 100 morti. I rioni più popolati e storici subirono il martirio più doloroso

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Pola, 9 gennaio 1944: il giorno più triste della storia cittadina
La gradinata monumentale della Chiesa della Marina, da cui si precipitava in fuga dalle bombe. Foto Arletta Fonio Grubiša

Per vivere serenamente il presente e il futuro va smaltito il passato: ad asserirlo è soltanto il manuale di psicologia, perché il manuale di storia dice che Pola non c’è ancora riuscita. Oggi, 9 gennaio 1944, ricorre l’80.esimo anniversario del primo bombardamento aereo Alleato, l’evento-trauma per eccellenza, sicuramente il più buio del tempo di guerra, impresso per sempre nella memoria collettiva cittadina, che grava su chi è ancora superstite e indirettamente sui discendenti di famiglie memori di quel “qualcosa di spesso innominato, ma terribilmente grosso” che ha lacerato la città e la sua gente. Ben 109 aerei B-17 Flying Fortress, vale a dire le famose (e per noi famigerate) Fortezze volanti, del 15th Air Force, specificatamente del Bombardment Group, tutti appartenenti 5th Combat Wing si lanciarono su Pola per provocare morte. “Assassini!”: così tuonava allora l’Eco di Pola, giornale conservato presso la Biblioteca universitaria di Pola, subito dopo il cataclisma, perché tre ondate di sganci, eseguite nell’arco di poche, ma lunghissime ore di terrore e ansia, portarono a Pola la morte. L’attacco ebbe le sue ragioni più tassative: distruggere le installazioni portuali e le unità di marina presenti, ma, colpa dell’imprecisione della vecchia tecnologia aeronautica, il cuore della città con i suoi rioni più popolati e più storici subirono il grande martirio, da vittime collaterali. L’incapacità di superare il trauma oggi, è ben visibile e chiaro persino a chi ha la vista offuscata: era bastata soltanto questa prima incursione aerea (senza contare tutte quelle successive), per ufficializzare 77 morti (di cui 15 militari germanici e 2 italiani), per poi capire che il numero dei morti erano più 100, fino ad aggiungerne altri ancora, in seguito al ritrovamento dei corpi di cui non si riuscì a accertare l’identità e ai decessi dei giorni successivi, dal momento che il numero dei feriti soccorsi fu di almeno 175 persone, di cui soltanto 35 militari. Con chiara evidenza, pur mettendo nel mirino l’impiantistica industriale-militare, i bombardamenti alleati commisero senza dubbio di sorta, la strage dei civili, a tutti gli effetti.

I crolli ai Giardini provocati dal bombardamento del 9 gennaio 1944. Foto Centro di ricerche storiche

Mancanza di sensibilità

La giornata del 9 gennaio 1944, fu l’inizio del periodo più tragico per la città, dopo l’entrata in guerra del Regno d’Italia, fu la giornata del massacro nel nome delle ragioni politico-militari, ma per tanti anni nel nome del mancato ricordo, si è continuato a commettere violazione del sentimento di pietà, dimostrare mancanza di rispetto nei confronti della storia, forse perché ancora troppo pesante e scomoda. Ci voleva il 79.esimo anniversario dallo sganciamento degli ordigni esplosivi, per smuovere il Municipio, che proprio oggi celebrerà nuovamente la commemorazione. Del cinquantesimo, del sessantesimo e degli altri “esimi” manco ci si è accorti (a parte qualche mass media). Ed è cosa deplorevole, perché non si tratta di difesa, di aver “seppellito” il trauma con la mala strategia della “rimozione” inconscia, ma semplicemente di inerzia, o sentimento di sconvenienza, di chi ha governato la città, rappresentata oggi in gran parte da abitanti, diventati cittadini di Pola, senza radici di vecchia data e come tali liberi da certi gravami, perché inconsapevoli e ignari della storia del territorio che li ha accolti.

L’odierna via San Policarpo, dove si trovava la Mariotica, ex struttura militare. Foto Arletta Fonio Grubiša

Testimonianze laceranti

Se la storiografia annovera per filo e per segno e con rigore scientifico i fatti storici, solitamente più drammatici o anche tragici del passato, perché, alla pari di quanto riportano i telegiornali e i notiziari, sembrano essere quelli a colpire l’interesse e a fare notizia; ci sono tuttora i ricordi che raccontano, invece, emozioni, il vero vissuto di coloro che ancora oggi non riescono a fare a meno di tremare a ogni temporale o, addirittura, ai fuochi di artificio. Associano all’indelebile frastuono delle bombe, al suono della distruzione echeggiante negli androni dei rifugi, costruiti nella maggior parte dall’Italia, tanto per smentire l’errata e fin troppo diffusa credenza che tutto, ma proprio tutto di maestoso o, in detto caso, utile a Pola è opera della prodigiosa perfezione attribuita all’infallibile industria austroungarica. Quello che i libri non parlano è il ricordo inedito, ancora contemplante immagini macabre, che abbiamo raccolto per l’occasione, da fonte con memoria più che lucida, ma che ha preferito rimanere anonima: i neonati che urlavano di terrore, la gente tremante nelle brande militari, la bimba che fissava i rigagnoli di umidità e l’acqua piovana scorrere sotto queste lettiere appese; i nuvoloni di fumo che per tre giorni coprivano il cielo sopra l’Arsenale, l’odore di bruciato, il fetore dei caduti, la vista dei cadaveri per tutte le vie della città, dei laghi di sangue, del povero corpo affisso sulle mura dell’Arsenale, all’inizio dell’omonimo viale, in seguito al violento spostamento d’aria generato dalla palla di fuoco, i brandelli di tessili e i pezzi dilaniati di corpi umani che gli addetti dell’UNPA l’Unione Nazionale di Protezione Antiaere, cercavano con fatica di staccare dalla cima degli alberi dell’Arsenale, dopo distruzione degli opifici di Monte Zaro, dove si cucivano le uniformi per gli operai dell’Arsenale.

Il fuggi fuggi dalle Baracche

Uno dei due rifugi di Pola dove si riversava la gente dalle Baracche. Foto Arletta Fonio Grubiša

Chi ricorda è delle Baracche, uno dei rioni popolari meno risparmiati, reo di essere stato troppo vicino alla zona militare, che per salvarsi doveva precipitarsi giù dalla monumentale gradinata sotto la Chiesa della Marina, con la madre vista cadere col bambino in braccio senza nessuno che aiuti a rialzarsi. Più o meno, il grande fuggi fuggi del popolo della baracche con valigie pesanti e “gamele” di cibo alle mani, si generava passando da queste parti, poi con la distruzione della discesa in bellissima pietra bianca, la via alternativa furono i sentieri tra i cespugli. Con tutte quelle baracche dai tetti divelti e dissestati, la sopravvivenza delle famiglie venne individuata anche mediante sistemazione nell’edificio che chiamavano “mariotica”, oggi inesistente, subito a fianco delle entrate dei rifugi piene di brande militari, oggi mangiati da un incredibile boscaglia colma di rifiuti. Guaio è che verso le ore 11 di quella tragica domenica (guarda caso domenica come per lo scoppio di Vergarolla avvenuto in tempo di pace), le sirene che si fecero sentire, non provocarono esagerata apprensione tra i polesani, convinti che si trattasse di qualche solito falso allarme come quelli precedenti. Invece di precipitarsi in rifugio, moltissimi restarono nelle loro case, ma ben presto i bombardieri diedero prova di forza seminando distruzione e morte facendosi sentire con tutta una serie di spaventose esplosioni. L’incredulità e la scarsa propensione al panico di un certo signor Mario delle Baracche fece sì di fermarsi nel parco dell’Ospedale di Marina per mettersi a contare il numero degli aerei visti sfrecciare con il proprio carico di morte sopra il cielo di Pola, per poi salvarsi per miracolo, buttandosi giù e mettersi a soccorrere, a pochi metri da lui, il povero signor Gasparini colpito agli occhi dalle schegge degli ordigni esplosivi, mentre gemeva “Mario, Mario io, io non ci vedo più!!!”. I bombardamenti su Pola si ripeterono inesorabili, e, questo stesso Mario continuò, cocciuto a riparare la sua casetta di fronte alla Chiesa della Marina. “Lori distrugi e mi riparo, lori spaca tuto e mi rimeto a posto, vedemo chi se stufa prima”. Per fortuna gli Alleati.

Scene di distruzione e di morte

L’argomento del più grande bombardamento di Pola, nonostante le conseguenze che questi avvenimenti bellici ebbero sulla città e sulla sua gente, non è stato praticamente mai trattato o studiato da nessun storico fino a quando il Centro di Ricerche storico di Rovigno, precisamente lo studioso Raul Marsetič non fece tesoro di fonti di ricerca storica e fornito il più grande contributo alla ricostruzione del dramma. Il contributo è quello de “I bombardamenti alleati su Pola 1944-1945”, pubblicazione di inestimabile valore, prodotta con non poche difficoltà di trovare documenti, addirittura tra i carteggi dell’Aeronautica militare degli Stati Uniti (I’United States Air Force Historical Research Center in Alabama nella base aerea di Maxwell e l’United States Air Force History Support Office nel Washington D.C.) e della Gran Bretagna (National Archives, Public Record Office). Come documenta il volume, il cessato allarme venne dato solo verso le ore 14 e poi l’orrore, alla vista delle conseguenze che cambiarono per sempre Pola, la sua fisionomia e la sua gente. “La popolazione ammassata nei rifugi si trovava ad affrontare una situazione nuova, sconosciuta che cambiò per sempre Pola, la sua fisionomia e la sua gente. La caduta delle bombe aveva fatto tremare la terra più volte e i pensieri erano rivolti soprattutto all’esterno, alle proprie case e ai cari che non si erano rifugiati nei ricoveri. Purtroppo gli effetti furono molto pesanti e dopo essere uscita dai rifugi, la popolazione trovò davanti ai propri occhi scene di distruzione e di morte, in una città martoriata e profondamente offesa. La contraerea non riuscì ad abbattere nemmeno un velivolo, nonostante si fosse messa subito in azione. Diversi obiettivi militari subirono ingenti danni. Furono colpiti i rifugi per i sottomarini, edifici adiacenti, il molo e le baracche del carbone, i magazzini nell’area di deposito dei siluri, le macchine di lancio e le officine. Una silurante e un vascello mercantile furono danneggiati nel porto, mentre almeno tre grandissime esplosioni furono causate nel porto dagli attacchi diretti. Fu inoltre affondato il sottomarino tedesco U-81”.

Le aree colpite

Obiettivi militari a parte, duole quello che fu fatto a Pola: colpiti il centro cittadino in largo Oberdan, il clivo Grion, le vie Benussi, Barbacani, Garibaldi, Mazzini, Abbazia, Tradonico, tutta la zona tra Monte Zaro, iMonte Cappelletta fino a Monte Paradiso, comprese le vie Muzio, Tartini, Defranceschi e trasversali; il quartiere popolare delle Baracche e Monte Cane. Qualche bomba isolata cadde pure nei pressi del Mercato e dell’Istituto Tecnico e in via Sergia. Specifica Raul Marsetič: “Gravi furono soprattutto i danni provocati al rione popolare di San Policarpo (Stoia) dove erano concentrate le abitazioni degli operai dell’Arsenale e degli altri stabilimenti cittadini, edifici comunemente chiamati Baracche. Le cronache apparse sugli organi di stampa descrivono San Policarpo come una zona nella quale erano pochissimi gli edifici scampati alle bombe. Furono gravemente colpiti anche il Famedio del Marinaio italiano (Chiesa della Marina), l’area attorno al Cimitero degli Eroi (Cimitero della Marina), nel quale diverse tombe furono distrutte, le vie Premuda, Vettor Pisani, Ottavia, Antonia, Piave e adiacenti”. Nell’elenco delle vittime c’è padre Graziano Zanin, della parrocchia di San Giuseppe in via Carlo Defranceschi, Aldo Fabbro uno dei più noti calciatori di Pola del tempo, ma non vi fu famiglia di Pola senza aver perso un parente, amico o conoscente, mentre 894 di queste risultarono più o meno gravemente sinistrate e bisognose di soccorsi. Il bombardamento, tra l’altro, non aveva risparmiato nemmeno la sede della Guardia di finanza, in via della Specola, il Carcere giudiziario e tra le abitazioni distrutte in molti scavarono disperati per ore tra le rovine in cerca dei propri cari o per recuperare qualche oggetto. Il pronto intervento delle squadre di soccorso si dimostrò molto efficace come le manifestazioni di solidarietà che seguirono. Ma la cicatrice su Pola resta. E, nemmeno oggi si può rimarginare.

Aldo Skira, il bambino di fronte a una bomba

Tra le foto più storiche legate ai bombardamenti di Pola durante la Seconda guerra mondiale c’è quella in cui un bambino posa di fronte a una bomba inesplosa. Il bambino in questione ha oggi 83 anni e risponde al nome dell’ex parlamentare Aldo Skira. Gli chiediamo quando è stata scattata la foto.
“Non saprei dirle esattamente – ci confida Skira –. O nell’autunno del 1945 o nella primavera del 1946, comunque a guerra terminata. A scattarla è stato mio padre Giuseppe che mi ha detto di mettermi dietro alla bomba per una foto. La bomba si trovava vicino alla chiesa della Madonna del Mare in direzione di Valcane vicino a una Casa per anziani”.
Gli chiediamo se non avesse avuto paura in quel momento. Come facevano a sapere che la bomba era innocua?

Foto: archivio privato di Aldo Skira

“Mio padre lavorava nell’Arsenale, era il capo officina dei meccanici-siluristi ed era sicuro che la bomba era disattivata”, continua il nostro interlocutore.
Secondo alcune fonti l’ordigno esplosivo era stato sganciato su Pola in occasione del primo bombardamento del 9 gennaio. “Questo non l’abbiamo mai saputo e non possiamo dare per certo se la bomba sia stata sganciata su Pola proprio il 9 gennaio del 1944 o in qualche bombardamento susseguente”, continua Skira.
All’epoca del primo bombardamento Aldo Skira aveva tre anni. “Ero troppo piccolo all’epoca, non ho alcun ricordo del primo bombardamento. Mi sono rimasti impressi quelli del 1945 quando avevo 4 anni e mia mamma Giovanna mi portava nel rifugio antiaereo: era quello vicino alle carceri odierne, mentre noi vivevamo in quelle che venivano chiamate le Palazzine, vicino alla chiesa della Madonna del Mare. Le sensazioni più brutte erano quelle una volta usciti dal rifugio per raggiungere le case con i corpi senza vita in strada della gente che non era riuscita a raggiungere i rifugi antiaerei. Mia madre mi diceva di non guardare in quella direzione”, ha aggiunto Skira, la cui famiglia durante la Seconda guerra mondiale a causa dei bombardamenti aveva dovuto traslocare diverse volte.
“Ricordo che nelle Palazzine dove vivevamo c’era un ufficio con dei militari tedeschi, ce n’erano 4-5, ma non avevano nessun fucile. Facevano parte, a mio avviso, della logistica del governo tedesco. Non abbiamo avuto alcun problema con loro. Poi una volta finita la guerra non li abbiamo più visti”, conclude Skira. (gl)

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