Magazzino 18, un’esperienza sempre speciale

Visita a Trieste organizzata dal Consiglio della minoranza nazionale italiana della Regione litoraneo-montana

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Magazzino 18, un’esperienza sempre speciale
Foto Moreno Vrancich

Visitare Magazzino 18 è un’esperienza indescrivibile. Bisogna viverla in prima persona. Perché quello che si prova dipende da sé stessi, dalla propria esperienza di vita e dalla storia della propria famiglia. Il magazzino è pieno zeppo di oggetti di ogni tipo. Chi è scappato si è portato dietro tutto quello che poteva, per poi lasciare gran parte delle masserizie a Trieste. L’ultima occasione che le famiglie avevano per riprendersi i loro averi era nel 1978, dopodiché sono diventati “beni di nessuno” o “beni abbandonati”.

“Sono rimasto estremamente colpito dallo spettacolo di Simone Cristicchi, visto ormai una decina di anni fa, ed è da allora che mi gira per la testa l’idea di visitare Magazzino 18. L’opportunità è arrivata grazie ai membri del Consiglio della minoranza nazionale italiana della Regione litoraneo-montana che hanno accolto la mia proposta di organizzare una visita guidata a questo luogo della memoria”, ha affermato Sandro Vrancich, organizzatore della visita per il tramite del Consiglio CNI quarnerino.

Foto Moreno Vrancich

La visita è iniziata in un’atmosfera rilassata, naturale per una comitiva di persone che ha appena affrontato un breve viaggio d’autobus e si sente come fosse in gita. Una volta entrati nell’edificio però, in pochi minuti, tutto è cambiato. Ascoltando il racconto coinvolgente delle due guide, i vari partecipanti si sono commossi, trascinati gli uni dalla tristezza, gli altri dall’angoscia e altri ancora dall’incredulità. Tutti conoscevano già questa storia, sapevano quale luogo stessero andando a visitare, eppure toccare con mano quegli oggetti ha avuto un effetto sorprendente.

Foto Moreno Vrancich

Sono stati diversi i partecipanti che su un oggetto, una cassa o un armadio hanno trovato il loro cognome. I più giovani hanno fatto una foto e l’hanno inviata a casa per chiedere informazioni, per cercare di capire se era uno di famiglia o semplicemente un’altra persona che portava lo stesso cognome. Altri hanno riconosciuto il cognome e anche il nome.

Foto Moreno Vrancich

“Ho visto la cassa che era di mio zio”, ha detto Irene Mestrovich, toccata dall’emozione.
Da Fiume è andato via circa il 90 per cento della popolazione. Un fenomeno che lo storico Raul Pupo ha descritto come la “più grande cancellazione dell’identità di una città” che la storia abbia mai visto. Sarebbe il caso di ricordare più spesso e più a fondo quello che è accaduto dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Un esodo che ha visto 300mila persone dire addio alla propria terra.

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