Fiume. Violenza tra i giovani, epidemia pericolosa

Il caso verificatosi pochi giorni fa nel capoluogo quarnerino ha suscitato sgomento e disapprovazione tra i docenti delle scuole della CNI

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Fiume. Violenza tra i giovani, epidemia pericolosa

Il caso di violenza avvenuto la scorsa settimana in pieno centro a Fiume, quando quattro ragazzi hanno picchiato un proprio coetaneo, continua a suscitare indignazione, tanto più che è stato reso noto che il ragazzo ha subito delle ferite gravi ed è stato ricoverato all’Ospedale pediatrico di Costabella. Ricorderemo che l’assalto è stato fermato soltanto grazie alla reazione dei passanti, i quali hanno fatto intervenire il pronto soccorso e gli agenti di polizia. Casi del genere, purtroppo, sono sempre più frequenti. Le scuole sono dei luoghi con tolleranza zero per quanto riguarda la violenza, per cui abbiamo interpellato le presidi e i presidi delle scuole della CNI a Fiume, con cui abbiamo convenuto che, nonostante una realtà che presenta sfide sempre più impegnative e complesse per i giovani, in un modo o nell’altro, si riesce a gestire la problematica.

In tale contesto la direttrice della SEI “Gelsi”, Gloria Tijan, ci ha riferito che nelle nostre istituzioni scolastiche, anche in concomitanza con il Protocollo ministeriale sulla gestione della violenza, si fa molto spiegando che “quando si ha il minimo sentore che segnala un’eventuale situazione di bullismo, lo si mette subito in atto. Bisogna, però, essere molto cauti e distinguere il fenomeno del bullismo da una semplice prepotenza o litigio fra ragazzi. Per ciò che riguarda la nostra scuola, alcuni anni fa si erano riscontrati casi di offese verbali relative alla fisicità di qualche allieva/allievo, tipo il body shaming o l’abbigliamento, che abbiamo interrotto in partenza. Da allora, per fortuna, non vi sono state altre situazioni. Mi preme rilevare che, indipendentemente se i giovani coinvolti in qualche momento di violenza frequentino le nostre istituzioni o meno, e gli stessi avvengano all’interno degli enti o fuori, dovremmo sempre reagire, oltre che come dipendenti anche, e soprattutto, come persone”.

Sulla falsariga delle sue parole, Denis Stefan, della SEI “Belvedere” ha rilevato che “è importante distinguere un atto di violenza dal bullismo, il quale dura nel tempo e coinvolge più persone. Il primo, non necessariamente sempre soltanto fisico, non è identificabile con il secondo. Noi non abbiamo avuto atti di violenza fisica che abbiano causato danni a qualcuno. Nel caso si manifestassero, verrebbero seguiti i vari protocolli e le regolative che abbiamo a disposizione. Per ciò che concerne quello recentemente accaduto nel centro di Fiume, la Polizia farà il suo lavoro e si esprimerà sul fatto se è qualcosa che durava da tempo oppure è scattato al momento. Comunque sia, è logico che avvenimenti del genere fanno preoccupare e riflettere. Al momento, presso la nostra scuola abbiamo la situazione sotto controllo, ma non si può prevedere nulla. Ciò che, invece, si può fare è cercare di contrastare i fenomeni con la prevenzione, che effettuiamo regolarmente tramite i vari programmi, soprattutto nelle classi superiori”.

La preside della SEI “Dolac”, Dunja Kučan Nikolić, in merito alla suddetta problematica è dell’idea che la comunicazione, a vari livelli, sia alla base di tutto, specificando che “da noi si dialoga tantissimo con i ragazzi, sia nell’ambito delle ore di Educazione civica che di quelle inerenti al capoclassato e agli svariati laboratori, guidati dalla pedagogista, i quali interessano sia gli alunni delle elementari che delle superiori. Negli ultimi anni, il che si riferisce in generale a tutta la società, si sta notando una preoccupante mancanza di empatia e la perdita di valori significativi. Per tale ragione, nel corso degli stessi si parla, oltre che dei comportamenti, anche di ciò, ponendo l’accento sulle emozioni, come pure di tutto quello che è importante per essere parte attiva di una comunità. Discutendo ed educandoli, ci spendiamo per avvicinare loro la problematica e farli ragionare e devo dire che agli allievi piace molto farlo. Il vantaggio delle scuole ‘piccole’ è che siamo una grande famiglia, tutti conoscono tutti e se succede qualcosa, anche se si tratta di una piccolezza, ne veniamo subito a conoscenza e riusciamo a reagire in tempo. Cerchiamo, inoltre, di avere una stretta collaborazione con i genitori e di coinvolgerli al massimo. In tale senso, in quanto ogni classe presenta le proprie particolarità, desidero ringraziare i capiclasse che gestiscono ottimamente questo aspetto. Tra l’altro, non perdiamo occasione per celebrare le cose belle. Ieri, lunedì 13 novembre ad esempio, nell’ambito della Giornata della gentilezza, i nostri ragazzi circolano per i corridoi comunicando e trasmettendo messaggi cordiali. Sono i dettagli a fare la differenza e ci aiutano ad affrontare le situazioni meno piacevoli”.

Il modello di una scuola-famiglia, con tutto ciò che comporta, è stato adottato anche dalla direttrice Iva Bradaschia Kožul, e dal corpo docenti della SEI “San Nicolò”, secondo la quale “il fatto che le scuole della CNI siano ‘piccole’ aiuta molto in tanti modi diversi. Innanzitutto non si fanno differenze tra i ragazzi e non esiste il dire ‘questo è mio o è un tuo alunno’. Tutti gli allievi sono ‘nostri’. Se osserviamo che qualcosa sta succedendo in corridoio, sia che si tratti del personale tecnico che degli insegnanti, reagiamo allo stesso modo. Inoltre, qualsiasi cosa accada, la reazione è sempre pronta e direi anche forte. Alla ‘San Nicolò’ puntiamo tantissimo sul comportamento adeguato e sul rispetto delle regole. La nostra valutazione, i criteri e i valori che curiamo sono alti. Siamo realmente una famiglia e ci comportiamo di conseguenza: diamo ai ragazzi tanto amore, regole chiare e se fanno qualcosa che non va, sanno bene che ogni azione comporta una reazione. Succede, anche se raramente, che alcuni genitori si sorprendano quando li facciamo chiamare per chiarire situazioni che, a loro detta, non sono così importanti e che, invece, noi riteniamo tali. A questo riguardo vorrei specificare che, anche se si tratta di una ‘ragazzata’, continueremo a farlo, in quanto loro sono le prime, fondamentali persone con le quali collaboriamo e devono essere consapevoli e a conoscenza della stessa. Se le cose raggiungono livelli preoccupanti, al fine di aiutare e proteggere gli allievi, le affrontiamo interpellando le istituzioni adeguate, il che è anche un atto di coraggio. Non bisogna mai girare la testa dall’altra parte. Ovviamente, è importante anche la prevenzione, la quale però comporta, oltre ai vari programmi, anche il vivere di petto le eventuali problematiche. In tale senso, e in riferimento all’episodio di alcuni giorni fa e a tanti altri di cui leggiamo, ho la sensazione che le istituzioni agiscano debolmente e che, spesso e volentieri, i genitori permettano ai figli comportamenti sbagliati, giustificandoli. Purtroppo, però, facendolo non fanno loro del bene che, al contrario, si traduce nel tirarli su quali persone brave, giuste e corrette. Il ruolo delle scuole, quindi, considerando anche l’aspetto educativo, sta diventando sempre più rilevante”.

Il dialogo e l’ascolto sono essenziali anche per il preside della SMSI di Fiume, Michele Scalembra, il quale ha rilevato che “in seno alla SMSI comunichiamo con i ragazzi sulla problematica, come pure su svariate altre questioni, nell’ambito del progetto intitolato ‘Scuola in Comunità’, teso alla loro educazione e responsabilizzazione rispetto al sociale. Tra l’altro, oltre alle ore di capoclassato, durante le quali si lavora molto in tale senso, la psicologa e la pedagogista parlano molto con gli studenti, come pure i docenti in generale. Devo dire che, effettivamente, sono ascoltati, seguiti e indirizzati. Non dimentichiamo che, oltre a essere istituti istruttivi, svolgiamo anche un ruolo educativo per cui, oltre che per vocazione, siamo chiamati a farlo anche in quanto a responsabilità a guidarli e a farli crescere prima come persone e poi come allievi. In tale contesto, presso il nostro liceo opera anche il Consiglio degli alunni, nel corso delle cui riunioni, affiancati dalle succitate collaboratrici professionali e da me, i rappresentanti delle classi espongono apertamente le loro idee, proposte e problematiche. Nell’affrontarle, infine, cerchiamo di includere, tramite gli orari di ricevimento, informazioni e altro, anche le famiglie, il che è fondamentale. Il rapporto con le stesse è costruttivo e anche se vi sono dei problemi, si cerca di sentire tutte le parti ed essere aperti alle varie soluzioni”.

Il problema però, a detta di Ines Lazarević Rukavina, coordinatrice delle attività per la prevenzione della violenza presso l’Istituto regionale di salute pubblica, sta in tutta la società e non nei singoli. “I casi di violenza tra coetanei e non solo aumenta di giorno in giorno. Possiamo definirlo addirittura un’epidemia che colpisce non soltanto la Croazia e lo possiamo vedere nei vari media. Noi adulti, però, spesso non ci rendiamo conto di essere un modello, positivo o negativo, per i nostri ragazzi. Quando un adulto alza la voce, offende o minaccia un ragazzo, esercita violenza verbale. Se i bambini o giovani vengono sottoposti spesso a simili trattamenti, lo prenderanno come una cosa normale che va tollerata. Il passaggio poi dalla violenza verbale a quella fisica è purtroppo molto breve. Le statistiche parlano chiaro, però dobbiamo tenere conto che molti casi non entrano nella stessa e quindi passano inosservati”.

“Perché? Perché spesso abbiamo paura di reagire – ha proseguito Ines Lazarević Rukavina –. Nel caso accaduto in centro ci sono stati adulti che hanno reagito. Se però la vittima fossi stata io, ci sarebbe stato qualcuno a difendermi? Siamo abituati a far finta di non vedere, perché abbiamo paura di venir coinvolti. Un altro fattore che reputo importante è lo status economico dei genitori dei bulli, che spesso sono convinti che avendo di tutto a casa possono permettersi di sentirsi superiori. Inoltre, dobbiamo conoscere anche i retroscena dell’evento, perché difficilmente troviamo qualcuno che alzi le mani soltanto perché non ha altro da fare. Sottovalutiamo le piccole liti tra ragazzi, magari qualche delusione amorosa, uno sguardo che viene valutato in modo sbagliato o forse un caso di cyberbullismo. Oggi è sempre più frequente questo tipo di violenza: prendere di mira qualcuno in rete e poi far girare il filmato o il post che si diffonde a macchia d’olio. Spesso di parla di salute mentale e allora mi chiedo se questi bulli siano sani di mente, o dobbiamo risolvere il problema alla sua radice”.

“Bisogna conoscere il passato di questi ragazzi perché comportamenti del genere non sono accettabili e purtroppo il disagio non è stato riconosciuto all’inizio. Devo dire, con grande dispiacere, che abbiamo fallito tutti; sia noi come persone che si occupano di questi problemi che la società in generale. Siamo abituati a tollerare ormai di tutto. A scuola, una volta, i professori venivano rispettati sia dai ragazzi che dai genitori. Oggi invece no. Abbiamo dato tanti diritti ai ragazzi senza insegnare loro i valori. Quando sai che non verrai punito per qualcosa che non è accettabile, ti comporterai come vuoi tu. Resta quindi la domanda: dove abbiamo sbagliato? Una vita vale più o meno di un ‘like’ su Facebook? Siamo tutti pronti a filmare, ma sono pochi quelli che andranno ad aiutare la vittima. Fiume è diventata ultimamente la città di tantissimi stranieri che vi lavorano. Siamo pronti ad accoglierli nel nome della multiculturalità, oppure ci saranno casi di violenza legati al colore della pelle, della religione? Casi come quello di giorni fa o di anni fa, quando Vitomir Jovičić Simke fu gettato nella Fiumara in piena, senza che nessuno reagisse, sono delle grandi tragedie. E la colpa è di tutti noi”, conclude Ines Lazarević Rukavina.

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